GHIACCIAIO (fr. glacier; sp. ventisquero; ted. Gletscher; ingl. glacier)
È noto che la temperatura media dell'aria, nella parte inferiore dell'atmosfera, diminuisce col crescere dell'altezza in media all'incirca di ½ grado per ogni cento metri di altezza. Con l'allontanarsi dal livello del mare, aumenta, di conseguenza, l'importanza delle precipitazioni sotto forma di neve; diviene cioè sempre maggiore la quantità d'acqua caduta in forma solida rispetto a quella in forma normale di pioggia. Inoltre diminuisce la quantità totale di neve che può sciogliersi durante un'annata, e quindi a partire da una certa altezza la neve caduta non giunge interamente a liquefarsi durante l'anno. Quest'altezza è detta limite delle nevi persistenti o semplicemente linea delle nevi. La neve che si accumula al disopra del limite non vi rimane in permanenza, ma tende a muoversi verso il basso, trasformandosi in ghiaccio, e discendendo in zone al disotto del limite, dove potrà fondersi. Si formano così masse di ghiaccio, dotate di movimento: i ghiacciai.
Lo studio scientifico dei ghiacciai (glaciologia) si è iniziato in tempi relativamente recenti; infatti, se pure descrizioni di ghiacciai non mancavano del tutto sin dal sec. XVI, è solo col De Saussure, sul finire del sec. XVIII, che s'iniziano le prime vere ricerche sui ghiacciai alpini. Nei primi decennî del sec. XIX si fece strada (Venetz, Charpentier) l'idea che i ghiacciai abbiano avuto in un periodo geologico passato uno sviluppo molto maggiore dell'attuale, sì da lasciare tracce in regioni molto estese; ciò contribuì grandemente a stimolare lo studio dei ghiacciai attuali. Si segnalarono nella prima metà del secolo scorso F.J. Hugi, J.D. Forbes e L. Agassiz, che studiarono i ghiacciai svizzeri; specialmente all'ultimo si deve la raccolta di una gran massa di dati. Contemporaneamente ebbero inizio anche studî più teorici, specialmente sulle proprietà fisiche del ghiaccio (J. Tyndall, J. Thomson). E così nel 1864 il Dollfuss-Ausset poteva già pubblicare una raccolta ricchissima di dati intorno ai ghiacciai, annoverando più migliaia di scritti intorno a questo argomento. Tuttavia le osservazioni provenivano principalmente dalle Alpi Occidentali o dalla Svizzera, mentre nelle Alpi Orientali ebbero inizio più tardi (Finsterwalder, Richter). Le basi sicure della glaciologia erano però ormai gettate e nel 1885 A. Heim ne pubblicava il primo trattato. Le ricerche sui ghiacciai alpini continuarono attivamente, ma caratteristica dei tempi successivi è l'estensione del campo di ricerche a tutta la Terra; così le conoscenze, importantissime anche dal punto di vista della glaciologia generale, sui grandi ghiacciai delle regioni polari e delle catene asiatiche e americane sono opera quasi esclusiva del nostro secolo. E opera del nostro secolo è anche la coordinazione d'indagini sistematiche fatte anno per anno sul comportamento dei ghiacciai delle Alpi e di altre catene europee per collaborazione internazionale. Una rivista a carattere internazionale, la Zeitschrift für Gletscherkunde, fondata nel 1906, raccoglie i risultati essenziali degli studî glaciologici.
Generalità. - Il fatto che il ricoprimento nevoso possa persistere da un anno all'altro, in un certo punto, non è soltanto legato alle condizioni climatiche generali della regione e all'altezza; per ogni singolo punto vi sono cause locali che possono fortemente influire sulla conservazione della neve. Queste cause risiedono specialmente nelle condizioni topografiche, per le quali può determinarsi un accumulo di neve molto superiore o affatto inferiore a quello rispondente alle normali condizioni climatiche; al piede di una parete ripida si verifica il primo caso, sulla parete stessa il secondo, come è facilmente comprensibile. Inoltre, se il terreno ha esposizione settentrionale la fusione annua della neve sarà molto diminuita, avendosi minor durata e intensità d'insolazione, e sarà invece un poco aumentata quando l'esposizione è meridionale. Anche il vento, accumulando in alcuni punti la neve che ha in altri spazzato via, contribuisce a creare forti differenze nello spessore del ricoprimento nevoso. Ne risulta che il reale limite delle nevi, detto anche orografico, presenta irregolarità molto grandi per punti anche vicini, e in generale è molto più basso sul versante settentrionale di una montagna che non sull'opposto. È quindi molto utile, qualora si vogliano fare dei confronti, riferirsi invece al limite climatico, quale risulterebbe facendo astrazione dalle condizioni locali. Esso può definirsi come l'altezza alla quale una data quantità di neve caduta liberamente su una superficie piana orizzontale, non riparata, può essere interamente fusa, mentre non potrebbe esserlo una quantità maggiore.
