DANDOLO, Gherardo
Patrizio veneziano, nacque verso il 1393, da Giacomo, del ramo a Castello.
Alla ricca documentazione che ne accompagna l'attività di diplomatico, specialmente al seguito degli eserciti della Serenissima nelle guerre di Lombardia, tra 1438 e 1449, si contrappone la concorde reticenza dei biografi a fornirci indicazioni sui dati complessivi della sua vita, al punto che i diversi codici di genealogie, presenti nell'archivio e nelle biblioteche veneziane, ne ignorano persino l'esistenza.
Nulla sappiamo della madre; quanto al padre, dovette morire per tempo, poiché il D. fu presentato alla Balla d'oro, assieme al fratello Alvise, dal cavaliere Antonio Bembo, nell'ottobre 1411. Tre anni dopo sposò Nicolosa Lanfranchi di Benedetto, nobile originario di Rodi, dalla quale, nel novembre 1417, ebbe un figlio, Alvise. Temperamento forte e deciso, si dedicò interamente alla carriera politica. Erano quelli gli anni della grande espansione in Terraferma, dell'esaltante giornata di Maclodio, che pareva aver consegnato ai Veneziani le chiavi della Valpadana, ed era invece soltanto l'inizio di un logorante duello che per vent'anni avrebbe devastato le campagne tra Mincio e Adda. Il D. visse questi avvenimenti in prima persona: tra il settembre 1426 ed il 7 genn. 1427 fu governatore provvisorio di Brescia, allora occupata dalle truppe del Carmagnola; tornato a Venezia, fu capo dei Quaranta per il primo semestre del 1428.
Nel 1435 era provveditore a Castro San Giovanni, in Romagna, dove collaborò col Gattamelata al felice esito delle operazioni militari contro Francesco Sforza: un successo che gli venne pubblicamente riconosciuto qualche mese più tardi, nel febbraio del 1436, come testimonia la sua presenza alla cerimonia dell'investitura del feudo di Valmareno, accordato dalla Repubblica quale ricompensa ai capitani Erasmo da Narni e Brandolino da Bagnacavallo. La ripresa delle guerre in Lombardia lo vide tra i protagonisti del conflitto, i cui esordi non furono favorevoli alla Serenissima. Nel luglio del 1438, infatti, il marchese di Mantova, Gian Francesco Gonzaga, comandante in capo delle truppe venete, ma in procinto di schierarsi con Filippo Maria Visconti, consegnò a Nicolò Piccinino l'assediata Casalmaggiore, che era chiave della navigazione sul Po. Il controllo del fiume era di fondamentale importanza in una guerra che si combatteva nel quadrilatero compreso tra il Po, il Mincio, l'Adige, e il Garda, ma neppure l'imponente flotta di 256 imbarcazioni, prontamente inviata dalla Repubblica, riuscì a forzare il blocco e fu fermata a Sermide. Il D., che si trovava ad Orzinuovi in qualità di provveditore in campo, nel settembre riparò a Brescia, che venne stretta d'assedio dalla truppe viscontee. Il blocco - durissimo - ridusse la città alla fame, nonostante i molteplici tentativi posti in atto dai Veneziani per portare aiuto ai difensori e all'alleato Paride di Lodrone. Contro quest'ultimo, agli inizi del 1439, mosse da Riva di Trento Vitaliano Furlano; l'azione, però, venne conosciuta a Brescia, il cui capitano, l'energico Francesco Barbaro, organizzatore e animatore della resistenza, ordinò al D. di intervenire. "Incredibili quadam celeritate", costui lasciò Rovarotto e mosse contro Furlano con 600 fanti: lo scontro avvenne a Castel Romano, e fu favorevole ai Veneziani. Galvanizzato dal successo, qualche giorno dopo - il 23 genn. 1439 - riuscì a sorprendere alcuni reparti del Piccinino, sui quali riportò una nuova netta vittoria. Le operazioni si spostarono quindi sul Garda, nel quale il Gonzaga, attraverso il Mincio, aveva immesso una flottiglia che si era impadronita di Salò. Per recuperare il controllo del lago, bisognava eliminare i legni del Gonzaga: nel febbraio del 1439 il Gattamelata c il D. riuscivano nella spettacolare impresa di portare ottanta navi a Torbole, attraverso l'Adige e la valle di Sant'Andrea. La