CORSINI, Gherardo
Figlio di Duccio di Corsino "gran mercante di lana" (Passerini, p. 35) e fratello del ben altrimenti noto Tommaso, nacque a Firenze, dove esercitò sia l'arte del padre sia quella della seta e di entrambe ricoprì la carica consolare nel 1328 (Delizie ..., VIII, pp. 212-214). Stimato uomo d'affari, fu (1337), a detta del Passerini, incaricato dalla Signoria di una riforma del pubblico erario che fu in realtà una risistemazione di imposte già esistenti ed in questo stesso anno fu prescelto tra i vessilliferi delle società per il sesto d'Oltrarno (Delizie..., XIII, p. 229). Non abbiamo molte notizie su di lui; sappiamo però che dovette essere un cittadino assai influente, "de' più possenti popolani di Firenze" (G. Villani, p. 433),se nel 1341 veniva chiamato insieme con il fratello Tommaso - che fu veramente uno dei protagonisti di quelle vicende - a far parte della Balia dei venti incaricati di trattare con Mastino Della Scala per l'acquisto di Lucca.
Il Villani, parte in causa di questo sfortunato momento della diplomazia fiorentina, rifiuta di registrare nella Cronica il nome dei chiamati all'ufficio "perocché non sono degni di memoria di loro virtú o buone operazioni per lo nostro comune, ma del contrario" (XI, cap. CXXX). Nonostante il cronista abbia acerbe parole di biasimo nei confronti della Balia dei venti, dei quali rigorosamente elenca "fallo sopra fallo" giungendo ad insinuare sospetti di baratteria per l'eccessivo costo della città - venduta da chi non aveva il diritto di farlo, ad un prezzo troppo elevato anche se essa non fosse stata, com'era invece, assediata dai Pisani -, il C. non sembra aver risentito del malumore cittadino contro i Venti, forse perché compreso nel numero di quanti furono ritenuti meno responsabili del disastro (il Villani stesso ricorda: "ve n'ebbe alcuno tra loro innocente, secondo si disse": ibid.). Infatti, nel dicembre 1341 ad appena due mesi dalla sconfitta fiorentina sotto le mura di Lucca ad opera dei Pisani (avvenuta il 2 ott. 1341), egli venne prescelto come gonfaloniere di Giustizia (Marchionne di Coppo Stefani). La questione di Lucca ebbe comunque conseguenze negative sul Corsini.
All'indomani della sconfitta i Fiorentini richiesero l'intervento di Roberto d'Angiò e, nelle trattative per coinvolgere militarmente il sovrano angioino, giunsero ad assecondare le sue richieste di signoria sulla città di Lucca. Questo fatto non servì tuttavia ad allontanare l'assedio pisano dalla città, mentre dal canto suo re Roberto si guardò bene, a dispetto delle speranze degli alleati fiorentini, dal far valere i suoi diritti su Lucca o di prestare gli aiuti militari promessi. La situazione si evolse così in modo imprevisto: "certi reggenti", forse gli stessi Venti o parte di loro, per istigazione, dice il Villani, di Mastino Della Scala, inviarono ambasciatori a Ludovico il Bavaro, allora a Trento, ed egli accondiscese alle loro richieste inviando all'"oste di Lucca più de' suoi baroni con cinquanta cavalieri" (Villani, XI, CXXXVIII). I Fiorentini si resero conto troppo tardi del pericolo rappresentato da questo sostegno ghibellino e a nulla valse il fatto che i baroni inviati dal Bavaro facessero ritorno in Germania (Villani, ibid., CXXXIX), dal momento che "il re Roberto entrò in tanta gelosia che non sapea che fare". Così molti altri dignitari del suo Regno, sia laici sia ecclesiastici, messi in sospetto dalla manovra fiorentina e preoccupati di una possibile ripresa del ghibellinismo in Firenze, chiesero la restituzione dei depositi giacenti presso le compagnie mercantili cittadine, provocando, non ultima tra le cause della crisi, il fallimento di molte "buone compagnie" tra cui quella dei Corsini (Brucker).
Ancora nel 1346 i sindaci del fallimento dei Corsini (Duccio di Niccolò, Corsino di Mozzo e lo stesso C.) avvertivano le competenti autorità che non erano in grado di corrispondere ai creditori gli otto soldi per lira pattuiti in base alla stima dei beni della società fatta al tempo del fallimento, dal momento che per il "male statum qui supervenit in civitate" dopo il governo del duca d'Atene si era verificata una svalutazione. Chiedevano, pertanto, che si diminuisse la moneta fallimentare (Sapori).
Il C., imprigionato per debiti, morì, probabilmente alla fine del 1342,nel carcere fiorentino delle Stinche; gli sarebbe sopravvissuta la moglie, Alessandra di Nastagio di Corso Cacciafuori, e l'unica figlia, Elisabetta, che l'11 dic. 1344 si sarebbe monacata in San Gaggio, la fondazione monastica voluta e patrocinata dallo zio Tommaso.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Carte Sebregondi, 1830;Ibid., Provvisioni, XXXIV, c. 66r; Firenze, Biblioteca nazionale, Mss. Magliab. XXVI,134, c. 166; Ibid., Poligrafo Gargani, 675; Ibid., Biblioteca Marucelliana, Mss. A145, cc. 13, 76; Ibid., Biblioteca Riccardiana, Mss. Ricc. 2023, c. 200; Ibid., Mss. Ricc. 2499, cc. 186 s.; G. Villani, Cronica, Venezia 1833, pp. 433, 439-41; Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, in Rer. Ital. Scritt., 2 ed., XXX, a cura di N. Rodolico, p. 190; Delizie degli eruditi toscani, VIII,Firenze 1777, pp. 212, 214; XIII ibid. 1779, p. 220; W Rastrelli, Priorista fiorentino istorico, Firenze 1783, p. 136; E. Repetti, Dizionario geogr. fisico, storico della Toscana, II,Firenze 1835, p. 369; L. Passerini, Geneal. e storia della famiglia Corsini, Firenze 1858, pp. 35 s.; A. Sapori, La crisi delle compagnie mercantili dei Bardi e dei Peruzzi, Firenze 1921, p. 177; G. Brucker, Florentine Politics and Società, 1343-1378, Princeton, N. J., 1962, p. 27.