GESTI
In una prospettiva storica rinnovata sotto l'influsso dell'antropologia sociale e culturale, della 'archeologia del diritto' e degli studi riguardanti la comunicazione non verbale, si può affermare che la civiltà medievale fu una 'civiltà del gesto'. In misura maggiore o comunque diversa rispetto all'epoca attuale, i g. ebbero nel Medioevo un ruolo importante sia come modi d'espressione privilegiati dei pensieri e dei sentimenti (per es. gioia, collera o lutto) sia come pubblica sanzione di relazioni sociali (per es. la stipula di un contratto o il rituale dell'omaggio). L'importanza dei g. derivava da una ritualizzazione generalizzata della vita sociale, che trovava il suo punto culminante nelle liturgie ecclesiastiche e politiche; il ricorso ai g. o ad altri elementi simbolici (canti, emblemi, abbigliamenti, colori) era anche collegato al carattere orale e vocale della cultura medievale, ove peraltro non va sottostimata, anche tra i chierici, la relativa perdita dell'uso della scrittura.Una storia dei g. nel Medioevo non può che porre numerosi problemi allo studioso, a partire da quelli relativi alla documentazione scritta. I testi evocano situazioni che implicano determinati g. (per es. in occasione dell'incontro di due personaggi): in qualche caso essi sono nominati, ma solo raramente sono descritti. Tali descrizioni sono inoltre spesso isolate e si incontrano in maniera fortuita, per es. allorquando negli archivi giudiziari si fa menzione di un g. ingiurioso o di sfida che abbia dato origine a una rissa seguita dalla morte di qualcuno. I testi letterari si dilungano eccezionalmente sull'atteggiamento preferito del protagonista posto al centro di una narrazione (come nel caso di Carlo Magno che, nella Chanson de Roland, si tira la barba). I documenti normativi (ordines liturgici, regole monastiche, trattati pedagogici) presentano il vantaggio di essere più precisi e sistematici, ma esprimono principalmente un modello di comportamento di cui può risultare difficile cogliere le applicazioni concrete.
Le immagini medievali appaiono come una fonte inesauribile di informazioni sui g.; la ragione principale risiede nel fatto che la legittimità dell'immagine, della raffigurazione degli uomini e, più precisamente, della rappresentazione antropomorfa di Dio non venne mai realmente e durevolmente contestata nell'Occidente medievale. Questa concezione della figurazione imponeva non solamente di dare un corpo e delle membra ai personaggi rappresentati, ma di attribuire loro anche degli atteggiamenti e di far compiere loro g. atti a sostenere l'intenzione significante dell'immagine stessa. Una relazione biunivoca lega così il g. e l'immagine nel Medioevo: quest'ultima appare allo storico come la fonte documentaria di gran lunga più ricca in rapporto ai g., mentre, di contro, la voce muta dei g. è indispensabile alla comprensione dell'immagine.Analizzare i g. nelle immagini presuppone una definizione preliminare del g. raffigurato, che dev'essere peraltro concepita in maniera non troppo rigida o troppo ristretta. Nell'immagine, il g. comprende l'insieme degli atteggiamenti e dei movimenti del corpo: non si limita ai soli g. delle mani (Amira, 1905), ma implica anche tutte le altre parti del corpo, alcune delle quali possono avere un ruolo significante di importanza almeno pari a quello delle mani (per es. il viso, lo sguardo, la bocca, le gambe, i piedi). I g. in senso stretto non si possono analizzare indipendentemente dalle posture e dagli atteggiamenti: lo stesso g. della mano non assume il medesimo significato se il personaggio è seduto (posizione che si riferisce spesso all'autorità o alla superiorità gerarchica) o inginocchiato, inchinato o prosternato dinanzi a un altro personaggio o a un altare, o, ancora, in piedi o sdraiato. Di volta in volta, dunque, l'immagine combina in maniera specifica g. e atteggiamenti per designare un'azione o una situazione differenti. Anche un personaggio dormiente (soprattutto se sogna) compie un g. particolare che identifica il suo stato, quando è raffigurato sdraiato, la guancia appoggiata sul gomito ripiegato, gli occhi chiusi (o, in qualche caso, aperti, se sogna), i piedi talvolta incrociati (Träume im Mittelalter, 1989).Se lo storico ha accesso solo a rappresentazioni di g. contenute in immagini e testi e mai a g. 