GRAVISI, Gerolamo
Nacque a Capodistria il 15 giugno 1720 dal marchese Dionisio e da Maria Tiepolo (Flego, 1998, p. 30). Un antenato, Nicolò, per aver sventato una congiura per consegnare Padova a Marsilio da Carrara aveva ottenuto nel 1439 dalla Serenissima una pensione annua di 400 ducati, che dal 1440 era stata ridotta a 250 in cambio del marchesato di Pietrapelosa (con rendita annua di 150 ducati), il più grande feudo istriano ("un insieme di ville sparse tra il Capodistriano, il Pinguentino ed il confine con la contea asburgica": Ivetic, p. 338). Il G. frequentò a Capodistria il collegio dei nobili, tenuto dagli scolopi. A quindici anni fu ammesso nella locale Accademia dei Risorti, ma "non potendo […] soffrirne l'inerzia […] un'altra ne istituì col nome di Operosi", i cui membri non dovevano superare i venti anni (Flego, 1996, p. 111).
Quando gli Operosi, il 9 luglio 1739, si radunarono la prima volta, il G. tenne la prolusione. Il 6 febbraio precedente aveva tenuto ai Risorti la conferenza Della nobiltà della lingua italiana (Venturini, pp. 157-163; Semi, I, pp. 248-251). L'intervento era una reazione alla crescente diffusione contemporanea del francese, anche in Italia. Fu probabilmente dello stesso anno un Saggio sul flusso e riflusso del mare, letto sempre dinanzi agli Operosi.
Il 30 nov. 1739 il G. fu immatricolato - con l'amico e compagno di studi Gian Rinaldo Carli, anch'egli fondatore degli Operosi - nell'Università legista di Padova. Il 29 dic. 1740 i due divennero membri dell'Accademia padovana dei Ricovrati, dove il G. recitò proprie poesie (Maggiolo). Nel 1742 fu ammesso tra i Concordi di Rovigo; in seguito fu ascritto "alle seguenti: Urbino (1752), Belluno (1772), […] Gorizia (1781), Cologna (1796), nonché a vari altri sodalizi consimili della Romagna, del Friuli e di Trieste" (Venturini, p. 196). Nell'università seguì anche i corsi di lingue orientali, ebraico e greco del p. M. Carmeli; da qui "i molti lavori di argomento biblico […] che ingombrano inediti i cassoni costituenti l'archivio domestico di casa Gravisi" (ibid., p. 169). A quel rapporto didattico risalgono note Sopra l'Ecuba di Euripide tradotta dal padre Michelangelo Carmeli… (19 ott. 1743) e una Traduzione dal greco in latino dell'orazione d'Isocrate a Nicocle (non datata).
Completati gli studi con la laurea in utroque (28 maggio 1743), il G. tornò a Capodistria, dove visse amministrando i propri beni e dedicandosi a studi e ricerche storico-erudite. Il 19 giugno 1744 divenne presidente dei Risorti. Si è ipotizzato che risalga a quell'anno una commedia in versi martelliani d'imitazione goldoniana, L'Uomo per sé stesso ("proprio nell'anno della rivoluzione teatrale operata dal sereno Carlo, Gerolamo Gravisi finiva il suo corso di legge all'università di Padova, dove il nuovo genere introdotto dall'autore della Locandiera era […] conosciuto, […] apprezzato e applaudito"; il protagonista, il conte Ottavio, "si avvicina molto al marito della Moglie saggia del Goldoni": Venturini, p. 174).
Il 12 sett. 1745 il G. sposò una ricchissima cugina del Carli, Chiara Barbabianca, e "per poter amministrare i molti beni che questa gli portava in dote", studiò agronomia ed economia politica; la famiglia portò poi il doppio cognome di Gravisi-Barbabianca (Semi, p. 251).
