THEODOLI, Gerolamo
– Nacque a Roma nel 1677 da Carlo e dalla nobildonna Francesca Sacchetti, «ultimo discendente del ramo romano dei marchesi di San Vito» (Spesso, 1991b, p. 450 nota 1).
Sebbene l’atto di battesimo risulti irreperibile, l’anno di nascita viene considerato certo in ragione del fatto che nei registri degli Stati d’anime della parrocchia di S. Maria in Via dell’anno 1678 Gerolamo è «annotato con l’età di un anno» (Spesso, 1991a, p. 19 nota 1).
Le fonti non forniscono notizie sicure sulla sua formazione artistica; per Francesco Milizia, Theodoli fu un autodidatta al pari del prozio cardinale Mario (v. la voce in questo Dizionario), il quale aveva intrapreso la costruzione della chiesa dei Ss. Sebastiano e Rocco nel feudo di famiglia di San Vito Romano, interrotta alla sua morte, e di Carlo, che portò a compimento la fabbrica annettendovi un edificio a uso di convento per i carmelitani di Monte Santo, «commodo, e capace di dodeci religiosi» (Piazza, 1703, p. 237).
Nel 1697, alla morte del padre, Gerolamo gli successe col titolo di marchese di San Vito. Nel 1700, ventitreenne, fu eletto conservatore in Campidoglio; nella primavera del 1709 fu, per volere del pontefice Clemente XI, tra i cavalieri al seguito di Federico IV, re di Danimarca e Norvegia, durante il suo soggiorno romano. Nello stesso anno prese parte al concorso per il ruolo di maestro delle Poste (F. Valesio, Diario di Roma, a cura di G. Scano - G. Graglia, IV, Milano 1978, p. 357); le scarse notizie riguardo all’attività pubblica del giovane marchese hanno fatto supporre che nei primi anni del XVIII secolo egli fosse impegnato eminentemente presso la Camera apostolica e l’Arte dell’agricoltura (Spesso, 1991a, p. 19) nelle consuete attività riservate agli esponenti della nobiltà.
Alle attività di natura amministrativa e gestionale Theodoli affiancò la passione per la letteratura e la poesia. Ammesso tra gli accademici dell’Arcadia nel 1723 con il nome di Audalgo Toledermio, compose sonetti di argomento «moraleggiante e religioso» (p. 20). Di epoca più tarda sono le commedie di stampo goldoniano La marchesa di Prato Falciato o sia l’impostor ravveduto, Il Giuoco del Lotto o sia l’impostor ostinato, La contessa Vanga o sia l’impostor punito, pubblicate nel 1761, «notevolissima testimonianza circa l’intricata serie di interessi culturali del marchese, che vede fondersi in unità poesia, teatro e musica» (p. 21). L’interesse per l’arte ne fece un collezionista: la sua quadreria annoverava numerose opere selezionate «secondo un criterio eclettico mirante, forse, all’acquisizione di un compendioso florilegio di pittura moderna» (ibid.). Emerge da tutto ciò quel che appare il tratto più caratterizzante della personalità di Gerolamo, che conferma quanto narrato dai contemporanei: «una personalità onnivora e insaziabile, volta ad abbracciare tutte le manifestazioni culturali, intese non solo come precipue della humanitas, ma anche e soprattutto come attività dilettevole» (ibid.).
In un siffatto contesto si pone l’interesse per l’architettura, cui Theodoli si accostò con «un approccio, almeno all’inizio, tutto letterario e, di certo, fortemente intellettualistico, frutto delle lunghe peregrinazioni nei vasti territori della cultura, e privo, per lungo tempo, di coinvolgimenti concreti» (p. 23).
La prima opera nota risale al 1715, anno nel quale è dato per ultimato il campanile di S. Biagio in San Vito Romano, «palese esempio delle sue iniziali sperimentazioni progettuali circoscritte all’ambito privato dei propri beni» (p. 30).
Nel 1720 Theodoli fu eletto accademico d’onore in S. Luca; nominato accademico di merito nel 1726, fu eletto principe negli anni 1735, 1742, 1743 e 1750.
Fonti dell’epoca riferiscono che al 1723 fosse alle prese con alcune significative realizzazioni del pontificato di Innocenzo XII Conti, suo parente, per mezzo del quale Gerolamo poté essere a tutti gli effetti annoverato tra gli architetti attivi a Roma.
