RAMORINO, Gerolamo
RAMORINO, Gerolamo. – Nacque a Genova l’8 aprile 1792 da Giovanni e da Maria, il cui cognome non è noto.
Il padre era un capitano della marina mercantile, che all’epoca possedeva «una cospicua fortuna» (Cometti, 1848, p. 3). Tuttavia, quando, fra il 1796 e il 1797, il suo vascello Il Rinomato fu sequestrato dai francesi nei Caraibi, la condizione finanziaria della famiglia subì un duro colpo. Una ‘voce popolare’ rilanciata, fra gli altri, da Vittorio Bersezio (1889, p. 304) affermava che Ramorino fosse il figlio naturale del futuro maresciallo di Napoleone Jean Lannes, ma tutto invita a considerarla un pettegolezzo forse alimentato dal fatto che il ragazzo fu inviato in Francia per ricevere un’educazione.
Nel 1802 Gerolamo fu messo a pensione a Parigi presso un signor Hix. Nel 1806 fu tra i primi ammessi al liceo di Versailles (dal tardo Ottocento, liceo Hoche). «Inclinato ei particolarmente agli studii matematici, si distinse tra gli altri» (Cometti, 1848, p. 3). Forse grazie alla protezione dell’ex patrizio genovese Girolamo Serra, che l’aveva tenuto a battesimo, il 15 novembre 1808 fu ammesso alla Scuola militare speciale di Saint-Cyr, da cui uscì il 3 aprile 1809 con il grado di sottotenente di fanteria. In quell’anno fece la campagna d’Austria, combattendo a Wagram, mentre nel 1810-11 fu di stanza «sur les côtes de l’Océan» (Chiala, 1896, p. 235).
Prendendo alla lettera l’affermazione di Alessandro Pesce di un Ramorino «soldato contro l’Austria» (Cenni biografici, 1849, p. 8), Bersezio (1889), preceduto e seguito da molti altri biografi del generale, celebra l’epopea di un «semplice gregario» che «pel suo valore, per l’intelligenza salì presto di grado, così che nel 1815 fu scelto dall’imperatore [...] a suo ufficiale d’ordinanza» (pp. 304 s.). In effetti la carriera militare di Ramorino sotto l’Impero fu senza dubbio esaltante, ma non così straordinaria come è stato a lungo creduto.
All’inizio del 1812 fu promosso luogotenente d’artiglieria e inviato in Russia. Nell’aprile del 1813 divenne capitano di fanteria e in giugno cavaliere della Legione d’onore. Nell’aprile del 1814, proprio alla vigilia della sua abdicazione, Napoleone gli conferì il cavalierato dell’Ordine della Riunione. Restaurati i Borboni, nonostante che «né la forza di tempo, né cambiamento di circostanze [gli] ave[ssero] fatto variare i principii succhiati col latte, apprezzando sempre più le idee di patria e di libertà» (Cometti, 1848, p. 4), Ramorino rimase al loro servizio e anzi in giugno fu promosso capo di squadrone di cavalleria. Durante i Cento giorni fece parte dello stato maggiore dell’imperatore. Dopo la definitiva caduta di Napoleone abbandonò l’esercito francese e si trasferì a Thonon, in Savoia, «presso un suo fratello che viveva quivi» (Cenni biografici, 1849, p. 9).
Nel 1821, a detta di Pio Bosi (1870), «si pose col conte Santorre di Santa Rosa a capo delle truppe insorte, delle quali impedì lo esterminio mediante un’abile ritirata da Casale sopra Alessandria» (p. 488).
Un’affermazione che appare accreditata da uno dei documenti raccolti nel Portafogli del generale Ramorino (Capolago 1849) circa la nomina, sottoscritta da Santa Rosa, del «già capo squadrone al servizio di Francia» a «maggiore di Stato generale per esercitare quelle incumbenze che vennero giudicate convenienti dal Ministero di Guerra» (p. 32). Tuttavia, non solo il documento porta una data, «Torino, li 18 aprile 1821», affatto improbabile, ma nelle sue memorie il generale Guillaume de Vaudoncourt, al quale fu affidato, dopo la sconfitta di Novara, il comando dell’esercito costituzionale piemontese allo scopo di salvarne «les débris» ([S. di Santa Rosa], De la révolution piémontaise, Paris 1822, p. 169), non ricordò affatto la collaborazione di Ramorino, che del resto non figura nel lunghissimo elenco dei compromessi nei moti di quell’anno.
