GHERARDI, Gherardo
Nacque a Capanne di Granaglione, un piccolo paese dell'Appennino tosco-emiliano, in provincia di Bologna, il 2 luglio 1891 da Lodovico e da Augusta de' Maria.
Presto si trasferì con la famiglia a Bologna, dove il padre era stato assunto come redattore del giornale cattolico L'Avvenire d'Italia. In questo stesso giornale il G. entrò come stenografo passando presto alla redazione; nel 1917 divenne capocronista e dal 1918 si occupò di critica teatrale. Lasciato L'Avvenire d'Italia, ebbe brevi collaborazioni con il quotidiano cattolico L'Italia di Milano e con il Messaggero toscano di Pisa. Nel 1922 tornò a Bologna dove, fino al 1935, lavorò a Il Resto del carlino dapprima come capocronista, poi come redattore, dal 1924 critico teatrale e dal 1926 redattore capo. Nel 1935, mentre si faceva sempre più oppressivo il clima che il regime imponeva nelle redazioni - la testata era passata nel 1934 al Partito nazionale fascista (PNF) - il G. lasciò il giornale e il giornalismo trasferendosi a Roma, dove alternò l'attività di drammaturgo con quella di sceneggiatore cinematografico.
In effetti, il G., parallelamente all'attività giornalistica, aveva sempre coltivato la sua passione per il teatro. Già nel 1921, con lo pseudonimo di M.G. Gysterton, aveva fatto allestire da una filodrammatica bolognese due sue commedie, L'ombra e Il naufrago. Nel 1922, aveva fondato, con L. Ruggi, presso il teatro Comunale di Bologna, un teatro sperimentale che, fino al 1929, svolse una proficua e intelligente azione nel campo della prosa, promuovendo opere di giovani autori o novità di autori affermati, prima che entrassero nel normale circuito dei teatri italiani.
A questa prima fase si legano le sue esperienze di teatro dialettale: dopo la commedia in veneto 9, 31, 37 per tute le estrazion, in collaborazione con A. Frescura, rappresentata nel 1922 dalla compagnia di G. Giachetti proprio allo Sperimentale, il G. si dedicò alla composizione di una serie di commedie in bolognese che rimangono, accanto a quelle di A. Testoni, tra le prove più interessanti di questo repertorio.
La più nota è Spanezz, del 1927 (Bologna, teatro del Corso, compagnia Gandolfi; poi, nella versione in veneto del 1929 con il titolo Godi, o popolo, Torino, teatro Carignano, compagnia Giachetti), ma si ricordano anche Gran cinema del 1928 (Bologna, teatro del Corso, compagnia Gandolfi; poi, nel 1930, in veneto, Milano, teatro Eden, compagnia Baseggio) e La mosca mora, del 1930, con musiche di E. Masetti (Bologna, teatro del Corso, compagnia Gandolfi).
Per quanto riguarda la più significativa produzione in lingua, aveva ottenuto il primo vero successo nel 1923 con il dramma ideologico Vertigine (Torino, teatro Carignano, compagnia Chiantoni).
Quest'opera sollevò molte discussioni e avvicinò il nome del G. a quello del drammaturgo francese F. de Curel, in quanto, come nelle opere dell'autore francese, veniva affrontata, nel clima inquieto del primo dopoguerra, una problematica sociale di grande respiro, e cioè il tema del complesso rapporto tra il progresso scientifico, che aveva contribuito alla creazione di nuovi mezzi di distruzione, e l'imperativo etico e religioso.
Del 1925 è il dramma di stampo verghiano Il focolare (Bologna, teatro Comunale, compagnia Zacconi, in seguito ripreso da altre importanti compagnie), in cui il G. tornava a moduli drammaturgici più tradizionali con una vicenda legata a quel mondo contadino da cui con orgoglio dichiarava di discendere. Ormai autore di successo, il G. si provò in opere di più decisa sperimentazione di cui è un esempio Don Chisciotte, del 1926 (Trieste, teatro Rossetti, compagnia Silvani).
In questo lavoro il G. abbandona il clima realistico per un'atmosfera fantastica, tentando di dare forma scenica al romanzo di M. de Cervantes e insieme una personale interpretazione del personaggio del celebre hidalgo.
Sin dal 1927 l'attività teatrale del G. si era andata intensificando, limitando tuttavia le sue ambizioni, con una serie pressoché ininterrotta di lavori che se sfiorano generi diversi, dalla commedia sentimentale al grottesco, alla fiaba tragicomica toccando tutte le corde dal patetico al comico, nella sostanza non si discostano però dai canoni fondamentali del teatro borghese di intrattenimento.
Del 1927 sono le commedie: Tragedia contro luce (Cesena, teatro Comunale, compagnia Silvani) caricaturale ritratto di un commerciante arricchito; Il burattino (Trieste, teatro Verdi, compagnia Mari) che, nei modi del teatro grottesco, affronta il problematico rapporto tra razionalità e istinto; L'ippogrifo (anche con il titolo di La principessa tua madre, Brescia, teatro Sociale, compagnia Sperani) dove, nella storia di un giovane alla disperata ricerca della madre perduta e idealizzata, si riaffermano i diritti della fantasia e della illusione sulla desolante realtà della vita. Del 1931 è Ombre cinesi (Torino, teatro Carignano, compagnia Borboni-Lupi, rappresentata nel 1932 anche in Argentina e Spagna), in cui si esplora, con sottile ironia, il rapporto che lega in un gioco fittizio il classico triangolo moglie, marito e amante.