In quell’anno, già impegnato nella collaborazione alla costruzione del portale mediano della basilica di S. Giovanni in Laterano, aveva preso parte, quale unico membro architetto, alla Consulta per la scelta del progetto della scalinata di Trinità dei Monti (Chracas: Diario Ordinario n. 959, 25.9.1723, p. 7). Intorno al ruolo di consulente per l’esecuzione del modello della facciata della basilica lateranense non sussistono a oggi dati certi: le fonti ufficiali riferiscono, infatti, che l’incarico fosse stato conferito agli architetti Filippo Barigioni, Antonio Canevari, Filippo Crenoli e Tommaso Manfredi, a dimostrazione del «carattere nepotista, quasi privato, dell’affidamento del lavoro a Theodoli» (Spesso, 1991a, p. 32). La questione della realizzazione della facciata non conobbe sviluppi sostanziali fino all’ascesa al soglio pontificale di Clemente XII, il quale bandì il noto concorso al 1732 che vide vincitore Alessandro Galilei.
Morto Innocenzo XIII, Benedetto XIII Orsini indisse un concorso al quale prese parte anche Theodoli, ormai privo dell’appoggio del suo protettore. Durante il pontificato Orsini curò i lavori di ampliamento del conservatorio della Divina Provvidenza e di ricostruzione dell’oratorio annesso, consacrato nel 1728.
L’attribuzione dell’opera è attestata unicamente dalle guide dell’epoca, non essendo il marchese solito sottoscrivere documenti di cantiere né percepire alcun compenso; il lessico architettonico e stilistico qui adottato, riproposto nelle architetture realizzate successivamente, non sembra lasciare dubbi sulla paternità.
Nel 1727 Gerolamo si cimentò nell’allestimento degli apparati decorativi per la canonizzazione di s. Pellegrino de’ Laziosi in S. Marcello. La nuova cappella dedicata al santo nella medesima chiesa, realizzata da Ludovico Rusconi Sassi, denota caratteri vicini al linguaggio di Theodoli che hanno fatto supporre un contatto tra i due architetti.
Nel 1729 i padri serviti intrapresero la costruzione del convento adiacente alla chiesa di S. Nicola in Arcione, poi demolita in occasione dell’apertura di largo del Tritone. L’incarico, affidato a Theodoli e ultimato nel 1733, riguardò la realizzazione della nuova fabbrica e la risistemazione della chiesa. Nel 1731, con il marchese Alessandro Gregorio Capponi, Theodoli fu deputato al restauro dell’arco di Costantino.
Nel medesimo anno avviò, per il duca Giuseppe Cesarini, figlio di Vittoria Conti, la realizzazione dell’odierno teatro Argentina. Spinto dalla necessità di risanare il patrimonio di famiglia, il duca aveva ottenuto un prestito di 20.000 scudi, concessogli da Clemente XII con chirografo del 23 maggio 1731. Il progetto risultò, data l’esiguità della somma stanziata, «informato ad una necessaria povertà tipologica e formale» (Spesso, 1991a, p. 46).
A Nicola Zabaglia fu affidata la realizzazione della struttura di copertura, costituita da otto capriate a tre monaci «per il calcolo delle quali Theodoli doveva essere completamente incompetente» (ibid.). La conformazione della sala a ferro di cavallo ricalca uno schema già utilizzato da Carlo Fontana per il teatro di Tordinona. All’involucro murario a pianta quadrata era connessa una struttura interna completamente lignea. Il fronte originario mancava di qualsiasi dettaglio formale; l’essenzialità del linguaggio, evidente anche negli interni, rende manifesta «un’attenzione per lo studio tipologico e i suoi problemi tecnici e distributivi» (p. 48).
Nel 1742 Theodoli fu deputato alla conservazione della colonna di Antonino Pio; nel 1743 Benedetto XIV lo designò membro della congregazione per il restauro della cupola vaticana (Poleni, 1748, p. 126). Tra il 1745 e il 1759 fu, con Pietro Paolo Boccapaduli, fabbriciere della Camera capitolina.
Intorno alla metà del secolo operò nei possedimenti della famiglia e in Vicovaro, feudo dei Bolognetti, con i quali era imparentato a seguito del matrimonio di Ferdinando con sua sorella Flavia.
In San Vito, Gerolamo portò a compimento la ricostruzione della cappella del santo eponimo del luogo, collocata al di fuori dell’abitato, con facciata ripartita da paraste: l’impianto mostra analogie con quello, più tardo, di S. Maria de Arce.
Al 1755 risale l’intervento di ricostruzione del ponte degli Arci nei pressi di Tivoli; in Vicovaro Theodoli curò, su incarico del nipote Giacomo Bolognetti, la fabbrica della chiesa di S. Pietro (1743-55). Nel 1759 è data per ultimata la chiesa di S. Maria della Palla in Ciciliano.