Quando, nel novembre del 1830, scoppiò l’insurrezione in Polonia, Ramorino si trovava esule in Francia da un decennio: «il primo colpo di cannone che contro il colosso del Nord tuonò fu per lui un appello alle armi» (Cometti, 1848, p. 6). Stando ai repertori bibliografici che lo identificano con un «G.A. Romarino», promosse e curò la pubblicazione a puntate Der Kampf des Polnischen Volkes auf Tod und Leben oder Polens neuste Schicksale in historischen Gemälden, di cui uscirono nel 1831 dodici numeri presso un libraio di Augusta. Partecipò ai combattimenti contro i russi dagli ultimi giorni di marzo al settembre del 1831. La sua brillante condotta in numerose battaglie fu premiata da una serie di promozioni, che lo spinsero ai vertici dell’esercito polacco.
Nominato colonnello comandante di brigata al suo arrivo a Varsavia, venne promosso in aprile generale di brigata e in giugno generale di divisione; infine in luglio divenne generale d’armata comandante in capo il secondo corpo dell’esercito polacco.
Come avrebbe riassunto il suo primo biografo, intrecciando passato e avvenire, dopo la guerra in Polonia Ramorino poteva «di tante gesta [...] andar superbo, ma altre più gloriose ne attende [...] l’Italia [...], ché giunto il momento, lo invoca duce supremo nella terribile lotta, che formerà un’era novella pei destini di Europa tutta» (Cometti, 1848, p. 20). Ramorino era diventato una star dell’internazionale per la libertà dei popoli: «l’arrivée de Ramorino en France» fu «une fête de triomphe que peu de héros de l’histoire eurent l’honneur de obtenir» ([Harring], 1834, p. 63).
Va però ricordato che il suo comportamento nella fase finale della guerra fu assai discusso. L’ultimo comandante in capo dell’esercito polacco, il generale Kazimierz Małachowski, lo attaccò per aver disubbidito ai suoi ordini in un pamphlet intitolato Quelques mots concernant les ordres donnés par le général en chef de l’armée polonaise au corps du général Ramorino, après l’évacuation de Varsovie (pour servir à l’histoire de la campagne de 1831) e stampato a Parigi nel 1832. Secondo Harring, Ramorino si era comportato in quel modo in quanto sperava di diventare «généralissime de l’armée polonaise dans le royaume de Pologne» ([Harring], 1834, p. 62), grazie alla sua amicizia con il principe Adam Czartoryski, che aspirava a diventare re di Polonia «en se réconciliant avec la sainte-alliance» (p. 61).
In un État des services et de campagnes, che Ramorino consegnò al ministro della Guerra piemontese nel 1848, affermò di aver combattuto nel «1833 et 1836-37 en Portugal et Espagne» (Chiala, 1896, p. 235), ma si conosce ben poco di questa sua partecipazione al fianco dei liberali ispanici. A sua volta l’État ignorava una campagna che si era risolta in un completo fallimento, quella organizzata da Giuseppe Mazzini che avrebbe dovuto ‘liberare’ la Savoia nel febbraio del 1834. Ramorino fu scelto da un riluttante Mazzini quale comandante in capo della spedizione soltanto perché gli altri patrioti «volevano messo a capo dell’invasione un uomo militare, di grado superiore, e che alla capacità aggiungesse il fascino della rinomanza» e «indicavano il generale Ramorino» (Mazzini, 1938, p. 165). Come raccontò Ramorino in una Lettre au redacteur de la Gazette de Lausanne che fu stampata a Ginevra insieme a una replica di Mazzini, la Réponse de la Jeune Italie (Genève 1834), e con maggiori particolari in un Précis sur les derniers événemens de Savoie (Paris 1834), il tentativo insurrezionale gli parve immediatamente privo di qualsiasi speranza di successo e divenne quindi inevitabile uno scioglimento delle colonne, che fu in ogni caso malamente gestito. Nonostante la rottura con Mazzini e le reiterate accuse di comportamenti ‘immorali’ (come quelle di amare il gioco e la bella vita oltre che di essere pieno di debiti), negli anni successivi il generale conservò un sicuro appeal in campo democratico.