Sono di quest'epoca (1740-48) alcuni inediti del G.: su lapidi romane a Pola e a Pinguente, su una medaglia di Augusto, su temi biblici, sul primato della lingua ebraica e sulla confusione delle lingue (Stancovich, p. 340). Uscito da una "mortal malattia", che lo aveva "ridotto limine in ipso extremi flatus", ora "che per doppio titolo [era] Risorto", su richiesta di un amico che gli chiedeva notizie sull'Accademia de' Risorti, pubblicò la Lettera intorno alle antiche e moderne accademie di Capodistria al sig. A.C.S. (in Nuove memorie per servire all'istoria letteraria, III, Venezia 1760, p. 409). Secondo il G. il nome dei Risorti alludeva a una precedente accademia, attestata dal 1478, che riteneva la più antica esistita con continuità in Italia (quelle precedenti sarebbero state tutte di breve durata). Dal 1759 egli entrò in un dibattito col nobile capodistriano Francesco Almerigotti, durato un quarto di secolo. Nelle sue Antichità di Aquileja Marc'Antonio Sabellico aveva interpretato un passo di Strabone (Geographia, V.1.8) nel senso che gli Illirici dell'Istria commerciavano con Aquileia risalendo il Natisone. In seguito Daniele Farlati, "ne' Prolegomeni del suo Illirico Sacro", aveva sostenuto che Strabone, chiamando Aquileia "un Emporio de' Popoli Illirici" aveva "inteso di includerla nell'Illirico". A loro supporto l'Almerigotti propose ai Risorti una corografia dell'Istria antica, secondo la quale Aquileia e il suo distretto non solo erano state parte dell'Illirico, ma dell'Istria, e sostenne che in Strabone era chiaro che la Venezia giungesse sino al Timavo (Esame critico sopra l'antica corografia dell'Istria, nelle citate Nuove memorie, II, Venezia 1759, pp. 436-442). Scrisse poi il G. che nella traduzione latina del passo di Strabone, "in cui si dice Aquileja patet Emporium Illyricis gentibus Istrum accolentibus […], si volle […] che Istriam dovesse leggersi [e] si arrivò a dire che tal città fu da lui nell'Istria considerata e che non solo era nell'Illirio, ma che ne fosse pure la capitale" (Dell'Illirico Forogiuliese. Esame critico…, Udine 1789, pp. III, 6). Nella Dissertazionesopra un passo di Strabone riguardante l'antico commercio di Aquileja co' popoli del Danubio (in Nuova raccolta d'opuscoli scientifici e filologici, XVIII, Venezia 1769), dove riportò il passo di Strabone nella traduzione latina di I. Casaubon, si stupì che un testo così chiaro avesse dato luogo a tante illazioni, poiché provava solo "l'antico doppio commercio e di mare e di terra della Città di Aquileja, e spezialmente quella sino al Danubio". Gli Istriani, entrando dal mare nel Natisone, "oppure nelle Natisse, come corregge il Sabellico, o per meglio dire nell'Isonzo confuso dagli antichi col Natisone", portavano ad Aquileia merci, vino e olio. Gli Illirici vi portavano "servi, pecore e pelli […] per far concambio", e poi trasportavano quelle ottenute per via di terra "fino al Nauporto, ora riconosciuto per la Città di Lubiana, passando per l'Ocra, Monte ch'era il più basso di quelle Alpi". Da lì le merci avrebbero proseguito per via fluviale, attraverso il Laubach e sul "Savo, [che] univasi al Danubio" (Dissertazione, pp. 5, 10, 15-18). Per la storiografia recente "l'intera orografia e idrografia" delle Alpi nord-orientali descritta da Strabone "presenta notevoli difficoltà di identificazione", e "le identificazioni […] proposte con odierni corsi fluviali sono […] quanto mai fragili […]. L'impressione è che per Strabone e la sua fonte questa fosse veramente una terra incognita" (Voltan, 1989, pp. 429, 431). Strabone "sembra derivare […] da fonti della prima metà del I° secolo a.C., piuttosto che da autopsia" (Uggeri). L'Almerigotti ripropose le proprie tesi nella Dissertazione sopra l'antica colonia di Trieste (in Nuova raccolta, XXV, Venezia 1773, p. 14) e con Della estensione dell'antico Illirico, ovvero della Dalmazia e della primitiva situazione de popoli istri, e veneti.Prima parte del ragionamento (ibid., XXVI, ibid. 1774, p. 17). Il G. replicò con una Dissertazione apologetica dell'antico aquilejese commercio sino al Danubio, e sopra il Confine del Friuli con l'Italia (ibid.) e con la Dissertazione sopra la Dalmazia detta region d'Italia (ibid., XXVII, Venezia 1775).
