gerundio
Il gerundio è un modo verbale non finito invariabile, formato con i suffissi -ando (prima coniugazione) e -endo (seconda e terza). Ha una forma semplice (cantando) e una forma composta (avendo cantato).
Il gerundio italiano deriva dal gerundio latino, rispetto al quale presenta, tuttavia, importanti differenze d’uso. In particolare, il gerundio latino supplisce ai casi obliqui dell’infinito, e nella maggior parte dei casi è sostituito in italiano dall’infinito: genitivo ars amandi «l’arte di amare», dativo inutilis dicendo «inutile da dire», accusativo preposizionale paratus ad pugnandum «pronto a combattere». Il gerundio italiano trae origine, invece, dal caso ablativo del gerundio latino (docendo discimus «insegnando impariamo») e si sostituisce, a sua volta, al participio presente latino nella funzione di proposizione avverbiale: et haec dicens, expiravit «e dicendo questo, spirò» (Luca 23, 46). Ci sono anche residui del gerundivo (cfr. § 4).
Nella lingua moderna, il gerundio svolge due funzioni sintattiche:
(a) assume valore predicativo in costruzioni perifrastiche;
(b) funge da subordinata avverbiale.
Il gerundio predicativo compare in costruzioni perifrastiche (➔ perifrastiche, strutture) di cui il verbo reggente è stare o andare:
(1) Dopo quel tempo la nostra amicizia andò scemando (Grazia Deledda, Il vecchio della montagna, p. 114)
(2) ... i loro ufficiali nei due bar che stavano bevendo caldo e tormentando le cameriere (Beppe Fenoglio, Una questione privata, p. 95)
Per via della ➔ grammaticalizzazione dei verbi reggenti, con tali perifrasi, più che movimento o ubicazione, si sottolinea il processo dell’azione. Il verbo stare è soggetto a una restrizione di tipo aspettuale, in quanto non è possibile formarne la relativa perifrasi in un tempo passato perfettivo (passato prossimo o passato remoto; ➔ aspetto). Di conseguenza, si può avere è andato diffondendosi ma non * è stato diffondendosi. In tal senso, il gerundio italiano si distingue dalla forma equivalente in spagnolo in cui è grammaticale la costruzione estuve estudiando (lett. «stetti studiando»).
La costruzione perifrastica con il verbo stare seguito da gerundio non è attestata nella fase più antica della lingua. Invece, nell’italiano antico come anche nella lingua letteraria, la costruzione interessa pochi altri verbi reggenti, in particolare mandare e venire:
(3) Il re s’adira forte del partire di Tristano; e raunò baroni e suoi cavalieri, e mandò commanda[nd]o a Tristano che sotto pena del cuore non si partisse sanza suo commiato (Novellino LXV, 119)
(4) io venivo tentando di figurarmi concretamente ciò che potesse significare per i tardi etruschi di Cerveteri [...] la frequentazione assidua del loro cimitero suburbano (Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini, p. 343).
Il gerundio proposizionale, nell’italiano moderno, ha sempre funzione avverbiale e può modificare sia la predicazione, in quanto avverbiale di predicato, sia la proposizione principale, in quanto avverbiale di frase.
I valori semantici del gerundio proposizionale, non sempre facilmente distinguibili, si riassumono in otto punti nell’elenco che segue.
(a) Il gerundio può fungere da avverbiale di maniera. Se ne possono individuare due tipi: quello in cui il gerundio descrive le modalità con cui si svolge l’azione principale (5), e quello in cui, invece, descrive un atteggiamento o una circostanza che accompagna lo svolgimento dell’azione principale (6):
(5) Col vecchio Fenoaltea e con Gaetano parlò canzonando, e il vecchio rideva chino sul banco (Cesare Pavese, Il carcere, p. 93)
(6) pochi momenti dopo, giunse borbottando un vecchio servitore (Alessandro Manzoni, I promessi sposi V)
In altre parole, canzonando descrive effettivamente un modo di parlare, mentre borbottando indica un comportamento che accompagna il giungere del vecchio servitore, ossia una circostanza dell’azione principale.