'reali', è legittimo chiedersi però se i g. figurati riproducano g. reali di cui non è più possibile una conoscenza diretta o se invece essi non siano informati solo alla logica e alle finalità proprie dell'immagine. In altri termini, è lecito interrogarsi se il riferimento del g. figurato sia esterno o interno all'immagine, oppure se esso non sia l'una e l'altra cosa. Nel caso della raffigurazione di un rito (benedizione, omaggio, celebrazione della messa, ecc.) implicante g. convenuti e conosciuti da altri è possibile giudicare la fedeltà dei g. rappresentati alla realtà dei g. stessi, almeno nella misura in cui questi ultimi sono trasmessi dalle fonti scritte. Su alcuni g., inoltre, pesano coercizioni ideologiche ed è facile constatare che anche le rappresentazioni vi sono sottomesse: per es. nelle immagini, così come nella realtà, un sacerdote non benedice con la mano sinistra, quale che sia la sua posizione all'interno della raffigurazione e il suo orientamento verso destra o verso sinistra all'interno dello spazio della figurazione.È tuttavia meno importante sapere se i g. figurati 'imitino' i g. reali di quanto sia ricercare nella loro rappresentazione schemi e strutture che le immagini abbiano o meno in comune con il complesso della vita sociale, della sua ideologia e del suo immaginario. Infatti, per es., non è perché Dio non è mancino che nelle immagini la mano divina che esce dalle nubi risulta sempre la destra (Schmitt, 1990). L'artista non sfuggiva a questo tipo di costrizioni ideologiche ma, in qualche caso, le poteva modificare per tener conto di altre necessità, imposte dalla struttura stessa dell'immagine; in una raffigurazione dell'Ultima Cena, per es., egli poteva essere tentato di far tendere a Giuda la sua mano sinistra, al fine di sottolineare la sua perversità, ma era altrettanto libero di scegliere la mano destra se gli sembrava che questa meglio si adattasse alla costruzione d'insieme di questa particolare immagine (Pastoureau, 1989).Al di là di ogni altra determinazione, occorre innanzi tutto sottolineare che il g. figurato non è isolabile dal resto dell'immagine e che esso partecipa in ogni caso della sua struttura d'insieme e delle sue finalità semantiche e ideologiche, alle quali è sottomesso, contribuendo a esprimerle e anche a costituirle. La struttura dell'immagine determina tra l'altro la posizione relativa dei personaggi e, di conseguenza, l'orientamento e l'ampiezza dei g. che essi compiono l'uno nei confronti dell'altro. Può anche accadere che i g. raffigurati non abbiano evidentemente alcun riferimento reale e non appartengano altro che al 'linguaggio dell'immagine'; per es. è frequente che in un'immagine un personaggio sembri camminare sui piedi di un altro personaggio, senza che vi sia ragione di concluderne che questo genere di eccessive libertà caratterizzasse il comportamento medievale. È per contro chiaro che un tale g. costituisce, nell'immagine, il segno esplicito di una usurpazione o di una violazione dei diritti o delle prerogative di un personaggio da parte di un altro.Un'ulteriore difficoltà concerne la possibilità o meno di assegnare a ciascun g. raffigurato un determinato significato e di arrivare così a costruire una semiologia, ovvero una 'grammatica' dei g. nelle immagini medievali (Garnier, 1982-1989). Alcuni g. senza dubbio si prestano nelle immagini a una decifrazione immediata, sia che si ricolleghino a una lunga tradizione iconografica sia che trovino ancora oggi il loro corrispettivo in g. comuni; non è difficile identificare in un'immagine medievale g. forse universali, che consistono nel