BUONDELMONTI, Gherardo
Nacque a Firenze, probabilmente nella prima metà del sec. XIV, terzo dei tredici figli di Gemma di Branco Sassetti e di Manente di Rosso, acceso guelfo nero, dichiarato ribelle da Enrico VII e morto nella battaglia di Montecatini (1315).
Poco ci è noto della vita privata del B.: il suo nome compare nel libro dei conti della famiglia Del Bene, in cui è registrato anche - quale affittuario di una casa nel quartiere di S. Spirito - il fratello Banchello; sappiamo inoltre di due suoi matrimoni, con Bartolomea di Tuccio Cocchi e Bartolomea di Arrigo Spini, da cui ebbe ben dodici figli (Bice, Banchello, Lapo, Tegghiaio, Giovanni, Manente, Rossellino, Onofrio, Cilia, Piero, Margherita e Marignolla). La prima testimonianza datata che lo riguardi è del 1342, quando egli sottoscrisse la pace sancita dalla fazione dei Buondelmonti con quella dei Giandonati e dei Bardi. L'anno dopo, la sua notevole posizione economica gli permise di sovvenzionare l'erario pubblico con 7000 fiorini.
Intanto un nuovo riaccendersi di lotte interne era stato suscitato dalla famiglia ghibellina degli Ubaldini, che cospirava contro il Comune, e il B. venne inviato, nel 1350, come oratore alla città di Bologna per ottenere soccorsi contro quel potente casato. Il 17 maggio 1352 fu fra gli ambasciatori fiorentini mandati presso l'imperatore di Germania Carlo IV, per chiedergli aiuto contro i Visconti di Milano. Nello stesso tempo, come ufficiale di Torre, ebbe incarichi di sovraintendenza all'edilizia ed in special modo alle fortificazioni cittadine. Nel 1356 fu nominato castellano di Lanciolina, sul Pratomagno. Quando, nel 1360, Gian Galeazzo Visconti si unì in matrimonio con Isabella, figlia del re di Francia Giovanni II, il B. fu inviato quale rappresentante fiorentino alle nozze; ancora nel 1362 il Comune fiorentino scelse lui, insieme con altri cinque cittadini, per assistere alle nozze del marchese Niccolò d'Este e di Verde della Scala. Perché gli ambasciatori potessero onorevolmente comparire alle feste celebrative, essi furono riccamente forniti di denari e di vesti e venne loro concesso di accettare dal marchese l'investitura di cavaliere godendo in seguito degli stessi privilegi spettanti ai cavalieri creati dal Comune di Firenze. Nello stesso anno il B. fu mandato come podestà a San Miniato al Tedesco; ma doveva essere soprattutto apprezzato per le sue capacità di diplomazia e di oratoria. Così nel 1366, quando il marchese di Ferrara si recò in visita a Firenze, il B. fu tra gli oratori inviati per porgergli al confine il benvenuto del Comune.
L'anno dopo rifiutò il governo delle gabelle, la castellania di Santa Maria in Monte e la podesteria di Carmignano; accettò invece la carica di camerlengo del Comune di questa città. Quando fu istituito il Consiglio dei dieci della libertà, il B. fu fra i primi ad essere eletto nel 1372; varie volte fu anche nominato membro del Consiglio della Signoria, al quale partecipò nel 1373, 1375, 1377, 1386 e 1388, e in quest'ultimo anno ricoprì inoltre la carica di ufficiale di Grascia. Intanto la vita fiorentina era stata scossa dal tumulto dei Ciompi, finito in una violenta reazione, ed è probabilmente lui il Gherardo Buondelmonti che nel 1382 venne eletto dai Priori e dai collegi comunali perché, assieme ad altri quindici cittadini, riportasse ordine e pace nella città. Il 15 genn. 1388, essendo sorta una disputa tra i Bolognesi e il marchese Niccolò d'Este per il possesso di alcuni castelli, fu inviato ad Imola insieme con Lodovico Albergotti per dirimere la controversia.
Sicuramente però la più delicata missione affidata al B. fu quella presso Gian Galeazzo Visconti, che con la sua politica espansionistica minacciava la libertà fiorentina. Già nel febbraio 1389 Luigi Guicciardini e Giovanni Ricci erano stati mandati presso il duca di Milano per stringere un patto che impegnasse il Visconti a non interferire nelle cose di Toscana; Gian Galeazzo aveva però opposto la sua volontà di creare una vera e propria alleanza difensiva. Il 10 aprile il B., insieme con Lodovico Albergotti, venne incaricato dal Comune di raggiungere i primi due ambasciatori a Pavia, per rimproverarli di aver disobbedito alla volontà del popolo fiorentino e per riconfermare al Visconti che nessun accordo poteva essere firmato, nel quale il duca non si impegnasse "a non si voler intromettere o impicciare ne fatti di Toscana ne di Bologna ne di Modena". Ma anche i due nuovi ambasciatori dovettero dimostrare le stesse incertezze dei loro predecessori. Firenze infatti inviò loro, il 10 maggio, un'aspra lettera in cui si ordinava di abbandonare la conferenza il 20 maggio, se il Visconti, nel frattempo, non avesse accettato il principio del non intervento. Nonostante questi ordini, il 23 il B. e l'Albergotti erano sempre a Pavia, e di conseguenza, il 29 maggio, con un'ultima lettera, vennero privati del loro incarico di ambasciatori, perché avevano scelto di seguire i loro desideri invece di obbedire alle istruzioni ricevute. Pertanto la missione del B. e dell'Albergotti terminò in un fallimento, mentre il prestigio fiorentino soffriva per il modo in cui la Repubblica aveva condotto i negoziati.
Dopo quest'ultima missione il B. probabilmente non si sentì più capace di ricoprire cariche ufficiali, forse anche a causa della tarda età; nel 1390ricusò, infatti, l'ufficio della sovraintendenza alle carceri delle Stinche. Morì pochi anni più tardi, nel 1395.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Dieci di Balia,Legazioni e Commissioni, reg. I, cc. 185 s., 191, 196; Cronaca terza di anonimo conosciuto sotto il nome di Cronachetta Strozziana, in Il tumulto dei Ciompi. Cronache e memorie, in Rer. Italic. Script., 2ed., XVIII, 3, a cura di G. Scaramella, p. 134; Delizie degli eruditi toscani, Firenze, XIV, 1781, p. 225; XVIII, 1784, pp. 78, 105;D. Tiribilli-Giuliani, Sommario stor. delle famiglie celebri toscane, a cura di L. Passerini, I, Firenze 1855, sub voce Buondelmonti; G. Salvemini, in Magnati e popolani in Firenze dal 1280al 1295, Torino 1960, p. 465;B. De Mesquita, Giangaleazzo Visconti,duke of Milan (1351-1402), Cambridge 1941, pp. 102-104; A.Sapori, Case e botteghe a Firenze nel Trecento, in Studi di storia econ. (secc. XIII,XIV,XV), I, Firenze 1955, p. 346 s.; P. Litta, Le fam. cel. ital., sub voce Buondelmonti di Firenze, tav. IX.