Gervasio di Melkley
Maestro di retorica (fine sec. XII-inizio XIII), originario dell'Inghilterra; ammiratore di Giovanni di Hanville, di cui cita l'Architrenius quale fondamento della sua formazione giovanile, G. di Melkley (cognome anche latinizzato in de saltu lacteo) scrisse un'Ars poetica fra il secondo decennio e la metà del sec. XII. Dei recenti maestri di arte poetica egli cita Matteo di Vendôme e Goffredo di Vinsauf, che utilizza largamente, anche se nell'impostazione della sua opera si avverte un'intenzione di originalità rispetto alla tradizione dell'insegnamento retorico.
Confinate infatti in fondo all'opera, in forma succinta, la trattazione specifica delle tradizionali parti dell'oratoria e l'illustrazione dell'ordine naturale e artificiale e dei tre generi dell'elocuzione, G. procede attraverso una sistemazione di carattere dialettico inconsueta nelle arti poetiche. Egli s'interessa, infatti, soprattutto delle ‛ figure ' retoriche e distingue la trattazione in base al fondamento logico di tali figure, illustrando naturalmente, come richiede un'arte poetica, i pregi particolari di esse e i pericoli e i vizi nei quali si può incorrere.
La fondamentale tripartizione delle figure è basata su un principio che potremmo dire di associazione, per cui la " venustas ", considerata il fine dell'ornamento stilistico, si attua o esprimendo un'idea semplicemente, direttamente, ossia per sé stessa (" idemptitas "), oppure evocando un'idea simile (" similitudo ") o un'idea contraria (" contrarietas "). Alla prima categoria appartengono sostanzialmente le " figurae verborum ", proprie dell'" ornatus facilis ", ma con una complessa suddivisione l'autore distingue la " simplex narratio " dalla " loquendi vehementia " e dall'uso della domanda e della risposta, e include le tre specie di figure nell'ornamento che si attua " per consonantiam ", mentre attribuisce all'ornamento che si attua " per mutationem " la " subtractio ", l'" additio " e la " diversio ", che consistono rispettivamente nel sopprimere, nell'aggiungere, o ampliare, nel variare qualche tratto del discorso, senza però ricorrere alla " transumptio ". Un'importanza maggiore rivestono le altre due parti del trattato, poiché la " similitudo " dà luogo alla trattazione delle varie specie di " transumptio " fino all'allegoria, all'enigma, e la " contrarietas " dà luogo alla trattazione di un'altra forma di allegoria, che si distingue in ironia, antifrasi, sarcasmo, ecc.
La finezza con la quale G. distingue le figure, specie quelle che si fondano sulla similitudine (e un esempio notevole è la trattazione dell' " advocatio ", che contempla la capacità che ha la " dictio " di entrare in relazione con le altre ‛ dictiones ' in forza dell'appartenenza a un comune campo semantico), può far pensare alla ricchezza espressiva alla quale D. rivolge la sua perizia retorica. Ma soprattutto il termine comprensivo di " similitudo ", col quale G. designa il parlar figurato, e la trattazione della ‛ comparatio ' rimandano alle similitudini attraverso le quali D. nel Convivio istituisce il rapporto comparativo fra i cieli e le scienze.
Alcune particolarità dell'Ars di G. possono richiamare più specificamente certi spunti danteschi: in If XXIV 94-96 si potrebbe avvertire l'eco dei versi addotti da G. come esempio di particolare " transumptio " (" Ut redeas tua Penelope ferventius instat. / Sunt tibi Lahertes Telemacusque domi "), a loro volta derivati dalle Epistole pseudo-ovidiane (I 97-98), citate altrove dallo stesso G.; si legge in G. l'espressione " usus modernus " che appare in Pg XXVI 113; D. sembra osservare scrupolosamente la norma, dettata da G., di evitare monosillabi alla fine del verso, a meno di non congiungerli come enclitiche alla parola precedente (cfr. Pg XXIV 133), come ancora in VE II VII 6 usa il vocabolo honorificabilitudinitate quale esempio di parola di dodici sillabe, un esempio addotto da G. per indicare un verso brutto perché composto di appena tre parole: ma anche in questo caso può trattarsi di una semplice coincidenza su un esempio comune e diffuso, giunto a D. per altro tramite.
Bibl.-E. De Bruyne, Études d'esthétique médiévale, II, Bruges 1946, 17-18; E. Faral, Les Arts poétiques du XIIʽ et du XIIIʽ siècle, Parigi 1962, 34-37, 228-230; G. Von M., Ars poetica, a c. di H.J. Gräbener, Monaco in W. 1965; G. Nencioni, D. e la Retorica, in D. e Bologna nei tempi di D., Bologna 1967, 91-93; M. Pazzaglia, Il verso e l'arte della canzone nel De vulg. Eloq., Firenze 1967, 94-97.