squadra veneziana, però, venne sconfitta e le truppe della Serenissima dovettero ripiegare sugli Euganei. A salvare la situazione giunse Francesco Sforza col suo esercito, e il 23 giugno a Caselle, tra Cologna e Montagnana, il D., commissario e provveditore in campo, assieme al collega Giovanni Pisani, poté dare ai comandanti l'ordine di muovere contro il nemico. Si ritornò a combattere sul Garda, con alterna fortuna: la posta era ancora Brescia. Fu proprio la tenace resistenza opposta dalla città alle armate viscontee a far assumere alle vicende della campagna un andamento favorevole ai Veneziani, poiché, nel febbraio del 1440, il D. finalmente riuscì da un lato a far pervenire gli attesi rifornimenti agli assediati, e dall'altro a rinforzare la flotta sul lago con due grosse galere, che consentirono a Stefano Contarini di sconfiggere i legni avversari. Fu una vittoria decisiva: tra il maggio e il giugno il D. poté assumere l'iniziativa militare, che lo portò a recuperare numerose fortezze e la riviera bresciana del Garda. Il D. trascorse quindi il resto dell'anno ed il successivo 1440 fra Rovereto e Verona, ad organizzare il dominio della Repubblica sui territori riconquistati, a ricompensare gli alleati più fedeli e potenti, i Gambara, i Martinengo, a insistere presso lo Sforza perché imprimesse maggior vigore alle operazioni militari. La campagna, tuttavia, volgeva al termine e ben presto fu stipulata la pace.
Deposto l'incarico di provveditore in campo, il 3 apr. 1442 il D. fu eletto capitano a Brescia - dove sarebbe rimasto sino a tutto l'anno seguente - e contemporaneamente assumeva anche la carica di provveditore a Bergamo, in sostituzione del podestà Antonio Venier. La duplice nomina gli assegnava, in sostanza, il controllo di quasi tutte le opere di difesa passiva della Lombardia di dominio veneto e le responsabilità delle Camere, cioè del fisco. Furono due anni di intensa attività, durante i quali il D. ispezionò a più riprese le fortificazioni, che rientravano nella sua giurisdizione e che conosceva bene, ne rafforzò i dispositivi, si assicurò della capacità e della fedeltà degli uomini che erano preposti a presidiarle. Alle misure di ordine tecnico-militare si accompagnarono, durante il suo governo, interventi di carattere amministrativo: gli anni 1442 e 1443, in particolar modo, furono scanditi da un susseguirsi di ducali che approvavano e confermavano esenzioni, concessioni, privilegi disposti dal provveditore in favore di singoli, di famiglie, di Comunità.
Al termine del mandato il D. fu tra la zonta del Senato nel 1444 e nel 1445; podestà a Verona nel 1446, ancora della zonta nel 1447 e dal 9 luglio al 31 dicembre di quest'ultimo anno fece parte del Consiglio dei dieci. A quella data, però, egli aveva già lasciato Venezia e si trovava in Lombardia, dove era in atto l'estremo confronto con il Visconti: provveditore in campo, partecipò alla battaglia di Casalmaggiore, dove l'esercito milanese rimase distrutto. Fu il momento di maggior trionfo per il D., che tuttavia non riuscì a sfruttare la vittoria, a causa dell'imminente stagione invernale. Pensò allora di assicurare Cremona alla Repubblica, per rendere più sicura la navigazione sul Po e ridimensionare la crescente potenza dello Sforza.
All'inizio del 1447 si abboccò con i capi del partito guelfo della città, "ut erat vir callido vafroque ingenio". L'operazione, secondo la testimonianza del Simonetta, si sviluppò tra il 4 ed il 6 marzo, allorché le truppe venete comparvero davanti alla porta di Ognissanti, in attesa di un segnale dei congiurati. Il tentativo, tuttavia, fu prevenuto dalla pronta azione del podestà Folchino Attendolo, che tolse ai congiurati ogni mezzo per prendere l'iniziativa. "Ita conspiratoribus patrandi facinoris animus defuit", e al D. non rimase che allontanarsi dalla città, quando lo Sforza si schierava ormai apertamente con il Visconti.
