GERONE II
. Nacque in Siracusa di modesta famiglia circa il 306 a. C. Si segnalò come ufficiale combattendo contro i Cartaginesi al tempo della spedizione di Pirro in Sicilia. Qualche tempo più tardi (275-4), in seguito a un pronunciamento, fu dai soldati acclamato loro capo insieme con un tale Artemidoro. Riuscito a farsi accogliere in Siracusa, fu dai Siracusani riconosciuto come stratego, e accrebbe il suo potere sposando Filistide, figlia di Leptine, cittadino autorevole e di nobile famiglia. Movendo poi in guerra contro i Mamertini, cioè contro i mercenarî di Agatocle, che s'erano impadroniti di Messina, venne a battaglia presso Centuripe sul fiume Ciamosoro, e toccò una sconfitta, che storici compiacenti rappresentarono come da lui voluta per liberarsi dai riottosi suoi mercenarî. Riordinato l'esercito con forze mercenarie e cittadine, attaccò i Mamertini nella pianura di Milazzo presso il fiume Longano, e riportò una decisiva vittoria dopo la quale fu proclamato re dai Siracusani e dagli alleati. Dalla vittoria (265), sebbene avesse guadagni morali e territoriali, non conseguì l'ambito frutto di riconquistare Messina, perché i Cartaginesi chiamati dai Mamertini v'introdussero subito un presidio, e G., sebbene dall'opinione pubblica, di cui si fece eco il poeta Teocrito col suo XVII idillio (‛Ιέρων ἢ Χάριτες), fosse incitato a muovere guerra contro Cartagine, se ne astenne. Espulsi i Cartaginesi da Messina e occupata la città da un presidio romano, contro Romani e Mamertini strinsero lega i Cartaginesi e Gerone, e assediarono Messina (264) per mare e per terra. Tuttavia, eludendo la vigilanza della squadra cartaginese, il console romano Appio Claudio Caudice riuscì a introdurre in Messina le sue due legioni, con le quali attaccò separatamente i Greci e i Cartaginesi, che in due campi separati stringevano d'assedio Messina, e che erano troppo lontani per potersi scambievolmente soccorrere. Di entrambe le battaglie si ascrissero la vittoria tanto i Romani quanto gli avversarî, ma non furono battaglie decisive, e la prova ne è che Appio non ottenne il trionfo, e che l'anno seguente (263) invece di due furono inviate in Sicilia quattro legioni. Anche questa volta i Romani forzarono il blocco cartaginese, e questo spiega probabilmente come G., deluso, ritenendosi troppo inferiore alle forze romane, abbandonò l'assedio ripiegando su Siracusa. Tale abbandono ebbe l'effetto che anche i Cartaginesi per parte loro dovettero ritirarsi da Messina. Il console Marco Valerio profittò di questo successo per invadere immediatamente il territorio siracusano, strappando a G. uno dopo l'altro i suoi alleati e sudditi, compresa l'importante Catania, e minacciando di assediarlo in Siracusa. Una flotta inviatagli in soccorso dai Cartaginesi non giunse a tempo per impedire ch'egli venisse a patti con Roma, conservando quel tanto che gli rimaneva del suo territorio, cioè la metà circa con Leontini, Megara Iblea, Siracusa, Acre, Noto ed Eloro, e più a N. Tauromenio, pagando cento talenti e obbligandosi per quindici anni a un tributo annuo di venticinque, promettendo di aiutare i Romani nella loro guerra con Cartagine. A questo trattato, che fu poi rinnovato senza più obbligo di tributo nel 248, G. rimase fedele per tutta la vita. Egli aiutò validamente i Romani durante la prima guerra punica alla conquista della Sicilia, e, scoppiata la seconda guerra punica, non solo cooperò efficacemente ad impedire una sorpresa tentata all'inizio della guerra dai Cartaginesi sul Lilibeo, ma soccorse di soldati e di vettovaglie i Romani anche dopo le prime gravissime sconfitte da essi toccate. Questa sua politica