Dopo le campagne degli anni 1830 Ramorino visse a Parigi. Nel 1847 il generale ritenne che fosse suonata la sua ora. Offrì la sua spada prima a Pio IX poi a Carlo Alberto, ma invano. Dopo che, nel marzo del 1848, il re di Sardegna lo aveva amnistiato, Ramorino rientrò in Italia nella speranza di essere chiamato ai vertici dell’esercito piemontese o di quello lombardo. Soltanto alla fine di ottobre Carlo Alberto gli affidò, di malavoglia, il comando di una divisione lombarda, che era tentata dall’idea di appoggiare i piani insurrezionali di Mazzini e che in ogni caso richiedeva di essere comandata da un democratico. Nel gennaio del 1849 fu eletto deputato dal collegio di Vercelli. Quando, il 20 marzo, ripresero le ostilità fra il Regno di Sardegna e l’Austria, Ramorino ricevette l’ordine di fronteggiare il nemico alla Cava, tra il Po e il Ticino. Ma il generale, convinto che gli austriaci minacciassero Alessandria, eseguì solo parzialmente gli ordini e le poche truppe inviate alla Cava furono soverchiate da quelle di Radetzky, che poterono avanzare in direzione di Mortara e di Novara.
Ramorino fu accusato di aver dato un contributo determinante, il che era vero solo in parte, al collasso dell’esercito piemontese: come riassunse Carlo Pisacane, «egli non era che un generale poco abile, che altre volte erasi assai malamente condotto; ma in questa circostanza non fu che una vittima» (Guerra combattuta in Italia negli anni 1848-49, Genova 1851, p. 220). Arrestato il 24 marzo, fu sottoposto a processo in maggio e condannato a morte in quanto colpevole di disobbedienza agli ordini. Il ricorso in Cassazione contro la sentenza fu respinto.
Fu fucilato da un plotone d’esecuzione in piazza d’Armi a Torino il 22 maggio 1849.
Fonti e Bibl.: [H. Harring], Mémoires sur la Jeune Italie et sur les derniers événements de Savoie, Paris 1834; L. Cometti, Biografia del generale G. R., Venezia 1848 (ristampa di un opuscolo pubblicato anonimo a Parigi s.d. [1833?]); Processo del generale R. Consiglio di Guerra, seduta pubblica tenutasi il 3 maggio 1849, Torino 1849; Processo del generale R. condannato a morte e sua esecuzione (22 Maggio 1849), s.l. s.a. [1849] (versione in tedesco: Prozess des Generals Ramorino, a cura di W. Meyer-Ott, Zürich-Mailand 1849); [A. Pesce], Cenni biografici di R., in Documenti della guerra santa d’Italia, V, Il portafogli del generale G. R., Capolago 1849 (alcuni documenti del Portafogli furono tradotti in italiano in G. Ramorino, Io non accuso!, a cura di A. Consiglio, Roma 1945); G. R., in Supplemento alla Nuova enciclopedia popolare, Torino 1851, pp. 448-451; P. Bosi, Il soldato italiano istrutto nei fasti militari della sua patria, dalle epoche più remote fino ai nostri giorni. Dizionario storico, biografico, topografico, militare d’Italia, Torino 1870, pp. 488-490; V. Bersezio, Il regno di Vittorio Emanuele II. Trent’anni di vita italiana, IV, Torino 1889, passim; T. Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale, Terni 1890, ad nomen; L. Chiala, La vita e i tempi del generale Giuseppe Dabormida, Torino 1896, passim.
F. Lemmi, Intorno al generale R. Documenti inediti, in Il Risorgimento italiano, n.s., XVI (1923), 3-4, pp. 289-346; T. Galimberti, Il processo del generale R., in Rassegna storica del Risorgimento, XIV (1937), 2, p. 159-193; G. Mazzini, Note autobiografiche, in Id., Scritti editi ed inediti, LXXVII, Imola 1938, ad ind.; P. Pieri, L’esercito piemontese e la campagna del 1849, Torino 1949, ad ind.; E. Bettini, R., delitto di Stato?, Firenze 1987; G. Luseroni, Giuseppe Mazzini e i democratici nel Quarantotto lombardo, Roma 2007, pp. 268, 277, 279 s., 314; G. Bron, The exiles of the Risorgimento: Italian volunteers in the Portuguese Civil War (1832-34), in Journal of Modern Italian Studies, XIV (2009), 4, pp. 431 s.; W. Bruyère-Ostells, La grande armée de la Liberté, Paris 2009, pp. 17, 182, 249, 269-271, 276 s., 284; A. Di Paola - I. Affede, Il caso R. Storia di un omicidio di Stato, Torino 2009; D. Diaz, Un asile pour tous les peuples ? Exilés et réfugiés étrangers en France au cours du premier XIXe siècle, Paris 2014, ad ind.; Camera dei Deputati, Portale storico, http://storia. camera.it/deputato/girolamo-ramorino-1792#nav (26 febbraio 2016).