Nella contesa tra il G. e l'Almerigotti si inserì un anonimo, che sostenne il secondo (Dissertazione sopra l'antico fiume Timavo, in Raccolta ferrarese di opuscoli scientifici e letterari di chiarissimi autoriitaliani, XX, Venezia 1788, pp. 1-60), mentre a favore del G. intervenne Giacomo Gregorj con una Lettera responsiva intorno al fiume Timavo, che si vuole al Tagliamento e alla Piave (in Nuova raccolta, XXII, Venezia 1792, p. 136).
Un altro lavoro del G. nacque dalla corrispondenza con un abate, Francesco Bradamante, che il 1° febbr. 1789 gli sottopose il testo di "una Lapide del Petronio, procuratore delle porpore di Cissa in Istria" (Lettera… intorno alla fabbrica della porpora in Cissa). Egli la diresse al Carli, che l'incluse nelle Antichità italiche (parte terza, Milano 1789, pp. XIV-XXX). Questo studio delle conchiglie porporifere ebbe vasta eco; il Carli lo esortò a continuare gli esperimenti, e così anche un sacerdote di Bergamo, Angelo Maria Cortenovis, che nel 1794 gli chiese di verificare quali fossero esattamente i testacei dei quali gli antichi si servivano ed elogiò il suo lavoro (Flego, 1996, p. 128). La lapide era stata scoperta verso il 1778 alla Punta Barbariga (un tempo Cissana), presso Rovigno, ove sono resti di antiche costruzioni. A Venezia il Bradamante aveva comunicato la cosa "a taluno de' suoi amici, e specialmente all'Abate Fortis", che perciò non fu lo scopritore, come si ritenne (G. Olivi, Zoologia adriatica, Bassano 1792, p. 160); Fortis informò il G. che l'iscrizione, con altre da lui raccolte in Dalmazia, era comparsa in Archaeologia, or Miscellaneous Tracts, pubblicazione della Society of antiquaries of London per opera di J. Strange (Gravisi, Lettera, p. XVIII). Sull'argomento, infatti, J. Strange aveva pubblicato due lavori (Archaeologia, III [1775], pp. 337-349; IV [1779], pp. 169-181: vedi L. Ciancio). Nell'annata 1792 della Raccolta ferrarese il G. pubblicò anche Notizie intorno Ottonello Vida giustinopolitano e la creduta sua apostasia. Il Vida (morto nel 1551), "congiunto per sangue e per amicizia al celebre erudito Pietro Paolo Vergerio vescovo di Capodistria", fu ritenuto anch'egli eretico; il G. invece dimostrò "senz'alcun dubbio che il Vida sia vissuto e sia morto in grembo della Cattolica Chiesa" (p. V). Altro lavoro del G. estraneo alla polemica con l'Almerigotti fu la Dissertazione sopra l'antica città di Emonia (Venezia 1785).
Dal 1791 "concepì il disegno di tessere le vite dei letterati giustinopolitani, includendovi quella del Carli e non omettendo il Muzio", ma "gli acciacchi e le cure della famiglia [lo] distolsero […] per modo che il progettato lavoro non poté essere condotto a termine" (Venturini, p. 195). Così inviò il materiale raccolto su Santorio Santorio al marchese Giovanni Paolo Polesini (vedi la lettera del G. del 26 luglio 1791, citata in Flego, 1996, p. 130). Con la morte del Carli (febbraio 1795) cessò il "tentacolare legame" delle "puntuali missive cariche di richieste del Carli", eseguite "impeccabilmente" dal G.; di "questo spesso sfiancante rapporto di amicizia e lavoro con il Carli […] l'unico punto certo è che a beneficiare in maniera nettamente superiore fu proprio l'illustre Opera di Gian Rinaldo Carli" (ibid., pp. 131, 133).
Si rivolsero al G. anche il Tiraboschi, il Cesarotti, lo Zeno e una schiera di eruditi minori veneti, friulani e istriani (Ziliotto, 1924, p. 62). Ebbe corrispondenti triestini (Andrea Bonomo, Giuseppe Coletti), udinesi o friulani (Filippo Florio, l'abate Francesco Freschi, mons. Giandomenico Guerra, Giuseppe Liruti, Nicolò Niccoletti, Enea Saverio), veneti (Bortolo Gozzi), istriano-dalmati (Flaminio Marchetti, conventuale di Pola, Vincenzo Ricci, di Pinguente e Rocco Sbisà, di Rovigno), milanesi (mons. Luigi Bossi).