porre il proprio indice sulle labbra chiuse per domandare il silenzio o nel puntare l'indice verso un oggetto per indicarlo. Anche in questi casi un'interpretazione più precisa dipende dal tener conto della totalità dell'immagine e non solo dall'esame di un g. particolare. Quanto più un g. è indeterminato (per es. le mille e una maniera di alzare e aprire la mano, a significare che un personaggio parla o ad attestare che egli partecipa all'interazione dei personaggi rappresentati), tanto più risulta equivoco e tanto più la sua interpretazione dipende dall'analisi rigorosa dell'intera struttura dell'immagine, dalla gerarchia e dalla disposizione relativa dei personaggi, dalle loro dimensioni, dal sesso, dagli attributi, dagli abiti, ecc.; inoltre è necessaria l'indispensabile lettura del testo che spesso accompagna le immagini medievali o al quale, ancor più sovente, queste si riferiscono. Se questa 'lettura' globale è sempre indispensabile, rimane il fatto che i g., tanto nelle immagini quanto nella vita reale, non obbediscono mai a un codice semplice che sia sufficiente decifrare termine per termine. In ogni caso l'ambivalenza si pone alla base della semantica dei g.: per es., nel g. di umiltà di un autore che dedica il suo libro a un abate, a un principe o alla Vergine, l'affermazione di sé può mescolarsi sottilmente alla dimostrazione di deferenza e di pietà; spetta allo storico ritrovare in un certo sguardo, in una certa postura o in un certo g. della mano gli indici discreti di tale ambivalenza, piuttosto che ridurre i g. raffigurati a una lista chiusa di significati univoci (Bonne, 1992).Tali esigenze si oppongono anche allo storico che operi a priori una scelta tra diverse categorie di g., per soffermarsi a esaminare solo i g. ritenuti 'significanti' o 'simbolici' e che costituiscano un 'linguaggio dei g.' nell'immagine; si correrebbe così il rischio di dimenticare una parte importante dei g., sia quelli più banali (per es. tutte quelle mani aperte e alzate che sembrano essere raffigurate solo perché i personaggi rappresentati sono provvisti di membra) sia i g. pragmatici (per es. quello del contadino che semina il suo campo o conduce i suoi buoi, dello scriba che scrive, del carnefice che decapita un condannato).Una tale distinzione non è del tutto giustificata se si considera che, per es., il prolungamento della mano in un oggetto (un'arma, un utensile) non appartiene propriamente ai g. detti pragmatici. I g. 'simbolici' infatti utilizzano ampiamente all'interno dell'immagine questi oggetti che, per parte loro, contribuiscono a determinare lo status sociale di un personaggio (per es. il giovane nobile tiene un guanto vuoto nella mano), a sottolineare la dignità dei suoi atti (per es. l'angelo o il sacerdote che avanzano verso Dio o verso l'imperatore con le mani coperte da un velo; Braso, 1956), a designare una funzione d'autorità (per es. il bastone del giudice, lo scettro del re), a ricordare un'azione memorabile (per es. la chiesa in miniatura portata dal fondatore), a identificare i soggetti attraverso un attributo (per es. la spada di s. Paolo, la palma del martirio, il giglio fiorito della misericordia e la spada della giustizia che escono dalla bocca del Cristo dell'Apocalisse o le due spade, simboleggianti i due poteri, spirituale e temporale, che egli tiene nelle mani). Occorre soprattutto riconoscere che ogni g., per il solo fatto di essere raffigurato, ha un portato simbolico e che tutti gli altri g. e gli altri elementi della stessa immagine (oggetti, architetture, colori, ecc.) formano un sistema strutturato di segni e di valori dal quale esso non può essere isolato arbitrariamente.Un altro problema è posto dalla contraddizione tra la fissità delle immagini medievali e il movimento che caratterizza la maggior parte dei gesti. La contraddizione diviene ancora più netta se si contrappone il g., che per sua natura è movimento, con la postura o con l'atteggiamento, che presuppongono