CIBO, Gherardo
Nacque a Genova nel 1512 da Aranino e da Bianca Vigeri Della Rovere, parente di Francesco Maria I duca d'Urbino e nipote di Marco Vigeri, vescovo di Senigallia. La famiglia paterna apparteneva a un ramo dei Cibo derivato da Teodorina, figlia di Giovanni Battista Cibo, divenuto papa coi nome di Innocenzo VIII.
Da lei e da Gherardo Usodimare di Genova nacque nel 1484 Aranino, che fu custode della rocca di Camerino e morì a Sarzana nel 1568, dopo aver ottenuto il titolo di conte del Palazzo lateranense. Dal matrimonio di Aranino, che aveva ottenuto dal pontefice la concessione di assumere e trasmettere il cognome Cibo, e Bianca Vigeri nacquero, oltre al C., Marzia, Maddalena, Scipione e Maria. Le due sorelle Marzia e Maddalena sposarono rispettivamente il conte Antonio Maurugi di Tolentino e Domenico Passionei, gonfaloniere di Urbino. Da questa famiglia sarebbe nato, due secoli dopo, il cardinale Domenico Passionei, celebre bibliofilo, che diede un grande contributo alla raccolta della Biblioteca Angelica di Roma. Scipione, nato "Genova nel 1531, viaggiò a lungo in Europa" morì nel 1597 a Siena. L'ultima sorella, Maria, fu monaca nel monastero di S. Agata in Arcevia.
Dopo un primo periodo di permanenza nella città natale, il C. trascorse l'adolescenza' a Roma, dove era giunto al seguito della duchessa di Camerino, Caterina Cibo da Varano, sua parente, mtomo al 1526 per motivi di studio e anche per intraprendere la carriera ecclesiastica. Ma il sacco di Roma lo costrinse ad allontanarsi senza indugi dalla città invasa dai lanzichenecchi. Il C. si trattenne per pochi mesi a Camerino presso il duca Giovanni Maria da Varano. Alla morte di quest'ultimo, nell'agosto del 1529, seguì Francesco Maria Della Rovere, capitano generale delle milizie della Chiesa, in una serie di campagne militari nella pianura padana e a Bologna, dove quello era andato per l'incoronazione di Carlo V. A Bologna il C. poté seguire le lezioni di botanica di Luca Ghini fino al 1532.
Questo periodo fu importantissimo per la formazione scientifica del C., che dal Ghini apprese il metodo di raccolta, catalogazione ed agghitinazione delle piante per la formazione di un erbario. Si sa che lo stesso Ghini collezionava piante secche, che talvolta inviava ai botanici contemporanei, come il Mattioli; ma il suo erbario, come quelli dei suoi allievi John Falconer e William Turner, e andato distrutto.
Se già negli anni bolognesi il C. poté iniziare la raccolta di materiale per il suo erbario., fu soprattutto durante i viaggi degli anni successivi che ebbe modo di ampliare l'ambito delle sue ricerche. Nel 1532 infatti il padre lo condusse con sé alla corte di Carlo V, dove era incaricato di trattare per le nozze, poi non avvenute, tra Giulia da Varano, figlia di Caterina Cibo, e Carlo di Lannoy figlio del principe di Sulmona. Questo viaggio di due anni attraverso la valle dell'Adige e del Danubio, da Trento a Ingolstadt e a Ratisbona, nell'Alto Palatinato, fu per il C. una preziosa occasione di ricerche botaniche, proseguite anche al ritorno in Italia.
Nel 1534 egli era, ad Agnano presso Lorenzo Cibo, suo parente, e poté compiere accurate escursioni botaniche e mineralogiche nei dintorni di Pisa. Nel 1539 partì nuovamente per la Germania, al seguito del cardinale Alessandro Farnese, uomo colto e generoso che era stato suo compagno di studi a Bologna. Lo spingeva a questo viaggio non solo l'intento scientifico di raccogliere materiale per il suo erbario e di entrare in contatto con botanici stranieri, ma anche il proposito religioso di contribuire alla lotta contro il luteranesimo. Ma fu proprio la sua profonda religiosità a convincerlo a lasciare gli eserciti per tornarsene alla pace dei suoi studi. Può anche darsi che a tale scelta abbia contribuito la politica condotta dai Farnese contro i Cibo e i Della Rovere per il possesso di Camerino. Infatti lo Stato camerinese, antica signoria dei Varano, era passato, per volontà di papa Paolo III Farnese, ad Ottavio, suo nipote; di fronte alle lotte fra la sua famiglia e quella del suo potente protettore Alessandro Farnese, il e preferì ritirarsi in solitudine studiosa a Rocca Contrada (l'attuale Arcevia) nel 1540.
Compì ancora qualche viaggio, nelle Marche, nell'Umbria, a Roma, dove si reco nel 1553; ma praticamente trascorse il resto della sua vita sempre ad Arcevia, da cui partiva per quotidiane escursioni nei d intorni e sull'Appennino marchigiano per la raccolta di vegetali e minerali. Non mancando di spiccate doti artistiche, usava dipingere le piante raccolte con un gusto fianuningo per la minuzia dei particolari; tale attività, in margine e a integrazione della sua curiosità naturalistica, non costituiva un semplice passatempo, poiché i suoi quadri e disegni, conservati ad Arcevia, non mancano di notevoli pregi artistici, soprattutto i paesaggi. Delle sue quotidiane occupazioni si ha notizia attraveriso un Diario, che il C. tenne a partire dal 1553 e di cui il Celani (1902, pp. 208-11) riporta alcuni brani (ma attualmente se nè persa notizia).