Nel 1782 i due rami della famiglia Gravisi controllavano il 36% dei torchi per le olive nel Capodistriano. Dopo che i freddi del 1782-83 colpirono duramente quelle coltivazioni il Senato inviò uno "sprone ai patrizi radunati in Capodistria attorno all'Accademia letteraria ad applicarsi negli studi agronomici, in particolare per risollevare gli oliveti. Ma solo nel 1794-95 il marchese Girolamo Gravisi scrisse una Memoria sopra gli ulivi" (Ivetic, pp. 160, 239 s.). Quando un altro accademico di Capodistria, Bartolomeo Vergottini, pubblicò un Breve saggio di storia antica e moderna della città di Parenzo nell'Istria (Venezia 1795), nel quale "con valore la sua patria da buon cittadino difese […] e nello stesso anno in Trieste, benché non portino data di luogo, pubblicaronsi sopra quest'opera le Considerazioni apologetiche di un accademico romano-sonziaco, e giustinopolitano sopra un Saggio di storia della città di Parenzo" (G.A. Moschini, Della letteratura veneziana, I, Venezia, 1806, pp. 238 s.; in realtà l'opera apparve a Trieste nel 1796: C. Combi, Saggio di bibliografia istriana…, Capodistria 1864, p. 164).
Alla caduta della Repubblica veneta cessò l'erogazione della pensione concessa all'antenato Nicolò; da ciò "lunghe brighe", col governo austriaco e poi con quello francese, per riaverla (Venturini, p. 196). Gli Istriani "anziché gli Austriaci, si aspettavano un'invasione francese, massime dopo l'occupazione di Trieste eseguita da Napoleone in persona nell'aprile [1797]" (lettera di Giampietro Antonio Besenghi degli Ughi al G., 12 maggio 1797, ibid., p. 80). Quando l'Austria cercò, "col rispetto alle istituzioni venete, di farsi perdonare il mercato di Campoformido", il G. non l'osteggiò e, al pari di tutte le famiglie patrizie, la favorì apertamente preferendola ai Francesi (ibid., p. 200). Ne è un esempio il sonetto A Virgilio, nel quale inneggiò al maresciallo austriaco conte Paolo Kray, entrato in Mantova il 1° apr. 1799 (riprodotto in Stancovich, p. 337).
Nel periodo francese il G. si trasferì a Venezia. Il suo nome compare nelle informazioni segrete che, nell'ottobre 1808, il viceré Eugenio Beauharnais inviò a Napoleone sui candidati al Senato del nuovo Regno d'Italia, proposti dai tre Collegi elettorali dei dotti, possidenti e commercianti riuniti a Milano, Venezia e Bologna ("Istrie […] Gravisi [par les Possidenti] 66 voix. Il est de Capo d'Istrie mais réside depuis longtemps à Venise, c'est un octuagenaire qui jouit d'une bonne réputation": Veggetti, p. 117). Il G. morì a Capodistria il 31 marzo 1812, a 92 anni (Flego, 1998, p. 197); l'orazione funebre fu pronunciata dall'arciprete Antonio Declencic.
Il figlio Dionisio, nato nel 1750, dal 1763, quando era studente nel collegio dei nobili di Capodistria, fu uno dei rinnovatori della "anemica società degli Operosi, già fondata dal padre suo trent'anni prima" (Venturini, p. 136). A sedici anni "poetava egregiamente ed emergeva per bella e scelta erudizione nelle Accademie locali" (ibid., p. 202). Tradusse l'Alzira di Voltaire, che dopo la prima rappresentazione nel teatrino di famiglia "fece il giro delle principali scene d'Italia, ed ebbe l'onore di venir inscritta nel Teatro tragico italiano" (ibid., p. 203). "Malaticcio fin dall'infanzia, espresse talvolta in versi toccanti la malinconia della sua grama giovinezza e il presentimento della morte prematura", che avvenne a Venezia (o a Parenzo) nel 1768 (Ziliotto, 1924, p. 59). La sua produzione poetica fu edita a Venezia nel 1771 dalla contessa Santa Borisi-Gavardo, insieme con quella di Giuseppe Bonzio, anch'egli frequentatore assiduo dell'Accademia dei Risorti, che "sosteneva sempre la parte negativa dei quesiti proposti: in questi contradditori aveva per avversario l'amico Dionisio" (Venturini, p. 202). Il Bonzio morì anch'egli nel 1768, a breve distanza da Dionisio (ibid., p. 173).