invece una sospensione o un'assenza di movimento. In realtà, trattandosi di immagini medievali, questa distinzione denuncia un limite evidente, poiché tutti i g. vi sono convertiti in atteggiamenti necessariamente stereotipati. È il caso paradossale del segno della croce, un g. dinamico che era certamente uno dei più frequentemente compiuti nel Medioevo ma che non può essere rappresentato in un'immagine: non è possibile comprendere, infatti, se un uomo, un semplice fedele, posando la propria mano sulla fronte o sul petto, stia compiendo il segno di croce. Quanto al g. simile della benedizione, reso nell'immagine attraverso una mano alzata, unicamente l'abbigliamento del sacerdote, il solo abilitato a benedire, e la caratteristica posizione delle dita permettono di identificarlo senza ambiguità. Le immagini medievali non ignorano tuttavia la raffigurazione del movimento e della durata. Capita infatti che si susseguano, come in tavole distinte, le fasi progressive di una narrazione o di un rituale, per rendere visibile la serie continua dei g. di preghiera (Hood, 1986; Trexler, 1987; Schmitt, 1990) o per raffigurare il concatenarsi di un rituale. In una stessa immagine la testa o le braccia di un medesimo personaggio possono anche moltiplicarsi, sia per significare la duplicità delle sue intenzioni sia per suggerire la trasformazione subìta dal suo g. nel tempo.Tutte, o quasi, le immagini medievali si prestano a un'analisi dei g. figurati, ma, per giungere a risultati sistematici, tale analisi deve privilegiare insiemi di raffigurazioni quantitativamente importanti o, meglio ancora, serie di immagini omogenee (per es. gli ordines liturgici o le causae del Decretum Gratiani; Melnikas, 1975). Nel migliore dei casi si studiano documenti la cui stessa finalità impose a chi li concepì un'attenzione particolare alla raffigurazione dei g.: tali sono i manoscritti illustrati delle commedie di Terenzio (Webber-Jones, Morey, 1930-1931) o, a maggior ragione, i quattro manoscritti del Sachsenspiegel di Eike di Reppichau, miniati nel sec. 14° (Die Dresdener Bilderhandschrift, 1902-1927, II; Koschorrek, 1970; Schmidt-Wiegand, 1993); la loro iconografia ricca di esempi e sistematica costituisce, a partire dagli inizi del Novecento, il settore d'elezione per gli studi tedeschi d'iconografia giuridica. Quest'ultimo insieme documentario si caratterizza per la sua ampiezza, per lo stretto rapporto che intercorre tra immagini e testo e per la varietà e la codificazione dei g. giuridici, più rigorosa che non in altri casi; non può sfuggire tuttavia che queste immagini hanno una propria logica dettata dalla loro funzione esplicativa del testo e che non è dunque necessario vedervi uno 'specchio' dei g. effettivamente compiuti dinanzi al giudice. Il carattere ricorrente di tali g. ha permesso di isolare una quindicina di g.-tipo compiuti dai diversi personaggi presenti, normalmente con la mano destra - in qualche caso con la sinistra o con entrambe le mani -, e di riferirli a un numero limitato di significati, di azioni o di stati d'animo legati a rapporti giuridici (parola e silenzio, rifiuto e accordo, comando e obbedienza, reclamo e accettazione, possesso e cessione, accusa, lagnanza, ecc.; Kocher, 1992). In ogni caso gli stessi g. non sono raffigurati sempre in maniera rigorosamente identica, bensì presentano varianti che confermano come non sussistano mai relazioni univoche tra un g. e un contenuto semantico: a seconda delle situazioni, l'iconografia di un medesimo g. ammette, per un significato identico o comunque vicino, variazioni formali più o meno importanti e, per contro, uno stesso g. compiuto in un'altra situazione può rivestire significati sensibilmente differenti. Al di là di una semplice enumerazione dei g. e della loro classificazione secondo criteri formali o semantici, è dunque indispensabile tener sempre conto delle 'situazioni' globali che costituiscono il quadro di riferimento, così come le relazioni d'interazione tra i personaggi rappresentati in ciascuna immagine.Tra i g. 