GHERIAT el-GHARBIA
Località del predeserto tripolitano a circa 340 km da Tripoli, ove sorse uno dei tre grandi forti che costituirono, da Settimio Severo in poi, la protezione più meridionale fin oggi nota del limes Tripolitanus.
Tali forti - Ghadames, Gh. el-Gh., Bu-Ngem - erano sistemati nei pressi di oasi che costituivano tappa obbligata sulle grandi carovaniere fra il Fezzan e la costa.
Un'iscrizione "ufficiale" scoperta nel 1965 poco fuori l'angolo meridionale della cinta del forte ci assicura che anche Gh. el-Gh. è da attribuire all'opera dello stesso Settimio Severo e non dei suoi successori, come s'era spesso supposto sulla base della IRT, 895, proveniente dalle vicinanze di Gh. el-Gh. e che ricorda l'erezione di un burgus in età di Alessandro Severo. In realtà il forte di Gh. el-Gh. fu costruito da una vexillatio della III legio Augusta fra il 198 ed il 201 e rientra in quella colossale opera di difesa dell'Africa romana unitariamente progettata, ed in gran parte anche attuata, da Settimio Severo.
Alla luce delle scoperte più recenti le tre grandi fortezze sahariane di Tripolitania appaiono posti avanzati in pieno territorio non sottomesso e neppure velleitarie affermazioni di prestigio dell'Impero Romano, ma come i cardini di un sistema di difesa che sfruttava con oculatezza la configurazione geomorfologica dei luoghi e che era volto a proteggere da S, soprattutto, ma anche da E e da O, l'area intensamente coltivata dei grandi uidian (Sofeggin, Zemzem, Bei el-Chebir).
Questo sistema fu poi rinforzato e completato dalla graduale trasformazione in limitanei dei componenti le tribù di agricoltori dei grandi uidian, i cui interessi coincidevano esattamente con quelli dell'impero ed i quali già possedevano le terre limitanee entro i confini raggiunti dalle armi romane.
Lo scioglimento della legio III Augusta nel 238 non significò l'abbandono del forte nel quale è certo che, come a Bu-Ngem, la legione ritornò, verosimilmente nel 253. Non abbiamo finora testimonianze certe della permanenza di truppe legionarie nelle grandi fortezze sahariane del limes Tripolitanus ancora nel IV sec. d. C. od oltre; ma l'opinione del Courtois che Diocleziano avrebbe evacuato tutto il retroterra tripolitano è contraddetta da numerosi elementi.
Il forte di Gh. el-Gh. sorse ai margini nordorientali del grande pianoro roccioso della Hamada el-Hamra, cardine naturale del sistema di difesa severiano, su un rilievo non molto alto ma piuttosto scosceso e facilmente difendibile che sovrasta da oriente una ricca oasi. Il forte si presenta come un rettangolo ad angoli arrotondati e per dimensioni (approssimativamente: m 183 × 132) risulta il più grande delle fortezze del limes Tripolitanus. La cinta muraria si segue lungo tutto il perimetro, ma solo in pochi punti (a N, ad esempio) si conserva per un'altezza ragguardevole; lo spessore raggiungeva i m 2,50. La parte inferiore della cortina muraria è fatta di pietre di notevoli dimensioni, quella superiore di pietre più piccole e fra le due parti correva una cornice.
Delle quattro porte del campo quella di SO non si riconosce sul terreno; quelle di NO e di SE erano ad un solo fornice ma restano inglobate nelle costruzioni del villaggio berbero che, sia pur quasi completamente abbandonato, occupa ancor oggi tutta l'area del campo; quella di NE si conserva, invece, libera e per buona parte del suo elevato. Era questa la porta più importante del forte, la pretoriana, ed è costruita in magnifici blocchi squadrati, messi in opera assai accuratamente. Era a tre passaggi voltati e di essi il mediano, incorniciato da modanature concentriche, era largo il doppio dei passaggi laterali; sulla chiave dell'arco appare, dentro una corona d'alloro scolpita, un'iscrizione che resta ancora da interpretare con sicurezza (pro/afr/ill).
