CORREGGIO (de Corigia, de Dentibus), Gherardo da
Nato probabilmente nei primi anni del secolo XIII, appartenne alla nobile famiglia dei Correggio, anche se ben poco si può dire dei legami che intercorsero fra lui e gli altri Correggio di cui ci parlano le carte e le cronache del tempo.
Fra i suoi immediati ascendenti sono forse da annoverare quel Giberto che nel 1197 fu presente a una controversia per confini in Campagnola dove da tempo si trovavano suoi possedimenti, quel Gherardo che nel 1170 fece una donazione ai SS. Quirino e Michele di Correggio, forse lo stesso che nel 1203 era podestà a Modena, e quell'altro Gherardo che nel 1141 acquistò il castello di Campagnola; quest'ultimo è all'origine anche dell'altro ramo dei Correggio, il cui massimo esponente fu Matteo di Alberto, podestà in varie città dell'Emilia tra la fine del XII e l'inizio del XIII secolo.
Anche se i possedimenti nel territorio reggiano e ancor più il continuo riferimento ai SS. Quirino e Michele di Correggio ci mostrano chiaramente che la famiglia aveva le sue radici nel contado, essa, ai tempi del C., era ormai radicata nel tessuto cittadino parmigiano e vi godeva una posizione di prestigio: diversi suoi membri avevano occupato sedi podestarili in varie città italiane. Una sorella del C., Admissa, andò sposa a Guidolino da Enzola, esponente di una delle più cospicue famiglie parmigiane, il quale occupa un posto di rilievo nella Cronica di Salimbene, non per i suoi meriti, ma per il favore che accordava ai frati minori. Il Tiraboschi. sull'incerto fondamento della cinquecentesca Historia de' Rossi di Vincenzo Carrari, gli attribuisce come moglie Adelasia di Sigifredo de' Rossi, morta nel 1275.
Il C. era più noto ai suoi contemporanei come Gherardo de' Denti; "qui dicebatur de Dentibus eo quod magnos dentes haberet" ci informa Salimbene, il quale, poi, ce lo descrive "alto di statura, di robusta corporatura, più magro che grasso, cavaliere forte ed esperto di guerra" (I, p. 140). Lo incontriamo per la prima volta nel corso del 1236 come podestà di Modena, alleata, assieme con altre città dell'area medio-padana tra cui Parma, sua patria, Cremona e Reggio, a Federico II impegnato nella lotta contro Milano, Bologna, Genova, Brescia e le loro collegate, sconfitte un anno più tardi a Cortenuova? ma non ancora dome nel 1238 quando il C. divenne podestà di Parma. Le cronache del tempo ci parlano di un altro podestà a Parma in quello stesso anno, un certo Gherardo Franceschi e l'Affò suppone che quest'ultimo abbia preso il posto del C. dopo una sua eventuale destituzione per cattiva amministrazione. Ad ogni modo nulla di tutto ciò nei documenti da lui riportati. Lo stesso Salimbene, in quell'anno a Parma presso il padre generale dell'Ordine dei frati minori - il celebre padre Elia allora impegnato in una difficile mediazione fra papa e imperatore -, nulla dice di queste vicende ipotizzate dall'Affò; anzi, contrariamente al suo solito e al suo temperamento, mostra una non piccola deferenza verso il C., il quale, a suo avviso, avrebbe dovuto essere maggiormente onorato dal padre generale dell'Ordine, accusato di "rusticitas" nei confronti del podestà di Parma. Probabilmente o i due podestà erano stati in carica sei mesi ciascuno, oppure ci troviamo di fronte alla nomina di due podestà cittadini per mantenere tra le varie fazioni quell'equilibrio che altre volte si pensava di garantire con podestà forestieri.
Ad ogni modo l'equilibrio così raggiunto fra le famiglie parmigiane si sarebbe ben presto rotto. Intanto il C. per il 1240 andò podestà nella vicina Reggio, dove, per il 1241, fu seguito nella stessa carica dal nipote Obizzo. Un cugino del C., Guido, già podestà di Mantova nel 1239, quando aveva contribuito alla pacificazione con Ferrara per facilitare la navigazione del Po, era stato rieletto nella stessa carica per il 1242.
Ma ormai per Federico II le cose in Lombardia non procedevano nel migliore dei modi. L'imperatore, forse a ragione, cominciava a dubitare anche dei suoi uomini più fidati. Fra questi vi era allora in Parma Bernardo di Rolando Rossi, il cui padre aveva ricoperto la carica di podestà di Pisa nel 1226, quando essa si era schierata dalla parte dell'Impero; lo stesso Bernardo, sempre fedele a Federico II, era stato podestà di Siena, Arezzo, Modena, Cremona, Mantova e Bergamo. A distogliere maggiormente dall'imperatore i favori di alcune potenti famiglie parmigiane contribuì, al di là delle motivazioni contingenti riferite dalle cronache del tempo, l'elezione papale di Innocenzo IV (1243), quel Sinibaldo Fieschi la cui sorella Maddalena era moglie di Bernardo Rossi e un'altra sorella era sposata con Guarino da Sanvitale. Ad ogni modo pare che il tradimento di Bernardo Rossi risalisse al 1238. Altri motivi di discordia non mancavano; ad esempio, alla cacciata di Salinguerra Torelli da Ferrara alcuni si schierarono dalla parte di costui; altri, tra i quali il C., si fecero alleati del marchese d'Este. Ben presto quindi si divisero e si contrapposero anche le famiglie più compatte al servizio dell'imperatore. I Correggio, con il C. in testa, cominciarono ad avvertire questo nuovo vento di fronda. La duplice podesteria del 1238 rispecchiava forse questa recente lacerazione del tessuto cittadino; esperimentò ben presto messo da parte con le nomine di podestà forestieri di sicura fede imperiale.