'd'espressione', quelli che manifestano la gioia o il dolore risultano tra i più frequenti e i più espliciti. La sofferenza fisica e morale, così come il lutto, sono esaltati dalle innumerevoli rappresentazioni della passione di Cristo e dei martiri: uomini e, più ancora, donne esteriorizzano la loro sofferenza strappandosi le vesti, tirandosi i capelli, poggiando la mano aperta sulla guancia o serrando contro di essa il pugno (Garnier, 1982-1989, I, pp. 183, 259; Schmitt, 1990, p. 154). A questi g. si avvicina, per quanto riguarda l'uomo, quello della perplessità, dell'angoscia e dell'attesa dolorosa, in qualche caso completato dal g. consistente nel tirarsi la barba (Garnier, 1982-1989, II, p. 91).I g. 'di comunicazione' sono assai numerosi e vari. Quelli che esprimono l'eloquio derivano dall'antico g. dell'orator, finemente descritto già da Marco Fabio Quintiliano nel sec. 1° d.C., ampiamente rappresentato sui monumenti imperiali romani (per es. sulla colonna Traiana) e trasmesso dall'Alto Medioevo, per es., nei manoscritti di Terenzio. Nella loro forma più semplice essi consistono nell'alzare la mano destra aperta e proiettata in avanti rispetto al corpo. Questo significa che il personaggio parla, quali che siano le circostanze e il tenore dei suoi discorsi.Più specificamente pertinente all'iconografia medievale è il g. dell'argomentazione, attraverso il quale un personaggio che si rivolge a un altro sembra contare, con le dita di una mano che corrono su quelle dell'altra, gli argomenti che espone. Questo g. è comune nelle raffigurazioni di dispute universitarie o dibattiti giuridici.Assai vicino è il g. di ammonimento, consistente, nell'ambito di una disputa, nell'alzare l'indice della mano destra. Se il contesto vi si presta e se il personaggio che compie tale g. incarna una qualche forma di potere, il g. stesso può assumere il valore di g. d'autorità o di comando.Se invece la mano si rovescia e si abbassa, mentre l'indice è, al contrario, piegato verso l'alto, il g. raffigura il voto o la promessa: in un'illustrazione del Sachsenspiegel, per es., due vassalli promettono al re di servirlo in armi per sei settimane, con il numero romano VI che precisa l'entità del loro impegno. In altri casi il numero sei avrebbe potuto essere raffigurato da un g. delle dita, secondo le pratiche, peraltro ben attestate, del computo digitale.Al g. della promessa o del voto si avvicina, per forma e significato, quello del giuramento, spesso prestato sulla Bibbia o sulle reliquie, toccate con l'indice e il medio uniti. Tale è almeno il g. dei laici allorché prestano giuramento. I chierici, dal canto loro, portano preferibilmente la mano sul cuore e non sulle reliquie, giacché la veridicità della loro parola non può essere messa in dubbio. Va sottolineato che il g. del giuramento viene compiuto sempre con le mani nude, non guantate, per esprimere in modo simbolico l'esporsi senza protezioni, in caso di spergiuro, alla sanzione divina o dell'autorità giudiziaria (Jacob, 1994, p. 84). Si tratta di un g. che compare già nel ricamo di Bayeux (Bayeux, Tapisserie de Bayeux), anche se il suo significato in questo caso potrebbe essere discusso: in presenza di Guglielmo I il Conquistatore, duca di Normandia (1027/1028-1087), Aroldo II (1022 ca.-1066) presta giuramento non su uno ma su due reliquiari, con la mano destra e la mano sinistra. Non è chiaro se l'uso delle due mani sia finalizzato a raddoppiare la forza del giuramento o, al contrario, se il g. della mano sinistra annulli quello della destra, denunciando in anticipo lo spergiuro di Aroldo (Schmitt, 1990).Come dimostra questo esempio, i g. cui si è appena accennato traducono la presenza di un discorso, ma non ne esplicitano il tenore; il senso del discorso, vale a dire quello dell'immagine, si deve dunque dedurre dall'analisi della totalità di quest'ultima e dal suo contesto.Altri g. 