Nel blocco al di sopra della chiave dell'arco del fornice minore orientale di questa stessa porta restano gli avanzi di un rilievo stilisticamente non dissimile da quelli che decorano parecchi dei mausolei del predeserto. In basso, a destra, si distingue chiaramente un altare con fuoco alto, ma avanti ad esso una larga scalpellatura ha reso illeggibile la scena; in alto restano due Vittorie volanti rese nell'atto di incoronare due aquile le quali si fronteggiano al di qua e al di là di una grande corona con bende. Non si è forse lontani dal vero intendendo le due aquile come ipostasi di Settimio Severo e Caracalla, imperatores invicti e fondatori della fortezza, in onore dei quali alcuni personaggi sacrificavano.
Questa porta pretoriana, a differenza delle altre dello stesso campo che erano fiancheggiate da torri rettangolari, era inquadrata da torri a cinque facce, giacché la fronte di esse era divisa in due segmenti, di cui quello verso la porta squincio. Le torri appaiono costruite di grandi blocchi in filari irregolari a paramento esterno ed interno di un riempimento che nella parte più alta, appare rivestito, invece, di piccole pietre quadrangolari. Finestre si aprivano, in alto, nei due segmenti della fronte delle torri e forse anche sul lato cui si attaccava il muro di cinta. Quest'ultimo, come s'è detto, era arrotondato agli angoli, e questi erano rinforzati da torri interne, come mostra la presenza di una finestra nella parte alta dell'angolo N.
Fino al 1964 si ignorava tutto delle necropoli del campo, ma in quell'anno nel cercare pietre per la costruzione di una piccola moschea, si sono rinvenute alcune decine di iscrizioni e frammenti architettonici attribuibili a tombe, nelle fondazioni semisepolte di case, forse berbere, che occupavano un rilievo basso e lungo a S-SO dell'altura del forte e distante da quello un trecento metri.
È verosimile quindi che almeno una parte di una delle necropoli del forte fosse situata nelle vicinanze o proprio sul basso rilievo su cui si insediarono poi le abitazioni che ne riutilizzarono gli elementi.
Dei tredici cippi iscritti recuperati (spesso semplici parallelepipedi rettangolari o quadrangolari, ma a volte con timpano ad arco e a guglia, ed in due casi del tipo a cupola) tre ricordano milites della III legio, gli altri riguardano giovani o donne e tutti si datano bene fra il primo decennio del III e la fine dello stesso secolo e l'inizio del IV.
La lingua adoperata è la latina ma, in qualche caso, con evidenti scorrettezze ed influenze indigene. In due cippi, infine, compariva il busto-ritratto del defunto.
Bibl.: Una breve ma puntuale descrizione in D. E. L. Haynes, The Antiquities of Tirpolitania, 3, Tripoli 1965, pp. 141-142; R. G. Goodchild, Oasis Forts of Legio III Augusta on the Routes to the Fezzan, in Ann. Brit. Sc. Rome, XXII, 1954, pp. 56-68; A. Di Vita, Il limes romano di Tripolitania nella sua concretezza archeologica e nella sua realtà storica, in Libya antiqua, I, 1964, pp. 65-98 (ivi bibliografia essenziale sui problemi del limes d'Africa); R. Rebuffat, (J; Deneauve-G. Hallier), Bu Njem, in Libya antiqua, III-IV, 1966-67, specie pp. 93-95. Per le scoperte epigrafiche più recenti: A. Di Vita, in Supplements to Libya antiqua, II, 1966, pp. 94-111. Per le iscrizioni precedentemente note: J. M. Reynolds-J. B. Ward Perkins, The Inscriptions of Roman Tripolitania, Londra-Roma 1952, nn. 895-897.