(b) Il gerundio in funzione di avverbiale di mezzo (o strumentale) descrive un’operazione con l’ausilio della quale l’azione principale è stata realizzata:
(7) il Grillo-parlante si spense a un tratto, come si spegne un lume soffiandoci sopra (Carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio, p. 76)
(8) Democrito si tenne in vita per tre giorni annusando pane fresco (Dacia Maraini, Bagheria, p. 98).
(c) Il gerundio temporale ha il valore di una subordinata di modo finito:
(9) S’informò educatamente della mia vita di Torino, di quel che avrei fatto tornando a Torino (Pavese, Il diavolo sulle colline, pp. 95-96)
(10) Non si parlavano mai, ballando (Fenoglio, Una questione privata, p. 15)
Nell’esempio (9) tornando equivale a «quando fossi tornato a Torino», mentre nell’esempio (10) ballando corrisponde a «mentre ballavano». Anticamente, il gerundio con tale funzione poteva essere introdotto dalla preposizione in:
(11) «Questa gente che preme a noi è molta,
e vegnonti a pregar», disse ’l poeta:
«però pur va, e in andando ascolta»
(Dante, Purg. V, 43-45)
La costruzione illustrata in (11) riprende, da un lato, l’uso latino (in agendo «nell’agire»), mentre dall’altro si presenta simile al gérondif francese (il s’en va et, en allant, il écoute), cosa che ne favorisce l’uso fino al Settecento ma non molto oltre (Migliorini 1960: 544 e 632).
(d) Il gerundio causale equivale ad una proposizione introdotta, per es., da poiché o siccome:
(12) Ma il colonnello ascoltava ascoltava, forse voleva sfruttare al massimo quell’unica possibile compagnia, vedendo delinearsi la tristezza delle interminabili sere (Dino Buzzati, Il segreto del bosco vecchio, p. 136)
Si prestano in particolar modo a interpretazione causale le proposizioni con gerundio composto (13 e 14) e con gerundio negato (15 e 16):
(13) Gli è accaduto che un povero babbo, avendo perduto il figliuolo, gli è voluto entrare in una barchetta per andare a cercarlo di là dal mare (Collodi, Le avventure di Pinocchio, p. 128)
(14) Senonché Micòl in casa oggi non c’era [...] essendo purtroppo dovuta partire ieri pomeriggio per Venezia (Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini, p. 471)
(15) non sapendo dove nascondere i quattro zecchini, se li nascose in bocca e precisamente sotto la lingua (Collodi, Le avventure di Pinocchio, p. 78)
(16) afferrò le gambe del suo assalitore e lo scosse tutto e non riuscendo ad abbatterlo gli morsicò un ginocchio (Grazia Deledda, Canne al vento, p. 181)
La lettura causale di solito prevale anche nella proposizione gerundiale formata con il verbo essere seguito da aggettivo o sintagma preposizionale:
(17) Pinocchio, essendo tutto di legno, galleggiava facilmente e nuotava come un pesce (Collodi, Le avventure di Pinocchio, p. 129)
(18) Isoarre, essendo miope, è costretto a portarli in battaglia [gli occhiali] (Italo Calvino, Il cavaliere inesistente, p. 42).
(e) Il gerundio condizionale funge da protasi di un periodo ipotetico:
(19) Che dunque il cavallo bevesse, che intorbidasse, che, potendo, inquinasse la fresca acqua pura (Deledda, Il vecchio della montagna, p. 32)
(20) Mi misi a spiegarle che questo era il bello, che soltanto lavorando la propria terra si è degni di viverci, e tutto il resto è servitù (Pavese, Il diavolo sulle colline, p. 83).
(f) Il gerundio concessivo è normalmente introdotto dall’elemento avverbiale pur:
(21) Quando arriva la mia volta, riesco miracolosamente a togliermi scarpe e stracci senza perdere gli uni né le altre [...], pur stringendo sempre in mano il berretto (Primo Levi, Se questo è un uomo, p. 41)
(22) Il consiglio dei più, pur escludendo gli ambienti soffocanti, propende per un certo natural tepore (Calvino, Il cavaliere inesistente, p. 96).