'di situazioni' riguardano più precisamente le relazioni gerarchiche e di potere tra i personaggi raffigurati. Essi abbondano naturalmente nei manoscritti giuridici miniati (diritto civile, diritto canonico, diritto consuetudinario), ma anche nelle opere di carattere narrativo (dalla Bibbia alle cronache medievali); si tratta di g. di comando, di giudizio e di condanna, compiuti da re e giudici, dai loro rappresentanti e, per cominciare, da Dio stesso, o di g. che, al contrario, esprimono sottomissione, lagnanza, accettazione, ovvero l'incapacità di agire. Tra i primi occorre notare la differenza tra due posture del sovrano raffigurato in trono in 'maestà' (o quasi maestà), con le gambe parallele o con un piede poggiato sul ginocchio dell'altra gamba. Quest'ultimo atteggiamento è commentato intorno al 1450 da alcuni statuti municipali tedeschi, secondo i quali il giudice doveva essere seduto sul seggio di giustizia come un leone ruggente, con la gamba destra incrociata sulla sinistra, concentrato sul retto giudizio e sull'istanza in corso, con al di sopra della testa il Dio del Giudizio universale (Jacob, 1994, p. 59). Questa immagine potrebbe esprimere sia il rigore della giustizia, 'furiosa' come il re degli animali, sia il momento dinamico in cui viene emessa la sentenza. In ogni caso, il g. rompe la ieraticità delle immagini di maestà, mettendo in scena la giustizia secolare in 'azione' piuttosto che non magnificarla nel suo 'stato' (Schapiro, 1973).Di fronte al giudice, l'enunciazione, l'accettazione o il rifiuto di una lagnanza sono oggetto, in particolare nei manoscritti del Sachsenspiegel, di un'iconografia assai precisa: il querelante porta il braccio destro di traverso sul petto, con l'indice puntato, mentre il braccio sinistro scende verticalmente su un lato della figura. La volontà di discolparsi dell'accusato si esprime, al contrario, con l'incrociare le braccia. Di fronte al querelante e al giudice, l'uomo che è oggetto di un'accusa punta verso il suolo l'indice sinistro. Questo g. riveste tuttavia un tale significato solo in questo contesto giudiziario, forse solamente in questi manoscritti. In altri manoscritti o in altri contesti, per es. in una Bibbia, questo stesso g., compiuto da un angelo, non significa né lagnanza né la confessione di una mancanza, ma la disposizione ad ascoltare la preghiera dell'uomo.Il consenso alla decisione dell'autorità si traduce nell'apertura delle mani o nell'incrociare le braccia sul petto. Questo g. privilegia la posizione del cuore come sede della coscienza e della volontà; lo si ritrova compiuto dalla Vergine dell'annunciazione e dalla Vergine e dagli apostoli che ricevono lo Spirito Santo al momento della pentecoste.Altri g. esprimono piuttosto l'incapacità o il rifiuto. Un personaggio afferra con la mano destra il proprio pugno sollevato all'altezza del petto oppure con la mano sinistra prende il proprio pugno abbassato sul ventre o, ancora, afferra con la destra il proprio avambraccio sinistro, anch'esso abbassato. Queste variazioni formali non implicano significati diversi; tutti esprimono la privazione di un potere giuridico (per es. il potere di ereditare) o, più concretamente, la manifestazione di una incapacità materiale ad agire (Garnier, 1982-1989, I, p. 201).Quando la comunicazione tra i personaggi si inserisce in una relazione di carattere antagonistico, i g. si fanno più vigorosi, come equivalenti visuali dell'ingiuria verbale o della maledizione. In qualche caso essi riguardano solo la mano e le dita, aperte in forma di V girata verso il basso, per significare la maledizione di un dannato condotto all'inferno (Schmitt, 1990, p. 325), oppure incrociate, con il pollice che emerge tra l'indice e il medio ripiegati, secondo il segno osceno 'della fica', assai comune alla fine del Medioevo nelle scene di derisione del Cristo. Accade anche che sia coinvolta tutta la potenzialità dell'espressione licenziosa del corpo, della sua nudità e dei suoi orifizi: