GERUSALEMME CELESTE
Si definisce come G. celeste la visione che costituisce l'avvenimento conclusivo dell'Apocalisse di Giovanni (21,1-22,15); essa raccoglie la prospettiva ultima della storia della salvezza narrata nella Scrittura e impegna la condizione presente della Chiesa pellegrina verso la seconda venuta gloriosa di Cristo.Nella codificazione letteraria della G. celeste concorsero molteplici elementi escatologici e messianici desunti dal Vecchio Testamento (Ez. 40-48; Is. 54; 60; 66) e dal Nuovo Testamento (Gal. 4, 24-26; Eb. 12, 2-24), con un particolare rimando al ruolo storico e simbolico della città santa, qui chiamata a designare il luogo della manifestazione ultima del Signore. Mentre per il mondo giudaico l'attesa della nuova G. coincide con la restaurazione della G. storica e del suo Tempio, per il mondo cristiano la G. celeste rappresenta il compimento escatologico. In particolare la spiritualità medievale, a seguito delle Collationes del monaco Cassiano (ca. 360-435), riconobbe in G. l'esempio paradigmatico dei quattro sensi dell'interpretazione della Scrittura: in senso storico G. è la città giudaica e il popolo d'Israele; in senso allegorico è la Chiesa; in senso morale è l'anima del cristiano; in senso anagogico è il regno di Dio con gli uomini.Un ruolo particolare ebbero i diversi commenti all'Apocalisse, a partire da quello di Ticonio, che già alla fine del sec. 4° raccoglieva una ricca tradizione e che venne favorevolmente accolto da Agostino e Girolamo. Particolare fortuna ebbero in seguito i commenti di Beato di Liébana (sec. 8°), di Ambrogio Autperto e di Berengaudo (sec. 9°). La tendenza a ravvisare indizi della G. celeste nella storia contemporanea della Chiesa portò a interpretazioni sempre più particolari, come quella di Alessandro Minorita (sec. 13°), che, influenzato dall'ecclesiologia di Gioacchino da Fiore, nella sua Expositio in Apocalypsim (Praga, Kapitulní Knihovna, Cim. 5), affidava la realizzazione della città celeste all'opera di Francescani e Domenicani, portando alle estreme conseguenze alcuni elementi della spiritualità di Bernardo di Chiaravalle, che riconosceva nella vita e nei luoghi monastici anticipazioni della G. celeste.Riflessi, approfondimenti e varianti di questo ricco panorama testuale ed esegetico si riscontrano nel percorso iconografico dell'immagine della G. celeste, rintracciabile in cicli o singole raffigurazioni, anche in contesti estranei all'Apocalisse. La più antica rappresentazione è stata riconosciuta nella decorazione dell'ipogeo degli Aureli a Roma (sec. 3°), dove emerge la caratteristica cinta quadrangolare (Ap. 21, 16), senza tempio al centro, sostituito dalla figura di Cristo tra i beati (Ap. 21, 22). Dalla fine del sec. 4°, profili di cinte murarie e scansioni di porte urbane accolsero Cristo e gli apostoli (Ap. 21, 14) sulle fronti di diversi sarcofagi suggerendo, anche per la funzione dell'oggetto, un evidente rapporto con la G. celeste. Tra i più antichi ed esemplificativi sono il sarcofago c.d. di Stilicone (Milano, S. Ambrogio), il sarcofago Borghese (Roma, Mus. Capitolino; Parigi, Louvre) e quello di Flavio Gorgonio (Ancona, Mus. Diocesano d'Arte Sacra).Negli stessi decenni s'inaugurarono complesse iconografie nelle decorazioni musive di edifici sacri: a S. Giorgio di Salonicco (fine del sec. 4°) nella fascia inferiore della cupola auliche architetture ospitano santi martiri, mentre a Roma in S. Pudenziana (fine del sec. 4°-inizio del 5°) le figure di Cristo e del consesso apostolico e le personificazioni dell'Ecclesia ex gentibus ed ex circumcisione sono accolte entro un emiciclo con porte spalancate (Ap. 21, 25) alle cui spalle si intravedono edifici riconducibili alla G. storica. Queste citazioni di edifici gerosolimitani nella rappresentazione della città celeste si ritrovano all'imposta sinistra dell'arco trionfale, corrispondente all'opposta immagine di Betlemme, in S. Maria Maggiore a Roma (prima metà del sec. 5°) e in S. Vitale a Ravenna (prima metà del sec. 6°); o a un estremo della fascia inferiore del catino absidale, come in