(g) Il gerundio introdotto da come o quasi assume valore di una subordinata modale:
(23) Poi corse verso la porta, uscì come cercando una cosa (Buzzati, Il segreto del bosco vecchio, p. 125)
(24) Lui arrivò al culmine e subito lanciò gli occhi in alto alla villa, senza fermarsi, quasi inciampando nella prima discesa (Fenoglio, Una questione privata, p. 151)
Si attesta anche il gerundio modale sotto la portata dell’avverbiale pur concessivo:
(25) Con un muso conciliativo, pur come chiedendo una breve proroga, egli accennò di sì (Elio Vittorini, Il garofano rosso, p. 21).
(h) In italiano antico, diversamente da quello che accade nella lingua moderna, la proposizione gerundiale poteva anche fungere da attributo a un nome, vale a dire come frase relativa (➔ relative, frasi):
(26) Leggesi della bontà del Re Giovane, guerreggiando col padre per lo consiglio di Beltrame: Lo quale Beltrame si vantò ch’elli avea più senno che niuno altro (Novellino XIX, 78)
(27) E al palagio giunte a assai buona ora, ancora quivi trovarono i giovani giucando dove lasciati gli aveano (Boccaccio, Dec. VI, Conclusione, 33)
In effetti, la proposizione gerundiale in (26) può essere parafrasata come frase relativa (si legge della virtù del giovane re che faceva guerra col padre) e non come proposizione coordinata alla frase principale (* si legge della virtù del giovane re e faceva guerra col padre). Tale uso del gerundio in funzione di relativa è attestato nella lingua letteraria anche dopo il periodo medievale, ma era giudicato dal Fornaciari «maniera affatto fuori d’uso nella prosa» (Fornaciari 1881: 221). Il gerundio con riferimento all’oggetto, come illustrato in (27), è tuttora usato nelle varietà sarde (inter alia, Blasco Ferrer 2002: 85).
La collocazione del gerundio nella frase principale è relativamente libera. Tuttavia, la posizione non marcata del gerundio avverbiale di predicato è quella finale (è uscito correndo); la collocazione del gerundio in posizione iniziale comporta una intonazione simile alla dislocazione ed è, nella forma scritta, comunemente segnalata dalla virgola (correndo, è uscito). Il gerundio avverbiale di frase è sempre distinto dalla principale per via dell’intonazione (Lonzi 1991: 576).
Il gerundio che segue la predicazione principale assume facilmente un valore parafrasabile con una frase finita coordinata alla frase principale. Bisogna distinguere tra il caso in cui il gerundio esprime un’azione simultanea rispetto alla predicazione principale, come negli esempi (28) e (29), e quello in cui il gerundio arriva a esprimere un’azione successiva rispetto alla predicazione principale, come invece negli esempi (30) e (31). L’interpretazione è, almeno in parte, dettata dalle proprietà aspettuali dei predicati (per questo riferimento temporale, vedi in particolare Solarino 1996):
(28) Passavano frotte di ragazzini delle elementari, vociando, con le loro cassette di fibra a tracolla (Vittorini, Il garofano rosso, p. 8)
(29) Ciascuno pensò con grande fiducia all’avvenire, sentendosi audacissimo e pronto a qualsiasi fatica (Buzzati, Il segreto del bosco vecchio, p. 146)
(30) Poi si sedette in cucina addormentandosi accanto al fuoco (ivi, p. 137)
(31) Milton saltò a piedi uniti nell’aia, atterrando con un gran botto (Fenoglio, Una questione privata, p. 91)
Nel caso in cui il gerundio segue la principale, si creano facilmente le premesse per una lettura sequenziale o consequenziale. L’esempio (30) è infatti parafrasabile: «poi si sedette in cucina per addormentarsi»).
In italiano moderno, eventuali complementi e avverbiali si collocano di norma dopo il verbo al gerundio. Nei secoli passati, tali complementi, come del resto anche il soggetto esplicito, potevano precedere il gerundio (per la posizione del soggetto, vedi anche sotto):
(32) tutte le donne e i tre giovani levatisi ne’ giardini se ne entrarono, e le rugiadose erbe con lento passo scalpitando d’una parte in un’altra, belle ghirlande faccendosi, per lungo spazio riportando s’andarono (Boccaccio, Dec. II, Introduzione, 89)
(33) Primasso, avendo l’un pane mangiato e l’abate non vegnendo, cominciò a mangiare il secondo (Boccaccio, Dec. I, 7, 71-72)
(34) Ciò detto, il lume intrigandogli gli occhi, cedeva a le tenebre perpetue (Pietro Aretino, Lettere 3, 114)
Mentre, in lingua moderna, i pronomi ➔ clitici si realizzano in enclisi al gerundio, nei secoli passati il clitico appariva anche in proclisi, sempre che il gerundio fosse con negazione:
(35) Alessandro Magno diventò signore della Asia in pochi anni, e, non l’avendo appena occupata, morí (Niccolò Machiavelli, Il Principe IV, 19)
(36) Non c’essendo quasi dunque nessuno de’ miei che badasse altrimenti a me, io andava perdendo i miei più begli anni non imparando quasi che nulla (Vittorio Alfieri, Vita II, iv, 77).