nelle figurazioni marginali dei manoscritti, sulle mensole esterne delle chiese, sul retro degli stalli, piccoli personaggi grotteschi esibiscono la loro nudità, fanno passare la loro testa tra le gambe aperte e con la lingua indicano il proprio ano (Mein ganzer Körper ist Gesicht, 1994).Un altro insieme di g. implica il contatto fisico, positivo o negativo, tra personaggi differenti. Si tratta generalmente di g. dinamici ma irrigiditi in un'immagine la cui fissità non facilita l'apprezzamento del movimento, della sua direzione, della sua intensità e dei suoi significati. Quando un personaggio ne afferra un altro per le braccia o per le spalle si può trattare di un incoraggiamento ad agire, di un g. di separazione o anche di una maniera per trattenerlo o fermarlo. L'esame della sola immagine non permette sempre di decidere se due uomini affrontati si stiano abbracciando in un movimento di mutuo affetto o se stiano invece lottando; per contro, se essi si afferrano per i capelli, le loro intenzioni malevole appaiono indubbie.Il contatto fisico interviene nei g. di guarigione, seguendo il modello di Tobia che guarì la cecità di suo padre Tobi toccandogli gli occhi con la punta delle dita. Analogo è anche il g. regale di toccare delle scrofole e non meno tipico è il g. d'incredulità di s. Tommaso, che pretende di toccare la piaga del Cristo per credere alla sua risurrezione. Per contro, vanno sottolineati i g. d'allontanamento del Cristo che diffida Maria Maddalena dal toccarlo (Noli me tangere).Altri g., come quelli che segnano l'accoglienza o l'incontro di due personaggi, implicano varie forme di abbraccio. Tale è il g. caratteristico della visitazione di Maria a Elisabetta. Tra uomini, tali circostanze impongono spesso l'osculum, il bacio sulla bocca, tutt'altro che eccezionale nel Medioevo (Schreiner, 1990; Carré, 1992). Il bacio di Giuda non differisce da altri baci: solo il contesto evangelico e gli attributi (la borsa con i trenta denari, il colore rossiccio dei capelli) ricordano le connotazioni negative del personaggio. Tra un uomo e una donna il bacio è riservato alle relazioni amorose; l'affetto e la seduzione si possono tradurre anche nel g. dell'uomo che passa la mano sotto il mento della donna.La complessità di tali g. è proporzionale a quella delle situazioni sociali messe in scena. Così la contraddizione o l'inversione si traducono nell'intrico dei rispettivi g. dei diversi personaggi: per es., nel Vidal Mayor, il principale testo di diritto consuetudinario aragonese della fine del sec. 13°, la miniatura che illustra il capitolo dedicato agli arbitrati (De arbitriis. De los arbitros) mostra l'arbitro seduto al centro dell'immagine in posizione frontale, tra le due parti convenute e i loro rappresentanti; egli solleva la destra in segno di elocuzione, nella sua mano sinistra - ma a destra della figura - afferra la destra del mandatario di una delle controparti. Questo stesso mandatario tiene nella mano sinistra il pugno destro di colui che rappresenta; sull'altro lato, il mandatario della parte avversa tiene a sua volta con la destra il pugno destro di colui che rappresenta. Il solo intrico di tutte queste mani intorno alla figura centrale dell'arbitro esprime in maniera evidente la complessità della causa e la difficoltà della funzione di conciliazione.Le immagini medievali risultano spesso chiarificatrici delle situazioni complesse attraverso i gesti. L'iconografia biblica conosce per es. l'inversione, tra destra e sinistra, del g. di designazione dell'erede: Giuseppe incrocia le mani per benedire la mano destra di suo figlio Efraim, che, essendo il cadetto, si tiene alla sinistra di suo padre, che lo predilige; simultaneamente Manasse, il primogenito che si tiene alla destra di suo padre, viene da lui benedetto solo con la mano sinistra, segno che le sue prerogative gli sono sottratte a beneficio di suo fratello.Se l'immagine accentua ancor di più il carattere ritualizzato di tutti questi