Da quanto è noto finora il limite climatico è già al livello del mare soltanto nell'Antartide; nelle regioni polari artiche è invece elevato almeno di un centinaio di metri su quel livello. La latitudine ha la maggiore influenza nel determinare l'altezza del limite climatico delle nevi, che è però fortemente influenzata anche dalla quantità di precipitazioni, deprimendosi costantemente là dove le precipitazioni sono maggiori. Essenzialmente a quest'ultima ragione è dovuta la forte differenza tra il versante meridionale dell'Himālaya, e le catene più interne: passando dal Kashmir al Karakorum il limite si eleva da 4300 a 5500-6000 m. Quest'ultimo valore è anzi il massimo che si riscontra sull'intera Terra.
Il fatto che esistano monti elevantisi al disopra del limite delle nevi non è senz'altro sufficiente alla formazione di un ghiacciaio; cosi quando si tratti di singole cime, come è il caso ad esempio dei vulcani. È necessario che vi siano superficie pianeggianti o, meglio, conformate a bacino, nelle quali possa raccogliersi la neve. Nelle Alpi, in genere in tutte le alte catene fortemente incise, queste forme cave sono molto frequenti, nella zona elevata; esse costituiscono il bacino di raccolta del ghiacciaio. Da esso il ghiaccio può discendere in forma di colata (lingua, la cui terminazione si dice fronte) incanalandosi per una valle; più lingue possono riunirsi tra loro (ghiacciaio composto). Se invece le zone elevate hanno aspetto di altipiani, circondati da solchi vallivi, esse si coprono di un mantello uniforme di neve o di ghiaccio, dal quale si staccano più lingue discendenti nelle prossime valli. Questo secondo caso è frequente nella Norvegia (dove il campo di raccolta è detto fjeld) e si parla perciò di un tipo norvegese, mentre nel primo caso si ha il tipo alpino. A latitudini abbastanza elevate i ghiacciai discendenti dalle montagne si riuniscono talora al piede di queste formando una massa ghiacciata molto più larga che lunga (ghiacciaio pedemontano): ne è tipico esempio il ghiacciaio Malaspina nell'Alasca.
Nelle regioni polari ogni massa continentale o insulare è ricoperta da un unico e potente mantello di ghiaccio, essendo poco elevato il limite delle nevi, se non si trova addirittura al livello del mare. Soltanto ai margini può avvenire un frazionamento in tante lingue che scendono direttamente al mare. Queste enormi masse ghiacciate prendono il nome di ghiacciai continentali o inlandsis; ne sono ricoperte la Groenlandia e molte isole minori artiche. Anche l'Antartide è tutta ricoperta da un immenso ghiacciaio continentale: dai suoi margini, come dalle singole lingue discendenti dagl'inlandsis delle terre artiche, si staccano i grossi blocchi di ghiaccio galleggianti noti col nome di ice-bergs (v.). In un passato geologicamente assai recente (epoca glaciale) i ghiacciai ebbero un'estensione di gran lunga maggiore dell'odierna. Allora, nel versante settentrionale delle Alpi si avevano anche ghiacciai pedemontani, e un grande ghiacciaio continentale ricopriva l'Europa nordica.
I ghiacciai di tipo alpino offrono grande varietà di aspetti: i maggiori hanno una lingua ben sviluppata, contenuta in un solco vallivo, e sono detti perciò ghiacciai vallivi o di primo ordine. Nelle Alpi possono servire da esempio il Ghiacciaio di Aletsch (Alpi Bernesi), il Ghiacciaio Mer de Glace e il Ghiacciaio del Miage (M. Bianco), ecc. Gli altri, minori, detti ghiacciai di 2° ordine, e anche vedrette, non escono dalle forme cave della zona più elevata o si adagiano sopra superficie ondulate o uniformemente inclinate. Si distinguono così dei ghiacciai di circo (frequentissimi in tutte le Alpi), di vallone (es. i ghiacciai del Fresnay e del Brouillard nel gruppo del M. Bianco) di canalone, di altipiano (Ghiacciaio del Rutor nelle Alpi Occidentali, della Marmolada nelle Dolomiti), di pendio, oltre a qualche tipo più particolare.