Tornato a Venezia, il D. fu eletto savio di Terraferma per il semestre luglio-dicembre 1447, ma non ebbe modo di esercitare la carica: il 13 agosto morì Filippo Maria provocando la riapertura delle ostilità. Due settimane dopo il D., nuovamente provveditore in campo, muoveva con l'esercito occupando Piacenza assieme al vecchio Taddeo d'Este. Dopo Piacenza conquistò Lodi. Furono successi effimeri. Qualche mese più tardi Francesco Sforza attaccò la città emiliana, che non riuscì a difendersi: le truppe del condottiero penetrarono attraverso l'unico ponte rimasto intatto, e neppure la "bombardula" postavi in fretta e furia dal D. valse a fermare gli aggressori (rivolto verso lo Sforza, il cannone riuscì soltanto ad ammazzarne il cavallo). Nella notte, il D. cercò di raggiungere le linee veneziane: grasso com'era "corporis onere gravior", non fece molta strada e venne catturato dai soldati del Piccinino. Costui però, anziché consegnarlo ai Milanesi, lo inviò a Venezia, dove fu subito eletto senatore del Consiglio dei dieci e, l'anno seguente, consigliere. Non riuscì tuttavia a portare a termine il mandato, perché fu creato podestà di Brescia - città in cui entrò il 19 giugno 1448 - e, come già alcuni anni prima, provveditore a Bergamo. Era ancora in corso la guerra, infatti, e nuovamente gli venne affidata gran parte del dispositivo militare veneziano in Lombardia. A completare la sua autorità si aggiunse, nel luglio, la nomina a provveditore in campo, in unione con Almorò Donà e al procuratore di S. Marco Federico Contarini (quest'ultimo morì poco dopo, in seguito al morso di un cane). Gli eserciti si fronteggiavano presso Caravaggio e lì i capi veneziani avevano deciso di attaccare. quando furono sorpresi dal nemico che travolse le loro truppe; così riferisce il cronista Cristoforo da Soldo: "...fu rotto e sfracassato lo campo de la Signoria in quello giorno quindese di settembrio in tal modo che mai più non ne fu veduta una rotta cossì granda, nè cossì aspera .... De quanti Capitani li era - che gli n'era più de sedese - tutti quanti furono svalisati .... Et non credere, o tu chi leze qua, che jo scrivi per fiorir lo ditto; ma, per Dio onnipotente, scrivo la veritade". Caddero in mano nemica anche i due provveditori: il D., che avrebbe potuto tentare la fuga, preferì restare accanto alle sue bandiere, forse per amor di patria (il giorno prima era stato ballottato procuratore di S. Marco), o forse perché era ancora afflitto da quella pinguedine che, in analoga circostanza, gli era stata fatale. Sulla responsabilità del disastro le fonti appaiono discordi: per il da Soldo, la decisione di dar battaglia fu dei provveditori; il Simonetta la attribuisce al Senato veneziano; il Sanuto all'Attendolo. La prigionia del D. fu di breve durata: un mese dopo la sua cattura lo Sforza si accordò con Venezia ed egli poté tornare ai suoi incarichi a Bergamo e Brescia, che seppe espletare con l'abituale energia e abilità. Nonostante la sconfitta subita, la sua carriera politica non subì comunque interruzioni: il 28 marzo 1451 rifiutò l'elezione al capitanato di Verona; cinque mesi dopo divenne savio di Terraferma e, nel settembre, provveditore sopra le Camere. L'assenza dai campi di battaglia doveva essere, però, soltanto temporanea: nel marzo del 1454 fu ancora una volta nominato provveditore presso il Piccinino, insieme col quale visse le ultime giornate di guerra, e le più spietate. Per tre giorni posero a sacco la Valsabbia, poi devastarono Lonato e Salò, "che saria uno stupore da scriver le robbarie e dishonestà li feceno". Conclusa la pace, il D. tornò a Venezia. Fu senatore e, alla fine di luglio, consigliere. Rieletto nel Senato e nel Consiglio dei dieci, l'anno successivo, il 21 genn. 1456, fu nominato duca di Candia. Giunse nell'isola nell'estate e dovette subito fronteggiare una terribile pestilenza che infierì a lungo, "per universa loca". Ritornato in patria, fu consigliere per la quarta volta nel 1459, "Oltre di che - afferma il Priuli - non resta altra memoria dei suoi honori".