g., accade anche che essa metta in scena riti ecclesiastici o laici esplicitamente designati come tali, dove i g. costituiscono elementi importanti. Il g. di benedizione è comune all'insieme delle cerimonie della Chiesa e ciò spiega l'abbondanza delle sue rappresentazioni. Il sacerdote benedice con la mano destra, il braccio sollevato, l'indice e il medio tesi. Da quella latina si distingue la benedizione greca - testimoniata in Occidente da alcune opere dell'Italia meridionale - in cui il medio forma un arco con il pollice, l'indice e l'anulare tesi (Barasch, 1987). Esso si combina in qualche caso con un altro g. assai antico, l'imposizione della mano o delle mani da parte del celebrante sulla testa del malato, del catecumeno o del candidato al sacerdozio.Altri g. testimoniano nell'iconografia medievale le trasformazioni dei rituali religiosi: è il caso dei g. del matrimonio, ove il sacerdote si sostituisce al padre nel congiungere nelle proprie mani quelle dello sposo e della sposa. Nel sec. 13° si affermò anche il g. dell'elevazione dell'ostia da parte del sacerdote, che da allora tese a simboleggiare da solo l'insieme del rituale della messa.Nelle immagini risulta altrettanto significativa l'importanza dei rituali laici e dei loro g. specifici, come quelli dell'omaggio e dell'infeudazione. In generale, quando il signore è seduto, il suo vassallo mette un ginocchio a terra dinanzi a lui (un solo ginocchio, poiché la doppia genuflessione è riservata alla preghiera a Dio); quando, invece, il signore è raffigurato in posizione stante, il vassallo rimane anch'egli in piedi, benché in una posizione inferiore; in entrambi i casi il signore prende nelle sue le mani giunte del suo uomo.Evitando di isolare ogni singolo g. dagli altri g. e da tutti gli elementi con i quali esso forma un sistema all'interno di un'immagine e inserendo quest'ultima in una serie che ne comprenda altre, appartenenti allo stesso insieme iconico (per es. la serie completa delle miniature di un manoscritto), lo storico dispone degli strumenti per un'analisi rigorosa ed esaustiva dei g. figurati. Solo questo metodo può consentire di svelare il significato di tali g. all'interno di un determinato contesto sociale e ideologico in una certa epoca. In ogni g. raffigurato tuttavia questo asse sincronico incrocia l'asse diacronico della tradizione iconografica. Intersecando tali due assi è possibile tracciare una storia della raffigurazione dei g. che metta in luce la continuità o i cambiamenti, simultanei o susseguentisi nel tempo, delle forme espressive o dei significati dei g. nelle immagini, dato che gli stessi contenuti semantici si possono esprimere da un'epoca all'altra con g. differenti. Sarebbe ugualmente essenziale poter dimostrare se e in quale misura le immagini costituiscano testimonianza dello sviluppo della riflessione morale e semantica sui g., che, per es., si lega, per il sec. 12°, al nome di Ugo di San Vittore (m. nel 1141; Schmitt, 1990). Occorrerebbe infine studiare le innovazioni gestuali o, al contrario, l'abbandono di determinati g. in diverse epoche: è questo il caso, per es., dei g. della preghiera cristiana, dal g. dell'orante caratteristico dei primi secoli a quello che si impose nel pieno Medioevo, con le mani giunte e le ginocchia piegate. Attraverso lo stesso metodo è possibile, al di là degli aspetti convenzionali della raffigurazione dei g., individuare l'impronta specifica di una determinata bottega o di un singolo artista, come nel caso di Giotto - per il quale sin dal Rinascimento si riconosceva l'attitudine a rendere nella pittura dei volti e dei g. la chiara espressione di un'anima turbata -, nella cui pittura si incontrano (Barasch, 1987) i modi figurativi tradizionali dei g. rituali e la scelta individuale, compiuta dall'artista, di trasformare o di spostare questi g. da un contesto all'altro, allo scopo di rafforzarne la potenza espressiva.
Bibl.:
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