DELLA GHERARDESCA, Gherardo
Figlio del conte Gherardo (V) e della contessa Spetiosa, discendeva da Gherardo (III), il capostipite di uno dei quattro rami in cui si era divisa, intorno alla metà del sec. XI, la grande farniglia feudale toscana. Sesto del nome di Gherardo, nella sua stirpe, il D. fu attivo nella seconda metà del sec. XII.
Le prime notizie sui conti Della Gherardesca risalgono al settimo e ottavo decennio del sec. X, allorché il loro capostipite Gherardo e i suoi figli Rodolfa, Gherardo e Tedice, compaiono l'uno dopo I'altro come conti di Volterra e come detentori di un vasto patrimonio fondiario nella Toscana occidentale, nelle contee di Volterra, Lucca, Pisa e Populonia, dall'Arno, a settentrione, alle valli dei fiumi Merse e Cornia, a meridione. Il primosecolo di vita della famiglia fu caratterizzato dall'esercizio dell'ufficio comitale nella contea di Volterra, condizione che, costituendo l'elemento unificatore della casata, produsse un forte vincolo patrimoniale e familiare, vincolo rafforzato dalla fondazione dei monasteri familiari. di S. Maria di Serena presso Chiusdino in Valdi Merse nel 1004 e di S. Giustiniano, di Falesia presso Piombino nel 1022. Intorno alla metà del sec. XI i discendenti di Gherardo persero l'ufficio comitale: venuto meno l'elemento unificatore, la famiglia si suddivise in quattro rami che ebbero come loro capostipiti Ugo (I), Guido (I), Gherardo (III) e Tedice (II), tra i quali venne suddiviso l'ingente patrimonio ereditario. A quanto sembra, questa divisione patrimoniale fu compiuta non per quote reali di ogni singolo possesso, ma per lotti, nel senso che ad ogni ramo toccò per intero una serie di possessi in una determinata area geografica. In questo modo gli interessi economici e politici di ogni singolo ramo dei discendenti del conte Gherardo si concentrarono in un determinato ambito territoriale e si differenziarono sempre più da quelli degli altri rami, innescando un processo che portò nel giro di due o tre generazioni alla rottura del vincolo di unità familiare. Il primo ramo a distinguersi dal resto della casata fu già nel corso del sec. XI, quello dei discendenti di Tedice (II), che concentrarono i propri interessi nella Maremma populoniese e che furono designati nel sec. XIII come conti di Biserno. I discendenti di Guido (I), dopo aver perduto nella prima metà del sec. XII i castelli in Val d'Era, si ridussero ai possessi nella Val di Merse e assunsero alla fine del sec. XII il titolo di conti di Frosini e di Strido. Solo i discendenti di Ugo (I) e quelli di Gherardo (III) mantennero la nozione di appartenere alla medesima casata. Legatisi molto presto a Pisa e alla sua classe dirigente, poterono svolgere un importante ruolo politico in quella città a partire dalla seconda metà del sec. XII. Definiti dapprima (1178) conti di Settimo, assunsero dal 1213 il cognome Della Gherardesca. I discendenti di Ugo (I), dotati di estesi possessi nella Maremma pisana, diedero vita dalla fine del sec. XII ai tre rami dei conti di Castagneto, dei conti di Segalari e dei conti di Donoratico. I discendenti di Gherardo (III), che avevano possessi nel Valdamo pisano presso San Miniato e presso la stessa città di Pisa, fecero della valle inferiore della Cecina il centro del proprio potere e ne trassero, tra i secc. XII e XIII, i titoli di conti di Bolgheri e di Montescudaio con cui vengono indicati nelle fonti coeve. Appunto in quella zona avvenne nel 1091 l'ultima fondazione monastica della famiglia, il monastero benedettino femminile di S. Maria di Montescudaio, ad opera del padre del D., il conte Gherardo (V).
