GETA (Lucius [o Publius] Septimius Geta)
Figlio secondogenito di Settimio Severo e di Giulia Domna, nacque nel 189 d. C. a Roma. Ricevette il titolo di Cesare nel 198 e nel 209 quello di Augusto. Settimio Severo lo lasciò erede dell'Impero insieme a Caracalla, ma un anno dopo la morte del padre fu assassinato per ordine del fratello (febbraio 212). Pare fosse il prediletto della madre; gli storici gli attribuiscono cultura e civiltà di maniere, che lo rendevano accetto, specialmente in confronto alla rozzezza di Caracalla.
In seguito alla damnatio memoriae, che seguì il fratricidio, la sua immagine fu scalpellata o cancellata dai monumenti (arco degli Argentari, clipeo dipinto a Berlino); tuttavia l'opera di distruzione non fu completa. La sua iconografia infantile si ricostruisce dai ritratti monetali e da una gemma della Bibliothèque Nationale, in cui G. appare insieme ai genitori, accanto al fratello già laureato. È probabile che la gemma, come le più antiche immagini monetali, si riferisca all'anno in cui i due fratelli ricevettero rispettivamente il titolo di Augusto e di Cesare (198 d. C.), o sia di poco posteriore. La somiglianza fra G. e Caracalla è evidente, ma il secondogenito ha i capelli meno ricciuti. Il Waldhauer distinse per primo un tipo scultoreo, in cui riconobbe G. in una testa di fanciullo dell'Ermitage. Recentemente il Budde ha attribuito questo ritratto ed alcuni simili a Caracalla, identificando G. fanciullo in una altra serie, che chiameremo Tolosa-Monaco, da due ritratti affini, caratterizzati dalla chioma voluminosa e ondulata, con le punte delle ciocche divergenti in mezzo alla fronte. La bocca ha gli angoli leggermente volti in su, che si osserveranno anche nei ritratti posteriori di G.; gli occhi distanti e grandi, come quelli del fratello, ampie le sopracciglia, che tendono a congiungersi sul naso, breve il mento. L'espressione è più mite di quella di Caracalla. Le somiglianze e le differenze si mantengono circa le stesse nei ritratti dell'adolescenza e della prima giovinezza. Le rappresentazioni plastiche dei due fanciulli appartengono alla stessa corrente d'arte, continuatrice della tradizione antonina, in cui al senso decorativo della chioma si accoppia la ricerca dei contrasti tonali; nei ritratti di G. meno ricciuto del fratello, è più discreto il lavoro del trapano fra le voluminose ciocche dei capelli, lavorate sempre individualmente. L'epidermide è morbida e liscia, le sopracciglia sono espresse col graffito, le pupille, incise a pelta, si volgono a destra con un inizio di espressione patetica. Nell'arco di Leptis, G. è raffigurato a quattordici o quindici anni, ma la incertezza della identificazione fra i due giovani dimostra lo scarso valore iconografico del rilievo. Lo stesso dicasi per il clipeo dipinto proveniente dall'Egitto a Berlino mentre nelle gemme con la famiglia imperiale, quella al Metropolitan Museum e quella recentemente resa nota da un disegno, proveniente da Novae (Bulgaria), i due principi si identificano agevolmente per i segni esteriori, ma sono troppo scarsi i caratteri individuali. G. adolescente è rappresentato in alcuni ritratti a tutto tondo. Ancora imberbe compare in un busto da Gabi al Louvre, n. 2282, ma una corta e fine peluria accenna ai favoriti (una copia inferiore è al Museo Torlonia, n. 575). All'incirca coevo era forse l'originale di una testa del Museo d'Arte e Storia di Ginevra, n. 1347. Affine a questa, quasi come opera dello stesso artista, ma un po' più tarda, è il busto del Museo Capitolino, Imp. 57, dove G. è rappresentato con la prima barbula. La grande testa del Museo del Bardo a Tunisi ha le caratteristiche proprie dell'opera colossale e provinciale, con l'accentuazione espressiva, che non di rado vi si avverte. Forse dipende dallo stesso originale anche la testa del museo di Guelma, dallo sguardo pateticamente volto a destra e in alto. L'ultimo in ordine cronologico è il busto del Museo Nazionale Romano, n. 88. Qui G. è rappresentato col volto largo, il collo taurino, la breve barba ricciuta che incornicia il volto, in modo del tutto simile al fratello maggiore. Ma l'espressione dello sguardo è calma, mancano la contrazione nervosa della fronte e gli affossamenti, che rendono torvo l'aspetto di Caracalla e ne costituiscono la tipica maschera. Anche nei ritratti giovanili di G. è in gran parte sparito il volume e il senso decorativo della chioma, che appiattendosi pone in risalto la robusta struttura del cranio e del volto, e il collo possente, fasciati dai muscoli e dalla liscia epidermide. Il busto barbato si può datare con l'aiuto delle monete. Le effigi monetali raffigurano G. quando era Cesare ancora imberbe; il tipo iconografico muta nel 209, quando egli assume il titolo di Augusto; una breve barba ricciuta incornicia il volto, mentre in alcuni conî del 210 già appare più folta e più dura. È quindi probabile che nel busto romano sia conservata una rara immagine di G. come imperatore.
Bibl.: J. J. Bernoulli, Röm. Ikon., II 3, Stoccarda 1894, p. 68 ss.; O. Waldhauer, Geta, in Röm. Mitt., XXXVI-XXXVII, 1921-22, p. 145 ss.; R. Bartoccini, L'arco dei Severi a Leptis, in Africa Italiana, IV, 1931, p. 120 ss., fig. 83; Prescott W. Townsend, The Arch of the Severi at Lepcis, in Am. Journ. Arch., XLII, 1938, p. 517 ss.; Fasti Arch., V, 1950, n. 4003, fig. 81, (G. C. Picard, busto); L. Budde, Jugendbildnisse des Caracalla u. G., Münster 1951; id., Ein Bildnis des jugendlichen G., in Die Kunst u. das schöne Heim, II, 1953, p. 142 ss.; B. M. Felletti Maj, Museo Nazionale Romano, I Ritratti, Roma 1953, pp. 130, 133 ss.; G. Zinserling, Ein Porträt des G. im Landes-Museum zu Gotha, in Wissenschaftl. Zeitschr. d. Univ. Jena, 1952-53, p. 141 ss.; G. Souville, Un portrait de G. au Musée de Guelma, in Libyca, I, 1953, p. 115 ss.; F. W. Goethert, Die Söhne des Septimius Severus, in Festschrift Bernhard Schweitzer, Stoccarda 1954, p. 361 ss. Gemme: E. Babelon, Camées antiques de la Biblioth. Nation., Parigi 1897, p. 156, tav. XXXIV, 300; T. D. Gerasimov, Gemma con immagini di Settimio Severo, Caracalla e G. in Bull. Inst. Archéol. Bulgare, XV, 1956, p. 184 s.; G. M. A. Richter, Metropolitan Museum of Art Catal. of Engraved Gems, Roma 1956, p. 108, n. 497. Monete: H. Mattingly, Coins of the Roman Empire in the Brit. Mus., V, Londra 1950, p. CXXVIII ss., tavv. 30, 32-34, 38, 39, 42, 44-46, 48, 50, 52-60, 62, 64-66.