Dopo Viaggiare in incognito e Truccature, entrambe del 1933, nel 1934 fu la volta di Questi ragazzi (Roma, teatro Quirino, compagnia Rissone-Tofano-De Sica, successivamente rappresentata anche a Bucarest, Lubiana, Vienna, Berlino e Buenos Aires), la sua commedia di maggior successo, in cui il G. mette a confronto due generazioni alle prese con i relativi problemi sentimentali.
Dal 1935 al 1942 andarono in scena dieci lavori del G.: I figli del marchese Lucera; L'Arcidiavolo ovvero La crociera del "Pacific"; Partire; Passabò, vita perduta; Le stelle ridono; Autunno; Lettere d'amore; Cappuccetto rosso; Oro puro; Fuga dal castello in aria.
Tra quelli che ebbero più successo: I figli del marchese Lucera del 1935 (Roma, teatro Argentina, compagnia Rissone-Tofano-De Sica, successivamente rappresentata a Berlino, Vienna, Monaco) in cui, prendendo spunto da un fatto di cronaca, si investiga sul tema della paternità e sulle dinamiche dei rapporti familiari. Dello stesso anno è L'arcidiavolo ovvero La crociera del "Pacific" (Milano, teatro Manzoni, compagnia Ruggeri). Seguì, nel 1936, Passabò, vita perduta (Ferrara, teatro Verdi, compagnia Ruggeri, messa in scena anche ad Amburgo, Berlino, Brema, Buenos Aires), la storia di un uomo grigio e spento, le cui doti intellettuali sono ignorate da tutti a causa di un carattere introverso e di una umiliante balbuzie. Molto simili sul piano dei contenuti e dello stile le successive: Autunno, del 1939 (Perugia, compagnia Cimara-Cellini-Pavese), in cui il protagonista, giunto al culmine della propria carriera professionale, ormai ingrigito e chiuso in una solitudine ombrosa e sprezzante, ritrova nella paternità gli entusiasmi e la delicatezza di sentimenti da tempo sopiti; e Lettere d'amore sempre del 1939 (Milano, teatro Odeon, compagnia del teatro Eliseo, poi anche Berlino e Bruxelles): un uomo celebre e acclamato ricompone, attraverso la lettura di vecchie lettere d'amore, idealità, illusioni e sogni della sua giovinezza infranti dai compromessi con cui ha pagato il successo.
Con il dramma di ispirazione pirandelliana Fuga dal castello in aria, rappresentato nel 1942 (Milano, teatro Olimpia, compagnia Maltagliati-Cimara) il G., seriamente provato dall'esperienza della guerra, chiuse la sua stagione più feconda, anche se colse un ultimo successo nel 1945 con Non fare come me (Roma, teatro Eliseo, compagnia Ruggeri), comunque segnata da una vena di angoscia e smarrimento. Postumo, nel 1952, venne rappresentato al teatro delle Arti di Roma il dramma Un tale che passa, scritto nel 1947, rifacimento del suo vecchio lavoro Viaggiare in incognito.
La carriera teatrale del G., tra il 1935 e il 1947, si era alternata e intrecciata con quella di sceneggiatore cinematografico.
In poco più di un decennio lavorò con alcuni dei registi e degli sceneggiatori più importanti del cinema italiano, per lo più per film destinati al grande pubblico ma anche per alcuni di maggiore interesse culturale tra cui si ricordano in particolare: La contessa di Parma (1937) di A. Blasetti, Teresa Venerdì (1941), I bambini ci guardano (1943) e Ladri di biciclette (1948), tutti diretti da V. De Sica. Alcuni film furono poi tratti dalle sue opere teatrali, di cui il più noto è Questi ragazzi, del 1937, diretto da M. Mattoli. Nel 1943 per la prima e unica volta il G. si sperimentò come regista dirigendo con A. Rossi Il nostro prossimo, tratto dalla commedia omonima di A. Testoni.
Nel 1948 vinse il primo premio al Concorso radiofonico Linetti con Il nostro viaggio, un dramma di guerra psicologico, imperniato sulla figura di una madre, piegata dal dolore per la perdita del figlio, rappresentato nel 1949 dalla compagnia Giachetti-Starace-Sainati al teatro Mercadante di Napoli.
Il G. si era provato anche nella narrativa pubblicando: I passeggeri di Caronte (Bologna 1920), un volume di novelle; Né mosche né zanzare: confessioni di un uomo di provincia (ibid. 1922) e Cartoni animati (Faenza 1932).
Il G. morì a Roma il 10 marzo 1949.
Fonti e Bibl.: Necr. in Corriere della sera, 11 marzo 1949; Chi è?, Roma 1936, pp. 425 s.; G. Pacuvio, Introduzione a G. Gherardi, Sei commedie, a cura di S. D'Amico - G. Pacuvio, Rocca San Casciano 1953; Diz. generale degli autori italiani contemporanei, I, a cura di E. Ronconi, Firenze 1974, p. 588; Diz. della letteratura italiana del Novecento, Torino 1992, pp. 253 s.; R. Poppi, Diz. del cinema italiano. I registi dal 1930 ai giorni nostri, Roma 1993, pp. 121 s.; Enc. dello spettacolo, II, col. 732; V, coll. 1189 ss.