La prima menzione del D. a noi nota è indiretta ed è contenuta nel lodo che nel settembre 1133 fu pronunciato a Pisa in una vertenza tra il vescovo di Volterra, Crescenzio, e i discendenti del conte Guido (I). Cittadino pisano, il D., appare pienamente integrato nella classe dirigente della città toscana sì da svolgere un'importante attività politica, soprattutto come ambasciatore, per il Comune di Pisa, durante il periodo fridericiano. Il 18 ag. 1158 fu inviato, insieme con il console Pellario e con un certo numero di cavalieri, di genieri e di arcieri, in sostegno all'imperatore Federico I, allora impegnato nell'assedio di Milano. Il D. rientrò a Pisa con il suo corpo di spedizione il 26 settembre. Un mese dopo, il 27 ottobre, insieme con i consoli e con altri importanti cittadini, fu testimone in un atto dell'arcivescovo di Pisa, Villano, relativo alla corte arcivescovile di Scannello. Il 20 marzo 1160, domenica delle Palme, partecipò, con i consoli di Pisa e con l'arcivescovo Villano, alla Dieta convocata da Guelfo, duca di Spoleto e marchese di Toscana, nel borgo di San Genesio (presso l'attuale San Miniato), Dieta a cui convennero i consoli delle città toscane ed i rappresentanti delle maggiori famiglie feudali della regione per discutere la difficile situazione creatasi con la duplice elezione al soglio pontificio di Alessandro III e di Vittore IV, espresso, l'uno, dai cardinali favorevoli ull'alleanza con i Normanni, designato, l'.altro, dai fautori dell'imperatore Federico I. Allorché il Comune di Pisa si schierò con l'imperatore Federico I e con Vittore IV, il D., come persona legata alla classe dirigente cittadina, ne seguì la politica. Lo troviamo infatti, il 31 maggio i 162, a Montieri tra i pisani testimoni in un accordo tra il conte Ildebrandino Aldobrandeschi e il vescovo di Volterra, Galgano, tutti di parte imperiale, e pochi giorni dopo, l'8 giugno, a San Genesio, alla Dieta in cui il legato imperiale Rinaldo di Dassel riunì i consoli delle città toscane ed i rappresentanti delle maggiori famiglie feudali.
Negli otto anni successivi il D. sembra assente dalla scena politica, per riapparirvi quando, dopo il 1168, la situazione generale in Toscana si modificò e Pisa si trovò impegnata a fondo nella guerra contro Lucca e contro Firenze. Nel novembre 1170, infatti, il D. era tra i cavalieri che combatterono contro i Lucchesi all'assedio di Motrone, sulla costa presso Viareggio; e il 23 maggio 1172 fu presente alla stipulazione di un accordo tra le parti, dopo che Pisa e Firenze, accordatesi fra loro (1171), erano state poste al bando dell'Impero dall'arcivescovo di Magonza, Cristiano (28 marzo 1172). Il D. fu anzi, nell'occasione, nominato tra gli arbitri destinati ad appianare i contrasti sorgenti dall'applicazione dell'accordo.
Questa tregua ebbe però breve durata: il 4 agosto Cristiano fece imprigionare i rappresentanti pisani e fiorentini che trattavano con lui la pace a San Genesio. Naturalmente ciò riattizzò la guerra: tra l'altro, il 17 agosto, Cristiano prese e bruciò il castello di Vetrugnano, non lontano da San Miniato, che apparteneva al Della Gherardesca.
I Pisani si rivolsero allora direttamente all'imperatore: nella primavera-estate del 1173 inviarono presso Federico I un'ambasceria, di cui faceva parte anche il Della Gherardesca. Gli ambasciatori presentarono al sovrano la versione pisana sui contrasti con Cristiano e riuscirono a rappacificare la loro città con l'imperatore. Pochi mesi più tardi, il 10 genn. 1174, il D. era a Roma, membro di una ambasceria che stipulò un accordo commerciale con i consoli dei mercanti e dei marinai di quella città. Fu poi inviato, con altri importanti personaggi pisani, come ambasciatore presso l'imperatore Federico I per l'ultima volta nel luglio 1175, allorché si stavano ormai conducendo a termine le trattative per una pacificazione generale tra le città toscane. L'ultimo atto pubblico nel quale compare fra gli intervenuti, fu il diploma che Federico I rilasciò in Pisa, il 30 genn. 1178, ai canonici della cattedrale di quella città.
Oltre a quelli relativi alla sua rilevante attività pubblica, conosciamo alcuni documenti sui rapporti che il D. ebbe con enti ecclesiastici della città di Pisa e del contado e con il vescovado di Volterra. Il 6 luglio 1152, insieme con la moglie Adalasia del fu Grimaldo - probabilmente una nobildonna pisana - e con il fratello Ranieri, donò alcuni beni al monastero benedettino femminile di S. Maria di Montescudaio, che era stato fondato dal padre Gherardo (V) e che era perciò sottoposto al patronato della sua famiglia. Le medesime persone compirono, il 10 giugno 1154 e il 25 luglio 1159, due donazioni in favore dell'ospedale di Linaglia, presso Montescudaio. Sappiamo inoltre che il 2 giugno 1154 essi donarono a Galgano, vescovo di Volterra, quanto in Guardistallo avevano acquistato da alcuni conti Pannocchieschi; che il 24 nov. 1156 il D., malato, dettò una disposizione testamentaria a favore dell'ospedale pisano di S. Andrea di Casainvilia, e che vent'anni più tardi, il 10 dic. 1176, insieme con il fratello, fece una donazione in favore del monastero di S. Felice di Vada. Nell'autunno 1178 il conte Ugolino (III) di Castagneto rilasciò per conto del D. alcune terre all'ospedale di Stagno presso Livorno. Nel giugno 1179, il D. era uno degli esecutori testamentari di Villano del fu Guido dell'importante famiglia consolare pisana dei Ricucchi.
E, questa, l'ultima notizia relativa al D. che ci sia nota e dalla quale egli risulti ancora vivente.
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