Studioso metodico e preciso, il C. aveva come abitudine di postillare e di integrare con note e disegni le opere che egli andava leggendo, come quelle di Plinio, di Leonhart Fuchs, di Garcia Dall'Orto. Notevole soprattutto un'edizione del Dioscoride (Venezia 1568) del botanico senese Pierandrea Mattioli, amico del C. e con lui in corrispondenza epistolare, illustrata con miniature e disegni per il card. Della Rovere (oggi è conservata alla Biblioteca Alessandrina di Roma, segnatura Ae q II). Anche per il cardinale di Urbino e per altri corrispondenti preparò vari disegni, tra cui notevoli ampie tavole di zoologia (anchesse nella Biblioteca Alessandrina di Roma, MS. 2).
Nonostante la sua vita ritirata, piuttosto insolita per uno scienziato, il C. fu in corrispondenza con i botanici più esperti dei tempo, da Ulisse Aldrovandi ad Andrea Bacci, dal Fuchs al citato Mattioli. Non si ha notizia di suoi rapporti col Cesalpino, anche egli allievo del Ghini (non a Bologna però, bensì a Pisa) e in corrispondenza con l'Aldrovandi e il Bacci. D'altronde i criteri ordinativi dell'erbario del Cesalpino sono diversi da quelli del C., il cui hortus siccus non ha ordinamento sistematico, bensì alfabetico, come quello dell'Aldrovandi. Questa comcidenza di metodo si può ricondurre sia al comune maestro Ghini sia agli stretti rapporti intercorsi tra l'Aldrovandi e il Cibo. In una lettera del 1576 (pubblicata da De Toni, pp. 103-108) l'Aldrovandi dimostra di conoscere l'erbario del C. e di possederne l'indice; egli invia all'amico alcuni chiarimenti su diverse piante, tra cui la Lunaria tonda (di cui il C. gli aveva inviato un disegno), e su un favoloso serpente a due teste, l'anfisbena. Su questo curioso rettile il C: aveva scritto, a dire dell'Aldrovandi (in Serpentum et draconum historiae libri duo, Bononiae 1640 [ma 1639], p. 238), una memoria, in cui affermava d'averlo visto. Pare comunque certo che egli avesse inviato più volte pezzi di pregio per il museo naturale aldrovandiano, e che quindi tale rapportò abbia avuto per entrambi effetti stimolanti. Oltre alla memoria suddetta, citata solo dall'Aldrovandi, non si ha notizia di altre opere del C., ché tali non possono considerarsi le opere d'altri autori (conservate alla Biblioteca Angelica), da lui commentate con annotazioni mediche, botaniche e minerologiche, o le ricette sparse nelle lettere (ad es. quella pubbl. dal Celani, 1902, pp. 222-26). Ciò giustifica il silenzio dei repertori e delle opere botaniche contemporanee su di lui.
L'attribuzione al C. dell'erbario conservato alla Biblioteca Angelica di Roma e studiato particolarmente da E. Celani e O. Penzig suscitò negli anni 1907-1909 una vivace polemica tra il Celani da lina parte e il Chiovenda e il De Toni dall'altra, poiché questi ultimi sostennero che autore della maggior parte di tale erbario non era il C., bensì il botanico viterbese Francesco Petrollini, anch'egli della cerchia aldrovandiana, anzi maestro e guida dell'Aldrovandi nella raccolta degli esemplari vegetali. Non è possibile dire la parola definitiva sulla questione; quello che è certo è che l'erbario conservato all'Angelica è il più antico tra quelli giunti fino a noi. Risulta. composto di cinque volumi: il primo, denominato "A" dal Penzig, è assai rovinato e conta trecentoventidue fogli non numerati con quattrocentonovanta esemplari di flora alpina e subalpina, senza alcun criterio sistematico (potrebbe essere questo, contro l'opinione del Chiovenda, l'erbario del C. cui accenna l'Adrovandi nella lettera sopra citata); gli altri quattro volumi (erbario "B"), completati prima del 1551, complessivamente sono costituiti di novecentotrentotto fogli con milletrecentoquarantasei esemplari, di cui molti della stessa specie. E numero e la varietà delle specie rappresentate, pur con non pochi errori e ripetizioni, lo pongono al di sopra di ogni altro erbario del secolo, se si eccettua quello aldrovandiano (limitato alla flora bolognese).
Ad Arcevia il C. assunse una posizione d'autorità pur senza rivestire cariche pubbliche. Era spesso consultato per. comporre dissidi e rivalità; contribuì alla fondazione di un Monte di pietà e, soprattutto in occasione di una terribile carestia nel 1590, si dedicò ad.una generosa attività filantropica.
Morì ad Arcevia (Ancona) il 30 gennaio del 1600 e fu sepolto nella chiesa di S. Francesco.
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