Fonti e Bibl.: I manoscritti del G. (elencati in P. Stancovich, Biografia degli uomini distinti d'Istria, Capodistria 1888, pp. 337, 340), quasi tutti di contenuto storico e letterario, si conservano insieme con i suoi carteggi in Capodistria, Archivio regionale, Fondo Gravisi. Tre sue lettere, poesie e notizie sulla famiglia sono rispettivamente in Venezia, Biblioteca del Civico Museo Correr, Epistolario Moschini; Codd. Cicogna, 1799; 3419/V e 1882/5; Arch. di Stato di Venezia, Provveditori sopra feudi, b. 727: informazione dei provveditori al Senato sui marchesi Gravisi, 6 marzo 1736 (sul marchesato di Pietrapelosa). Il G. è menzionato occasionalmente nei lavori storici sull'Istria nella fase terminale della Repubblica di Venezia e nel periodo francese. Tra le trattazioni più specifiche: G. Dandolo, La caduta della Repubblica di Venezia ed i suoi ultimi cinquant'anni… Appendice, Venezia 1857, p. 250; C. von Wurzbach, Biographisches Lexikon des Kaiserthums Oesterreich, V, Wien 1859, pp. 320 s. (si può considerare una traduzione in tedesco dell'articolo del Dandolo); G. Babuder, Cenni intorno alla vita e agli scritti del marchese G. G., in Atti dell'I.R. Ginnasio superiore di Capodistria, anno scolastico 1867-68, Capodistria 1868; B. Ziliotto, Salotti e conversari capodistriani nel Settecento, in Archeografo triestino, s. 3, III (1906), pp. 317-340; Id., Trecentosessantasei lettere di Gian Rinaldo Carli capodistriano cavate dagli originali e annotate, ibid., IV (1908), pp. 84-91; D. Venturini, Il casato dei marchesi Gravisi, Parenzo 1907, pp. 136, 157-163, 173 s., 195 s., 202 s.; B. Ziliotto, Storia letteraria di Trieste e dell'Istria, Trieste 1924, pp. 59, 62; E. Veggetti, Note inedite di E. Beauharnais, in Rass. stor. del Risorgimento, XX (1933), pp. 109-125; B. Ziliotto, Accademie e accademici di Capodistria (1478-1807), in Archeografo triestino, s. 4, VII (1944), pp. 115-279; A. Maggiolo, I soci dell'Accademia patavina dalla sua fondazione (1599), Padova 1983, pp. 63, 151; G. Uggeri, Relazioni marittime tra Aquileia, la Dalmazia e Alessandria, in Antichità Altoadriatiche, XXVI: Aquileia, la Dalmazia e l'Illirico, I, Udine 1985, p. 160; C. Voltan, Le fonti letterararie per la storia della Venetia et Histria, I, Da Omero a Strabone, in Memorie dell'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, cl. di scienze morali, lettere ed arti, XLII (1989), pp. 429, 431; F. Semi, Istria e Dalmazia. Uomini e tempi, I, Bologna 1991, pp. 248-251; L. Ciancio, A calendar of the correspondence of John Strange F.R.S. (1732-1799), London 1995, pp. 20, 126 s.; I. Flego, Gian Rinaldo Carli e G. G., in Acta Histriae, V (1996), pp. 114, 128, 130; L. Sitran Rea, Studenti istriani all'Università di Padova nella prima metà del Settecento, ibid., pp. 157-187; G. Piccoli, Gli studenti istriani all'Università di Padova inquadrati nella cultura regionale dell'epoca, ibid., pp. 183-188; L. Širok, Il teatro capodistriano nel Settecento, in Atti del Centrodi ricerche storiche. Rovigno, XXVII (1997), pp. 529-579; I. Flego, G. G.: sparso in dotte carte, Capodistria 1998, p. 30; E. Ivetic, Oltremare. L'Istria nell'ultimo dominio veneto, Venezia 2000, pp. 160, 232, 338, 417-448.