MINOTTO, Gerolamo
– Nacque da famiglia patrizia veneziana presumibilmente nei primi decenni del sec. XV. Non abbiamo notizie della sua giovinezza e formazione.
Eletto bailo di Costantinopoli il 15 marzo 1450, in sostituzione di Arsenio Diedo, il 6 luglio dello stesso anno fu autorizzato dal Senato veneziano a prendere a prestito una somma equivalente al compenso del suo primo anno di carica.
Il M. non poté tuttavia raggiungere subito la città per cause non chiare, ma probabilmente da connettere all’interferenza della legazione che il Senato veneziano nell’agosto dello stesso anno inviò presso l’imperatore Costantino XI Paleologo (Dragazes) al fine di definire alcune questioni lesive per gli interessi veneziani. A causa dell’impossibilità di mandarlo nella capitale orientale, il 20 settembre dello stesso anno il Senato lo autorizzò a concorrere per altre cariche, come già era stato fatto in circostanze del genere.
La nuova disposizione non fu però messa in pratica e il 21 apr. 1451 il M. assunse effettivamente l’ufficio al quale era stato inizialmente destinato.
A Costantinopoli, dove risulta essere presente con la moglie e almeno due figli, il M. si trovò coinvolto nelle operazioni militari di difesa che si conclusero con la conquista turca della città. Il nuovo sultano ottomano, Maometto II, successo al padre Muràd II nel febbraio del 1451, nel corso dello stesso anno diede inizio infatti a giganteschi preparativi per l’assedio della capitale orientale e, verso la fine del 1451, l’imperatore Costantino XI inviò un incaricato a Venezia per chiedere urgentemente rinforzi onde evitare che la città cadesse in mano ai Turchi. Il Senato veneziano rispose in maniera evasiva il 14 febbr. 1452, evitando un impegno diretto e limitandosi solo all’invio di una certa quantità di polvere da sparo e di armature, come dal sovrano era stato richiesto.
Nell’aprile dello stesso anno, per ordine di Maometto II, iniziarono i lavori per la costruzione di un nuovo castello sulla sponda europea del Bosforo (Rumeli Hisar, chiamato dagli Ottomani Boghaz-kesen), che si aggiunse alla fortezza asiatica già esistente di Anadolu Hisar e che, una volta ultimato, nell’agosto del 1452, completò i preparativi già messi in atto per l’assedio della città. Quando la fortezza fu completata e i relativi cannoni messi in posizione, Maometto II dispose che tutte le navi che fossero passate per il Bosforo, in andata o al ritorno, avessero l’obbligo di fermarsi per pagare un dazio e ottenere il permesso di proseguire, pena in caso contrario l’affondamento.
Il 10 novembre due navi veneziane provenienti da Caffa riuscirono a forzare il blocco, ma il 26 dello stesso mese una nave mercantile veneziana proveniente dal Mar Nero, al comando di Antonio Erizzo, fu colpita dai cannoni per non aver rispettato l’ordine di fermarsi: il capitano e i marinai furono arrestati mentre cercavano di mettersi in salvo e vennero condotti ad Adrianopoli alla presenza del sultano. Maometto II liberò alcuni marinai inviandoli a Costantinopoli, ne mise uno come schiavo nel Serraglio e altri ne fece uccidere; dopo quattordici giorni dalla cattura, inoltre, ordinò di impalare l’Erizzo, sebbene nel frattempo il M., da Costantinopoli, avesse inviato come ambasciatore il veneto-cretese Fabruzzi Corner per implorarne la liberazione.