Nella proposizione gerundiale può essere reso esplicito un ➔ soggetto, nominale (37) o pronominale (38), che normalmente segue il verbo al gerundio:
(37) Dopo venti giorni di Ka-Be, essendosi la mia ferita praticamente rimarginata, con mio vivo dispiacere sono stato messo in uscita (Levi, Se questo è un uomo, p. 51)
(38) mi vinceva sempre negli esercizi della memoria, recitando egli sino a seicento versi delle Georgiche di Virgilio d’un fiato, senza sbagliare una sillaba, e non potendo io arrivare neppure a quattrocento (Alfieri, Vita II, ii, 71)
Questa restrizione sull’ordine degli elementi, che non vigeva per il gerundio in italiano antico, distingue oggi l’italiano da altre lingue romanze quale il francese, in cui il soggetto di una proposizione al participe présent deve precedere il verbo (moi vivant «vivendo io»).
Limitatamente a un registro letterario, si dà anche il caso in cui il soggetto precede il gerundio. Si tratta il più delle volte del gerundio composto formato con essere, e il valore semantico della costruzione è prevalentemente causale:
(39) Lo sportello di comunicazione essendo chiuso a chiave, le prime volte, per farsi aprire (lo raccontò più tardi lui stesso), si era sempre presentato al controllore (Giorgio Bassani, Gli occhiali d’oro, p. 249)
(40) Cominciavano i duelli, ma già il suolo essendo ingombro di carcasse e cadaveri, ci si muoveva a fatica (Calvino, Il cavaliere inesistente, p. 38)
Quando il soggetto semantico del gerundio resta implicito, esso rimanda al tema del discorso, il che significa, il più delle volte, il soggetto della frase principale cui dipende il gerundio (➔ tematica, struttura).
Tuttavia, non sempre il tema del discorso si identifica con il soggetto della frase principale (vedi, inter alia, Salvi 1986 e Lonzi 1991). Il gerundio può rimandare a un soggetto del discorso precedente come in (41):
(41) Il ragazzotto teneva con tutt’e due le mani sul capo una paniera colma di pani; ma, per aver le gambe più corte de’ suoi genitori, rimaneva a poco a poco indietro, e, allungando poi il passo ogni tanto, per raggiungerli, la paniera perdeva l’equilibrio, e qualche pane cadeva (Manzoni, I promessi sposi XI)
In (41), il soggetto della frase principale è la paniera («la paniera perdeva l’equilibrio»): il gerundio evidentemente si riferisce al ragazzotto che è stabilito come tema del discorso nella frase precedente. Il tema del discorso a cui rinvia il gerundio può essere realizzato nella principale come complemento diretto (42) o indiretto (43):
(42) Se passeggiando nelle notti serene i piedi ti conducessero verso i viali della parrocchia, io ti prego di salire sul monte de’ pini che serba tante dolci e funeste mie rimembranze (Ugo Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis, II, p. 100)
(43) Era un ragazzo della seconda, che venendo a scuola per via Dora Grossa e vedendo un bimbo della prima inferiore, sfuggito a sua madre, cadere in mezzo alla strada, a pochi passi da un omnibus che gli veniva addosso, era accorso arditamente, l’aveva afferrato e messo in salvo; ma non essendo stato lesto a ritirare il piede, la ruota dell’omnibus gli era passata su (Edmondo De Amicis, Cuore, p. 6)
Inoltre, il gerundio può rimandare a un complemento d’agente del verbo principale passivo. Il complemento d’agente può essere, a sua volta, implicito, come in (44), o esplicito, come in (45):
(44) Oggi il panorama è deturpato orrendamente da case e palazzi costruiti senza discernimento, avendo buttato giù alberi, parchi, giardini e costruzioni antiche (Maraini, Bagheria, p. 28)
(45) Intanto io correva di qua, di là, di su, di giú come le anime de’ scioperati cacciate da Dante alle porte dell’inferno, non reputandole degne di starsi fra’ perfetti dannati (Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis, I, p. 33)