Le famiglie che, per un motivo o per l'altro, cominciavano a dissociarsi dalla politica di Federico II si resero conto che poteva essere pericoloso rimanere in città; non appena il nuovo papa dalla Francia ebbe scomunicato l'imperatore, il C., Bernardo Rossi, Bernardino da Cornazzano e altri si stabilirono nella vicina Piacenza. Questo cambiamento di parte ebbe un peso non indifferente nelle vicende che portarono alla caduta di Federico II. I fuorusciti si preparavano intanto a ritornare vittoriosi nella loro città. Mentre in Parma il controllo imperiale si faceva più duro - nel 1246 i membri della famiglia dei Sommi di Cremona, uno dei quali era stato podestà appena quattro anni prima, furono uccisi -, altri cittadini seguirono i fuorusciti; tra questi Gherardo Arcile, Iacopo da Beneceto e Giberto da Gente; secondo Salimbene più di duecento persone.
Mentre Bernardo di Rolando Rossi si trovava ancora a Milano per prendere accordi con il legato papale Gregorio da Montelongo, gli altri fuorusciti parmigiani si riunirono a Noceto, approfittarono del fatto che Federico II e re Enzo erano impegnati altrove e si diressero contro la loro città: il 16 giugno 1247 a Borghetto di Taro, vicino a Castelguelfo, si scontrarono con le milizie del podestà di Parma Arrigo Testa di Arezzo, il quale fu sconfitto e cadde in combattimento. Si aprirono così le porte di Parma ai vincitori che vi entrarono guidati da Ugo da Sanvitale, fratello del vescovo, nipote del papa e a suo tempo capitano del Popolo. Parma diventava così una roccaforte dei populares e della pars Ecclesiae. Il C., che aveva avuto una parte determinante, in questi avvenimenti, ne divenne per la seconda volta podestà (1247). A lui spettò il compito di preparare la difesa e di attendere il ritorno dell'imperatore e di suo figlio. Ma ormai Parma poteva contare sull'aiuto di papa Innocenzo IV, del suo legato in Lombardia Gregorio da Montelongo, di Milano, di Piacenza, del conte di San Bonifacio, del marchese d'Este e della città di Bologna; in una parola tutto lo schieramento antimperiale era pronto a sostenere la città.
Federico II con l'aiuto di Ezzelino da Romano e di Oberto Pelavicino non tardò a farsi vivo: eresse vicino a Parma la città augurale di Vittoria e si preparò all'assedio. Il nuovo podestà per guidare la resistenza contro Federico fu costretto a ricorrere a misure eccezionali ed a volte crudeli. Biancardo Biancardi, che non era riuscito a difendere il castello di Grandola, fu fatto decapitare. Il C. proibì ai familiari di raccogliere e seppellire i cadaveri dei loro cari che, fatti prigionieri da Federico II, venivano condotti e decapitati ogni giorno davanti alle mura come ammonimento. Quando la fame aveva già cominciato a farsi sentire, e il notaio del Comune fu ucciso da lacopo da Beneceto - uno dei fuorusciti rientrati alcune settimane prima - il C. giurò di sterminare la famiglia dell'assassino e riuscì a calmare i parenti dell'ucciso e il popolo che aveva già raso al suolo la casa dei Beneceto. Nulla si seppe di queste, difficoltà e di questi tumulti nella vicina Vittoria, la quale dopo un inutile assedio durato otto mesi fu distrutta da una sortita dei Parmigiani e dall'arrivo delle forze di Gregorio da Montelongo e di Azzo VII d'Este. La stessa corona imperiale, rimasta sul campo, fu collocata nella sagrestia della cattedrale come bottino di guerra.
I meriti del C. ottennero subito un giusto riconoscimento ed egli fu chiamato nel 1250 a reggere la sede podestarile di Genova, dove portò a termine laudabiliter il proprio mandato e l'anno seguente rimase al servizio della città "cum sua societate" nella lotta contro Savona, Albenga e i signori della Riviera che si erano ribellati durante la lotta contro l'imperatore.
Prima della fine del 1251 incontriamo di nuovo il C. impegnato in due delicate ambasciate allo scopo di far continuare con più incisività agli alleati della pars Ecclesiae la lotta in Lombardia contro Oberto Pelavicino. Dapprima, assieme con Ugolino Lupi, andò come ambasciatore del Comune di Parma al legato apostolico Ottaviano Ubaldini per farlo intervenire con i Bolognesi e i Modenesi in difesa di Rivergoro assalito dal Pelavicino. Successivamente venne inviato da Gregorio da Montelongo presso il cardinale Riccardo degli Anniboldi, presso i Comuni di Bologna e di Modena e presso i fuorusciti reggiani per affrettare le alleanze necessarie alla definitiva liquidazione dei fautori dell'Impero.
L'ultima notizia che abbiamo del C. risale al 23 marzo 1257 quando, alla presenza del nipote Obizzo e di Iacopo del fu Guido da Correggio, dettò il proprio testamento in favore dei figli Guido e Matteo e lasciò duecento lire imperiali alla figlia Beatrice, monaca nel convento di S. Tommaso di Reggio.
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