Ignoti ci sono, per il silenzio delle fonti, il luogo e il giorno in cui il D. morì.
Gherardo Dandolo che fu podestà a Bergamo tra il 1462 ed il 1464, e governatore delle Entrate nel 1466, è con ogni probabilità altra persona che il D., dal momento che quest'ultimo, a partire dal 1445 è sempre indicato, nelle fonti, come "maior".
Fonti e Bibl.: Sulla vita del D.: Venezia, Bibl. d. Civ. Museo Correr, Cod. Cicogna 3781: G. Priuli, Pretiosi frutti…, I, c. 22rv; Ibid., Mss. P. D., c. 112: Notizie della famiglia Dandolo, cc. 29v, 145r, 148r e passim; Ibid., Cod. Cicogna 2151: Mem. ill. della famiglia Dandolo, p. 308; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 16 (= 8305): G. A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio veneto, II, c. 6r; Archivio di Stato di Venezia, Avogaria di Comun. Balla d'oro, reg. 162, c. 45v; reg. 163, c. 188r. Per la carriera politica: Archivio di Stato di Venezia, Segr. alle Voci. Misti, reg. 4, cc. 30r, 62v, 78v, 87v, 93r, 94r, 111r, 114r, 117r, 118r, 125v, 137v, 142v, 144r, 146r; reg. 14, cc. 4r, 9v, 81r, 97r; Ibid., Avogaria di Comun, reg. 25/8: Spiritus, cc. 62v-63v. In particolare, sull'attività di provveditore in campo negli anni 1447-48: Ibid., Senato. Delib. secreta, reg. 18, cc. 1rv, 23r, 24r, 25r, 27r, 28r, 33v, 61v; Ibid., Senato. Terra, reg. 2 passim; Venezia, Bibl. d. Civ. Museo Correr, Cod. Cicogna 3749: Cronaca Navagero, pp. 282-84; Ibid., Cod. Cicogna 3470/1: Ducali per Brescia; H. Noiret, Docum. inédits pour servir à l'hist. de la domin. vénitenne en Crète de 1380 à 1438, Paris 1892, pp. 455, 556; I libri commem. della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, Venezia 1896-1901, IV, pp. 196, 222 s., 235, 241-44, 246, 258 ss., 267 s., 270 s., 273, 275, 277, 279; V, pp. 14, 18, 22; P. C. Decembrii Opuscola historica, in Rer. Ital. Script., 2 ediz., XX, 1, a cura di A. Butti-F. Fossati-G. Petraglione, pp. 58 s., 688, 878, 883; J. Simonetae Rerum gestarum Francisci Sfortiae Mediolanensium ducis commentarium, ibid., XXI, 2, a cura di G. Soranzo, pp. 169, 173 s., 182, 202, 208-12, 214, 235, 240 s.; C. da Soldo, Cronaca, ibid., XXI, 3, a cura di G. Brizzolara, pp. 29, 43, 81, 84, 128; Diario ferrarese dall'anno 1409 sino al 1502 di autori incerti, ibid., XXIV, 7, a cura di G. Pardi, p. 31; E. Manelmi, Commentariolum de obsidione Brixiae anni 1438, Brixiae 1738, pp. 27, 35; F. Corner, Creta sacra…, II, Venetiis 1755, p. 390; F. Cognasso, Il ducato visconteo da Gian Galeazzo a Filippo Maria, in Storia di Milano, VI,Milano 1955, pp. 369, 375 s.; G. Soranzo, Battaglie sul Garda, sul Po, Mincio e Adige nella guerra veneto-viscontea del 1438-1441, in Nova hist., XIV (1962), 1-3, pp. 46, 53, 63, 66 s., 70; C. Pasero, Il dominio veneto fino all'incendio della Loggia (1426-1575), in Storia di Brescia, II, Brescia 1963, pp. 17, 50.