S. Clemente a Roma (inizio del sec. 12°). Il mosaico tende inoltre a esaltare la caratteristica della città gemmata (Ap. 21, 18-21), come nell'arco trionfale di S. Prassede a Roma (prima metà del sec. 9°), dove è anche presente la caratteristica dinamica processionale dell'entrata nella G. celeste (Ap. 21, 24-26), qui impersonata dai beati accolti da s. Pietro e s. Paolo.Le prime immagini della G. celeste pervenute all'interno di un ciclo sono quelle dell'Apocalisse di Treviri (Stadtbibl., 31; primo quarto del sec. 9°), dipendenti da un modello italiano del 6° secolo. Le miniature seguono i diversi passaggi testuali: l'angelo che offre la visione della città a Giovanni (Ap. 21, 10), l'angelo con la canna per la misurazione (Ap. 21, 15-17), la G. celeste con l'albero della vita e l'agnello (Ap. 22, 2-3). La città appare in alzato, di forma rotonda, con torri imperlate e porte aperte: al centro uno o due edifici per i quali si è suggerito un rapporto con la contemporanea architettura abbaziale carolingia. Da questi modelli derivarono le illustrazioni dell'Apocalisse di Cambrai (Médiathèque Mun., 386; inizio del sec. 10°).Alla stessa epoca appartengono le prime immagini della G. celeste secondo la tradizione iconografica dei Commentari all'Apocalisse di Beato di Liébana, la cui fortuna si consolidò in Spagna e nella Francia meridionale tra 10° e 13° secolo. Nella nuova iconografia prevale una maggiore fedeltà alla descrizione letteraria di Ap. 21 e 22: la città quadrata viene presentata in proiezione ribaltata sul piano, con le dodici porte, gli angeli, gli apostoli, i simboli delle pietre preziose; al centro l'agnello, l'angelo con la canna e s. Giovanni. Evidenti sono gli influssi della cultura figurativa ispanomoresca, forse anche di derivazione cartografica. Il modello arrivò fino alla redazione anglonormanna dell'Apocalisse di Cambridge (Trinity College, R.16.2; 1250 ca.). Tra i migliori esemplari vanno ricordati: l'Apocalisse conservata a New York (Pierp. Morgan Lib., 144; sec. 10°) e quella di Saint-Sever (Parigi, BN, lat. 8878; sec. 11°).Ancora tra il sec. 9° e il 10° si diffuse un'immagine della G. celeste di forma circolare, ad anelli concentrici, con l'agnello al centro e gruppi di tre porte ai punti cardinali (Valenciennes, Bibl. Mun., 99; Parigi, BN, nouv. acq. lat. 1132): per essa si è ipotizzato un rapporto con le contemporanee raffigurazioni planimetriche del Santo Sepolcro di G. presenti in codici del De locis sanctis dell'abate Adamnano. Alla fine del sec. 11° gli affreschi di S. Pietro al Monte di Civate offrirono le varianti di Cristo seduto sul globo con la canna, generalmente impugnata dall'angelo, e dei tituli delle quattro virtù cardinali, segni evidenti di una straordinaria ricchezza esegetica. L'immagine della G. celeste arriva anche a figurare arredi liturgici, spesso denominati 'gerusalemme', come candelabri (Hildesheim, duomo, sec. 11°), lampadari (Aquisgrana, Cappella Palatina, sec. 12°), turiboli (Treviri, Domschatz, 1100 ca.), reliquiari (Aquisgrana, Domschatzkammer, provenienti da Antiochia, secc. 10°-11°), oltre all'importante testimonianza del dossale di Lisbjerg, del 1140 ca. (Copenaghen, Nationalmus.). Connessa ad ampie raffigurazioni di Cristo in gloria tra santi e beati, la G. celeste si ritrova in affreschi romanici, come nelle abbazie di Saint-Chef nel Delfinato (seconda metà del sec. 11°) e di Prüfening a Ratisbona (sec. 12°). Le volte del duomo di Gurk e di St. Nikolaus a Matrei nel Tirolo orientale (sec. 13°) riportano un'immagine radiocentrica, con ricche definizioni architettoniche, che sembra già legata alla tradizione del Liber floridus. Questo florilegio enciclopedico, composto verso il 1120 dal canonico Lambert de Saint-Omer, illustrava fin dall'autografo (Gand, Bibl. van de Rijksuniv., 92) i capitoli di 2 Cr., dedicati alla costruzione del Tempio di Salomone, con la figura della G. celeste. Il particolare abbinamento può giustificare la prevalente qualifica architettonica dell'immagine e la progressiva interpretazione iconografica della torre centrale - chiamata Gesù Cristo