La minaccia turca su Costantinopoli nel frattempo si faceva più pesante e – dopo il fallimento dell’ultima ambasceria bizantina inviata a Venezia, che il 16 nov. 1452 ottenne risposta di fatto negativa alla richiesta di aiuto – il M. e i Veneziani presenti in Costantinopoli si risolsero a restare nella città e a cooperare alla difesa insieme con l’imperatore. In vista delle imminenti operazioni belliche, il M., in virtù dell’autorità derivante dalla sua carica, trattenne a Costantinopoli le tre galee da mercato e le due leggere che vi avevano fatto scalo, provenienti da Tana, senza inoltre lasciare partire le altre navi che già vi si trovavano e il 14 dic. 1452 convocò un consiglio nella chiesa di S. Marco, alla presenza dell’imperatore e del cardinale Isidoro di Kiev, sottoponendo ai ventuno compatrioti presenti le sue decisioni, che vennero confermate pena una multa di 3000 ducati per i capitani delle navi che avessero lasciato il porto, e insistendo sull’opportunità di eleggere due supervisori che lo affiancassero nelle imminenti necessità derivanti dallo stato di guerra fra Bizantini e Turchi, proposta che fu approvata a larghissima maggioranza. Il 17 dicembre fu poi convocato il Consiglio dei dodici della Comunità veneziana di Costantinopoli, che deliberò di informare il governo della madrepatria su quanto stava accadendo inviando a Venezia una nave al comando di Giovanni Duisnaghi per portare lettere del M., di Alvise Diedo, capitano delle tre galee da mercato, e di Gabriele Trevisan, capitano delle due galee leggere. Un nuovo Consiglio dei dodici, convocato il giorno 19, decise quindi di inviare allo stesso scopo altri dispacci via terra e per tutte le altre vie possibili, anche attraverso Chio, e il 22 dicembre in un’altra riunione del Consiglio furono redatti i tre dispacci indirizzati alla Signoria da affidare a diverse persone per avere maggiori possibilità che arrivassero a destinazione.
Nel frattempo i mercanti veneziani di Costantinopoli chiesero di poter caricare merci e averi sulle navi ancorate in porto e, il 26 gennaio, il M. insieme con loro e con i due capitani si recò in delegazione presso l’imperatore per ottenere l’assenso all’operazione; Costantino XI, temendo che in questo modo avrebbero preso il largo durante la notte, dapprima rifiutò, ma poi fu convinto a concederlo quando il Trevisan giurò che non sarebbero partiti senza la sua autorizzazione.
L’assedio turco di Costantinopoli ebbe inizio nei primi giorni dell’aprile 1453 e il M. insieme con gli altri veneziani partecipò attivamente alla difesa, lasciando il 6 aprile il palazzo lungo il Corno d’Oro in cui risiedeva per prendere posizione in quello imperiale delle Blacherne, ubicato all’altezza delle mura terrestri. Non sappiamo cosa il M. abbia fatto durante gran parte dell’assedio di Costantinopoli e lo ritroviamo citato di nuovo soltanto il 28 maggio, alla vigilia della caduta della città, allorché ordinò ai Greci di portare in un tratto di mura bombardato dai Turchi sette carri di ripari mobili di legno – detti mantelletti – che però vi arrivarono soltanto durante la notte e restarono inutilizzati a causa dell’infuriare della battaglia. Verso mezzogiorno dello stesso 28 maggio, alla vigilia dell’assalto decisivo, il M. dispose inoltre che tutti i veneziani raggiungessero le mura terrestri per prepararsi all’estrema resistenza. L’attacco degli Ottomani alle mura terrestri ebbe inizio verso le tre del mattino e poche ore più tardi le difese furono forzate.
Il M. fu catturato dalle truppe di Saghanos Pascià e il giorno successivo 30 maggio 1453 venne decapitato per ordine del sultano insieme con uno dei suoi figli, forse di nome Zorzi, e altri sette nobili veneziani, mentre la moglie andò incontro alla prigionia e un altro figlio, che potrebbe essere stato Polo, riuscì probabilmente a fuggire.
La notizia dell’esecuzione non era ancora arrivata a Venezia 17 luglio 1453, data in cui il Senato autorizzò un altro suo figlio – di cui non si conosce il nome (ma è possibile che si tratti dello stesso Polo nel frattempo rientrato a Venezia) – a imbarcarsi come balestriere su una galea per recarsi a Costantinopoli e qui riscattare dalla prigionia il padre, la madre e il fratello. Il 28 agosto, però, i fatti erano stati chiariti e il Senato veneziano concesse a una figlia del M. una dote di 1000 ducati in caso si fosse sposata, di 300 se fosse entrata in convento, alla moglie e ai figli una rendita annuale di 25 ducati ciascuno.
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G. Ravegnani