GERONE (‛Ιέρων, dor. ‛Ιάρων) I
Signore di Siracusa, secondogenito di Dinomene. Quando suo fratello Gelone si trasferì a Siracusa, G. fu lasciato al governo di Gela. Combatté sotto Imera contro i Cartaginesi, e nel 478-7 succedette al fratello nella signoria di Siracusa. Ma si aperse presto un conflitto tra lui e il fratello minore, Polizelo, che aveva nelle mani il comando dell'esercito, e avendo presa in moglie la cognata Demarete vedova di Gelone, si era legato con duplice parentela a Terone, tiranno di Agrigento, al quale aveva sposato una figlia. Polizelo riparò ad Agrigento, e ne seguì una guerra tra G. e Terone; ma quando già i due eserciti erano a fronte, sul fiume Gela, il poeta Simonide riuscì a interporsi e a trattare la pace (476). Polizelo poté tornare a Siracusa; ma da questo momento egli non appare più negli avvenimenti politici della città. Anassila tiranno di Reggio (v.) aveva cercato in questo mezzo di rendersi padrone della città di Locri; ma dovette desistere dal proposito per un energico intervento diplomatico di G. Dopo la pace con Terone, questi trasportò a Leontini gli abitanti delle città di Nasso e di Catania, e stanziò in quest'ultima città una colonia militare dorica, formata di soldati fatti venire in parte da Siracusa in parte dal Peloponneso. La nuova città così fondata ebbe nome Etna; G. si fece chiamare Etneo, ed ebbe gli onori che spettavano ai "fondatori". Egli pose a governare la nuova città il figlio Dinomene. Il protettore di Etna fu Giove Etneo, a cui venne alzata una statua, che secondo ogni probabilità è quella raffigurata in un magnifico tetradramma, di cui rimane un esemplare a Bruxelles.
Due anni dopo (474), gli abitanti di Cuma, in Campania, si rivolsero a G. per avere aiuto contro gli Etruschi, la cui potenza sul mare doveva peraltro riuscire molesta agl'interessi politici e commerciali di Siracusa. Nelle acque di Cuma la flotta di G. riportò su quella etrusca una splendida vittoria, esaltata da Pindaro, e a noi ricordata da un prezioso monumento, un elmo di bronzo mandato a Olimpia, e trovato un secolo addietro nel letto dell'Alfeo. In esso è incisa la dedica; "Gerone ed i Siracusani (consacrano) a Giove (questa spoglia) dei Tirreni (riportata) da Cuma". Altri due anni dopo (472), G. venne a guerra con Trasideo, succeduto al padre Terone nella signoria di Agrigento. L'esercito siracusano avanzò sino al fiume Acragas. Trasideo fu vinto e poi cacciato dai suoi sudditi. Ad Agrigento e a Imera si costituirono governi repubblicani. Anche la minaccia cartaginese che di quando in quando si riaffacciava finì con dileguare.
G. fu principe di grande generosità. Ebbe una corte splendida, alla quale si diedero convegno i poeti più famosi del tempo: Eschilo, Pindaro, Simonide, Bacchilide, Epicarmo. Non s'era vista mai altrove, e specie in Occidente, tanta gloria di poesia. Egli godeva di prender parte ai grandi giuochi della Grecia, e a Delfi e ad Olimpia i suoi puledri riportarono alle corse vittorie celebrate dagl'inni di Pindaro e di Bacchilide. In seguito alla sua vittoria nella corsa delle quadrighe a Olimpia egli ordinò a uno scultore celebre un gruppo di bronzo che fu poi dedicato dal figlio dopo la sua morte (466). Fu sepolto in Etna, e venerato come eroe.
Bibl.: A. Holm, Storia della Sic. nell'ant., trad. ital., I, Palermo-Torino 1896, p. 406 segg.; E. A. Freeman, Hist. of Sic., II, Oxford 1892, p. 232 segg.; J. Beloch, Gr. Gesch., 2ª ed., II, i, Berlino 1922, p. 73 segg.; G. Busolt, Gr. Gesch., 2ª ed., II, Gotha 1894, p. 797 segg.; Th. Lenschau, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VIII, col. 1496 segg.