come il Templum Domini di G. - secondo le forme della contemporanea Cupola della Roccia (per es. Chantilly, Mus. Condé, 724). Le immagini degli esemplari del Liber floridus hanno un forte impianto didascalico e tendono a evidenziare la complessità dei riferimenti biblici ed esegetici sottesi alla raffigurazione (per es. Parigi, BN, lat. 8865).A partire dalla metà del sec. 13°, gli esempi anglonormanni dell'Apocalisse, collegandosi ai cicli di origine carolingia, illustrarono la G. celeste come una cittadella in cui veniva ridotto il numero degli elementi qualificanti, come porte o torri, per meglio dettagliarli figurativamente (per es. Eton, College Lib., 177). Si evidenziava al centro un grande edificio, rappresentato con i caratteri della coeva architettura che tendeva a sintetizzarsi con gli altri segni urbani, come la cinta muraria (Oxford, Bodl. Lib., Douce 180, seconda metà del sec. 13°; Londra, BL, Royal 15.D.II, inizio del sec. 14°). Grande rilevanza è data alle figure di Giovanni e dell'angelo, mentre la sequenza dei diversi momenti della visione (la discesa della città, il fiume della vita) giustifica varianti formali nell'immagine architettonica della G. celeste. In un gruppo omogeneo di codici, sempre collocabile tra Francia e Inghilterra (Londra, BL, Add. Ms 35166, fine del sec. 13°; New York, Metropolitan Mus. of Art, The Cloisters, 68.174, 1320 ca.), la torre e il grande edificio centrale suggeriscono ancora memorie gerosolomitane. In particolare nell'Apocalisse di Dublino (Trinity College, 64, già K.4.31) la G. celeste è prima raffigurata nelle forme gotiche di una cattedrale e poi in quelle orientaleggianti legate alle memorie dei luoghi santi.Nei cicli affrescati trecenteschi di ambito italiano (Padova, cappella degli Scrovegni; Pomposa, abbazia) la G. celeste appare alle spalle del Giudizio universale, come luogo destinato ai beati. Con analogo significato, ma generalmente posta ai piedi di Cristo giudice, è scolpita nei timpani monumentali delle cattedrali francesi e spagnole (Conques, Sainte-Foy; Parigi, Notre-Dame; León, Santa Maria de Regla). La città celeste è anche ricordata dai profili turriti dipinti nelle tombe trecentesche ad arcosolio della cattedrale di Salamanca. In tutti questi casi il legame con la descrizione letteraria si attenua a favore di immagini riferibili alle figurazioni urbane del tempo, mentre i commenti insistono sull'interpretazione della G. celeste come figura della Chiesa militante, favorendo iconografie legate ai più accesi dibattiti ecclesiali, come quello eucaristico (pala d'altare con la Fonte della vita proveniente dal monastero di Parral; Madrid, Mus. del Prado). La tendenza all'attualizzazione dell'immagine perdura in ambito tardogotico, come nelle tappezzerie di Angers (Château, Mus. des Tapisseries, Gal. de l'Apocalypse; 1373-1379) o nell'Apocalisse di Margherita di Borgogna e in quella di Carlo l'Ardito (New York, Pierp. Morgan Lib., 484; 68; 1470 ca.), ma non mancano significativi ritorni alla città quadrata e gemmata (Apocalisse Savoia; Escorial, Bibl., E.Vitr.V), con le dodici porte custodite dagli angeli e l'agnello mistico in sostituzione del Tempio (Parigi, BN, néerl. 3).Il rapporto tra architettura sacra e G. celeste è soprattutto legato all'interpretazione dell'edificio ecclesiale quale immagine della Chiesa militante in cammino verso il compimento dei tempi, come nell'inno per la dedicazione Urbs beata Ierusalem (fine del sec. 8°) o nella liturgia di consacrazione Ordo ad benedicendam ecclesiam (sec. 12°). Tale valenza simbolica veniva a concentrarsi in alcune zone particolari, come il nucleo romano della cattedrale di Treviri (seconda metà del sec. 4°) o i Westwerke carolingi e ottoniani (Corvey, Saint-Benoît-sur-Loire; Colonia, St. Pantaleon), definiti da blocchi quadrati o circolari con dodici aperture. Il rapporto con la G. celeste veniva anche affidato a singoli elementi, come i capitelli figurati dell'abbazia di Moissac o i baldacchini scolpiti sopra le statue delle cattedrali gotiche.
Bibl.:
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