fruttò ai Siracusani un mezzo secolo di pace e di opulenza. Fiorivano i commerci con l'oriente ellenico, e Siracusa e le altre città del regno di G. si arricchivano di edifici, templi, teatri, ginnasî. In Siracusa G. abbellì il teatro, eresse un altare colossale e rinnovò il palazzo reale nell'isola di Ortigia. Si occupò anche G. della difesa di Siracusa e ne munì le mura di poderose macchine da guerra, la cui costruzione fu curata dal grande matematico siracusano Archimede, che godette la protezione del re. G. del resto, oltre che le buone relazioni con Roma, che egli visitò personalmente, primo tra i principi greci, nel 237, curò anche quelle con altri stati, particolarmente con l'Egitto dei Tolomei, a cui donò una magnifica nave da lui fatta costruire, e con Rodi, che sovvenne generosamente, dopo un grave terremoto. Anche con Cartagine, nel periodo della pace, egli volle avere buone relazioni e l'aiutò di vettovaglie durante la guerra dei mercenarî, rendendosi conto dell'importanza che il sopravvivere di Cartagine aveva anche per Siracusa. La tradizione celebra a buon diritto G. come sovrano mite, generoso, illuminato, sagace. Si sa che mostrò assai riguardo alle forme costituzionali e che richiamò in vigore, rammodernandola, l'antica legislazione di Diocle. Il suo ordinamento tributario, di cui viene vantata la moderazione e nello stesso tempo la precisione (lex Hieronica) fu dai Romani esteso più tardi anche a quella parte di Sicilia, su cui egli non aveva dominio. Certo, con la sua pace con Roma e l'appoggio datole, egli ha favorito l'asservimento della Sicilia greca ai Romani e preparato quello della stessa Siracusa che avvenne poco dopo la sua morte. Ma si può dire che tale asservimento era inevitabile e che la politica di G., se perseguita con ferma coerenza, avrebbe risparmiato a Siracusa il disastro con cui terminò l'ultima guerra con Roma e le avrebbe permesso di continuare a fiorire ancora per lungo tempo come focolare di cultura ellenistica al pari di Marsiglia e di Rodi. Ma il sentimento nazionale e il desiderio vivissimo dell'indipendenza impedirono che dopo la morte di G. si seguisse questa via. E già non disposto a seguirla era l'unico figlio maschio di G., Gelone, da lui associato nel regno. Ma questi premorì al padre, lasciando un figlio ancora giovinetto, Geronimo, che G. lasciò erede del regno (215), costituendogli un consiglio di reggenza. Lasciò anche due figlie, Demarata ed Eraclea, sposate ad Adranodoro e a Zoippo, due ragguardevoli siracusani che furono da G. inclusi nel consiglio di reggenza.
Bibl.: Tutte le storie greche e romane, delle quali siano qui citate soltanto, specie per le discussioni cronologiche, K. J. Beloch, Griech. Geschichte, IV, ii, Berlino 1927, pp. 278 segg., 286 seg., 533 segg.; G. De Sanctis, Storia dei Romani, III, i, Torino 1916, p. 94 segg.; III, ii, Torino 1917. Inoltre: O. Meltzer, Gesch. der Karthager, II, Berlino 1896, p. 244 segg.; A. Holm, Storia della Sicilia, trad. it., III, i, Torino 1901, p. 61 segg.; W. Hüttl, Verfassungsgeschichte von Syrakus, Praga 1929, p. 134 segg.; Th. Lenschau, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VIII, col. 1503 segg. Per le monete: A. Holm, op. cit., III, ii, trad. it., Torino 1906, p. 207 segg.; W. Giesecke, Sicilia numismatica, Lipsia 1923, p. 117 segg. Per la lex Hieronica, v. Degenkolb, Die lex Hieronica, Berlino 1861; E. Ciccotti, Il processo di Verre, Milano 1895; J. Carcopino, La loi de Hiéron et les Romains, Parigi 1919; R. Scalais, in Musée Belge, XXVII (1923), p. 189 segg. Per l'opera edilizia di G., B. Lupus, Die Stadt Syrakus im Altertum, Strasburgo 1887, p. 205 segg.