A Roma, nel 1750, Theodoli diede inizio alla ricostruzione della chiesa dei Ss. Pietro e Marcellino in via Merulana; terminata nel 1757, l’opera denota «una cultura architettonica approfondita e, ormai, compiutamente storicista, ove ogni elemento rimanda a plurimi riferimenti» (Spesso, 1991a, p. 145). Tra le ultime opere sono da annoverarsi le tombe Marefoschi e Simonetti in S. Salvatore in Lauro, realizzate dallo scultore Carlo Monaldi (1750-51), il campanile e il convento della chiesa di S. Maria in Montesanto (1758), un prezioso tabernacolo in S. Antonio de’ Portoghesi (1764).
Negli ultimi anni della sua vita Theodoli si dedicò prevalentemente all’attività didattica. Tra i suoi allievi e collaboratori furono Pietro Torelli, Cosimo Morelli, Giovanni Antinori, Giuseppe Bonomi e Joseph Subleyras, il pittore Giacomo Triga e il poeta Paolo Rolli.
Morì a Roma il 10 ottobre 1766; fu sepolto nella cappella di famiglia in S. Maria del Popolo (ibid., p. 203).
Fonti e Bibl: C.B. Piazza, La gerarchia cardinalizia, Roma 1703, pp. 237 s.; L. Pascoli, Vite de’ pittori, scultori ed architetti moderni, Roma 1730, pp. 33, 67; G. Gaddi, Roma nobilitata nelle sue fabbriche dalla Santità di Nostro Signore Clemente XII..., Roma 1736, pp. 117, 119; Le Rime degli Arcadi, X, Roma 1747, pp. 63-69; G. Poleni, Memorie istoriche della gran cupola del Tempio Vaticano, Padova 1748, pp. 126, 280 s.; Commedie di Audalgo Toledermio pastore arcade, Roma 1761; F. Milizia, Memorie degli architetti antichi emoderni, II, Parma 1781, pp. 339-341; Id., Roma delle belle arti del disegno, I, Bassano 1787, p. 194; M. Missirini, Memorie per servire alla storia della romana Accademia di San Luca fino alla morte di Antonio Canova, Roma 1823, pp. 210 s., 227, 479; G.B. Di Crollalanza, Dizionario storico-blasonico delle famiglie nobili e notabili italiane estinte e fiorenti, III, Pisa 1890, p. 49; Le lettere di Luigi Vanvitelli della Biblioteca Palatina di Caserta, a cura di F. Strazzullo, I, Galatina 1977, pp. 150 s.; M. Spesso, La cultura architettonica a Roma nel secolo XVIII: G. T. (1677-1766), Roma 1991a; Id., T., G., in In Urbe Architectus. Modelli, disegni, misure. La professione dell’architetto. Roma, 1680-1750 (catal., 1991-1992), a cura di B. Contardi - G. Curcio, Roma 1991b, pp. 449 s.; Id., Rapporti tra produzione letteraria e progettazione architettonica: il caso di G. T., in Esperienze letterarie, XVII (1992), 3, pp. 95-102; P. Hurtado Valdez, L’architettura settecentesca a Roma di G. T.: la chiesa di San Nicola in Arcione e l’Oratorio della Divina Provvidenza, 1996, http://oa.upm.es/ 5417/1/Theo doli-San_Nicola-Divina_Provvidenza_%C3% A0_Roma.pdf (15 maggio 2019); S. Franchi, Drammaturgia romana, II, (1701-1750), Roma 1997, pp. LXI, 179, 252; S. Pasquali, Raguzzini, T. e Fuga: progetti per il completamento della fabbrica della Pinacoteca in Campidoglio, in L’Arte per i giubilei e tra i giubilei del Settecento. Arciconfraternite, chiese, personaggi, artisti, devozioni, guide, a cura di E. Debenedetti, II, Roma 2000, passim; La chiesa dei Ss. Sebastiano e Rocco in San Vito Romano. Storia e restauro, a cura di D. Fiorani, Roma 2003, pp. 58, 85; V. Giontella, L’opera di Giovanni Antinori. Biografia di un architetto operante a Roma e a Lisbona nel sec. XVIII, in Estudos italianos em Portugal, n.s., I (2006), pp. 203-212; T. Chirico, La Datira: un dramma ritrovato di Giulio Rospigliosi, in Rivista italiana di musicologia, XLVII (2012), pp. 61-81; S. Sturm, L’architettura dei carmelitani scalzi in età barocca. La ‘Provincia Romana’ (1597-1705), Roma 2012, p. 151 nota 25; A. Cerutti Fusco - S. Cancellieri, Una chiesa per i Bolognetti principi della terra di Vicovaro: un tempio armonico di T. da restaurare e da valorizzare, in Il tempietto di San Giacomo e la chiesa di San Pietro a Vicovaro. Restauri e studi interdisciplinari tra architetture e paesaggi, Roma 2014, pp. 59-70; M. Spesso, G. T. e la famiglia Bolognetti: ratiocinatio et fabrica della chiesa di San Pietro a Vicovaro (1743-1759), ibid., pp. 51-58.