Si ha anche il caso in cui il gerundio non rinvia al tema del discorso ma esprime valore generico (46 e 47) o impersonale (48 e 49):
(46) Quello tanto avrebbe negato, disperatamente; forse, premendolo con la Colt, avrebbe confessato di aver ucciso sì, ma in regolare combattimento (Fenoglio, Una questione privata, p. 115)
(47) Tutti i cellulari infatti hanno sempre avuto una «carta d’identità»: un numero identificativo di 15 cifre, chiamato codice Imei, che si trova al loro interno, in genere nella batteria. Appare nel display digitando *#06# («La Repubblica» 15 luglio 2004)
(48) anche Ferrara gli piaceva, come città, sembrandogli a dir poco assurdo che io e Alberto potessimo considerarla una specie di tomba o di carcere (Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini, p. 487)
(49) incidenti di questo tipo si possono verificare ovunque e per chiunque, trattandosi sempre e comunque di macchine («La Repubblica» 16 luglio 2004)
Ugualmente, si può avere un rimando all’io narrante non esplicitato nella frase principale ma facilmente deducibile dal contesto:
(50) La collina sovrastante era bella al ritorno, fumando la prima pipa, e per quanto fosse giugno, a quell’ora la velava ancora un’umidità, un fiato fresco di radici (Pavese, Il diavolo sulle colline, p. 29)
(51) Era un tardo pomeriggio, il marzo già inoltrato, e nell’aria v’era il tepore della primavera. Sulla facciata dell’Ospizio l’edera sembrava più verde. Uscendo dal buio del Parlatorio la luce del tramonto che spioveva sulle case era accecante (Vasco Pratolini, Cronaca familiare, p. 71)
In casi come questi, il rinvio all’io narrante non esclude nemmeno una interpretazione generica o quasi-generica («la luce del tramonto era accecante per chiunque»).
Infine, il soggetto semantico del gerundio può riferirsi alla predicazione principale:
(52) Pioveva a dirotto su Giorgio prigioniero, forse su Giorgio già cadavere, pioveva a dirotto sulla sua verità di Fulvia, cancellandola per sempre (Fenoglio, Una questione privata, p. 60)
(53) Fondato intorno al 510 avanti Cristo, il tempio fu smantellato forse non prima dell’inizio del III secolo seppellendo l’Apollo e le altre statue («La Repubblica» 22 luglio 2004)
Negli esempi (52) e (53) si crea tra il gerundio e la frase principale un nesso relativo: «pioveva a dirotto, cosa che avrebbe cancellato ...»; «il tempio fu smantellato, fatto che causò il seppellimento delle statue».
Mentre il gerundio latino ha una continuazione diretta in quello italiano, del gerundivo latino permangono, in italiano, solo forme lessicalizzate. Si tratta di neologismi in origine colti, riconducibili, il più delle volte, all’uso latineggiante umanistico, e che quindi cominciano a entrare nella lingua a partire dal Trecento.
Molte parole, come, per es., faccenda (dal lat. facĕre), conservano almeno in parte il senso deontico del gerundivo latino («qualcosa che si ha da fare» o «che deve essere fatta»), mentre, per altre, tale significato si è del tutto perso nell’accezione moderna (agenda, lett. «(cose) da farsi»; leggenda, lett. «(cose) da leggersi»; merenda, lett. «(cose) da meritarsi»). Tra i gerundivi trapiantati in italiano si riscontrano sia aggettivi (venerando, orrendo, tremendo), sia nomi (bevanda, mutande). Appartengono a questo gruppo diversi vocaboli del campo matematico ed economico-commerciale (moltiplicando, dividendo, prebenda), nonché di ambito clericale-religioso (educanda, reverendo, propaganda) o burocratico (catturando). Qualche forma, infine, è entrata per il tramite di un’altra lingua romanza (azienda, dallo spagn. hacienda < lat. facienda).
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