Quando un ghiacciaio incontri una parete troppo ripida, si rompe, e i frammenti di ghiaccio al piede della parete possono ricostituire un ghiacciaio rigenerato. Le dimensioni dei ghiacciai sono variabilissime, anche se si escludano gli enormi ghiacciai delle regioni polari. Il Ghiacciaio Malaspina (Alasca) raggiunge quasi 4000 kmq., lo Jostedals brä in Norvegia i 940 kmq., e di poco inferiore è forse l'area del Siacen nel Karakorum: la lunghezza di quest'ultimo è di 75 km. Ma si hanno anche ghiacciai di pochi ettari di superficie e di qualche centinaio di metri di lunghezza. È difficile distinguere le minori masse di neve, e in parte di ghiaccio, persistenti, indicate come nevai, dai ghiacciai veri e propri, essendovi naturalmente un passaggio graduale; la distinzione non risiede del resto tanto nelle dimensioni, quanto nei caratteri fisici, per i quali si hanno pure passaggi. L'inclinazione della superficie è in generale minore nei grandi ghiacciai (2°-5° nelle lingue dei massimi ghiacciai asiatici); nei piccoli può raggiungere anche i 40°. Lo spessore dei ghiacciai vallivi delle Alpi ammonta a 2-300 metri nelle parti superiori della lingua (verso il basso diminuisce); i ghiacciai continentali possono senza dubbio superare i 1000 metri.
Alimento e ablazione. - La parte del ghiacciaio posta al di sopra del limite delle nevi costituisce la sua regione di alimento o bacino collettore cadendovi nel complesso una quantità maggiore di neve di quanta possa esserne disciolta. Non si ha tuttavia un accumularsi continuo della neve perché essa si muove verso il basso, mantenendosi un certo equilibrio, finché non intervengano variazioni climatiche. Nel bacino di alimentazione non si trova ghiaccio, alla superficie almeno, ma neve, che tende a farsi verso il basso sempre più granulosa (nevato), per divenire infine ghiaccio di struttura caratteristica. Al di sotto della linea delle nevi (coincidente con la posizione più alta assunta nell'annata dal limite inferiore del nevato, si ha la regione di ablazione, cioè di consumo, intendendosi per ablazione lo scioglimento del ghiaccio. Naturalmente il ghiacciaio scomparirebbe se non vi fosse un continuo apporto della regione di alimento verso il basso; si può quindi parlare di un bilancio del ghiacciaio. Ablazione e alimento si fanno equilibrio lungo la linea delle nevi: il rapporto tra le aree delle due regioni varia a seconda delle caratteristiche climatiche; per i ghiacciai alpini generalmente si ritiene che le due aree siano non molto diverse, e, se mai, più estesa la regione di alimento.
L'alimento del ghiacciaio non è dato soltanto dalla neve che cade direttamente sulla sua superficie, ma anche da quella che precipita giù, in forma di valanghe, dalle pareti circondanti il bacino di raccolta, o vi è portata dal vento. Vi sono anzi ghiacciai nutriti in gran prevalenza proprio in questa maniera; alcuni di essi (Altai, Turkestān), anche grandi, sono costituiti di sola lingua. La fusione del ghiaccio avviene sia in superficie (ablazione in senso stretto), che nell'interno. Quella superficiale è soprattutto conseguenza dell'insolazione e della temperatura dell'aria. L'insolazione agisce, oltre che direttamente, anche per riflesso del calore assorbito dalle rocce circostanti al ghiacciaio, sì che l'ablazione è più intensa presso i margini della lingua, i quali si mostrano depressi rispetto alla parte mediana. L'ablazione ha intensità molto variabile anche nello stesso ghiacciaio, a seconda delle condizioni meteorologiche e dell'altezza. Nell'inverno è quasi nulla e raggiunge i valori massimi in luglio, agosto e settembre. Ad esempio un giorno caldo dell'estate può sciogliere nell'inlandsis groenlandese uno strato di 10 cm. di ghiaccio, mentre nell'ottobre è necessario circa mezzo mese. Seguendo l'oscillazione diurna della temperatura, nello stesso periodo estivo, l'ablazione cessa quasi del tutto la notte e raggiunge il massimo verso mezzogiorno. L'altezza influisce pure notevolmente: ad esempio sul ghiacciaio del Rodano l'ablazione diminuisce di circa un metro ogni 100 m. di al. tezza. Essa varia conside. revolmente, nei diversi ghiacciai, secondo l'esposizione. Fattore ancora più importante è dato dalle condizioni climatiche regionali: naturalmente l'ablazione diminuisce con il crescere delle latitudini, ma è da tener presente che i ghiacciai delle regioni polari giacciono a un livello molto più basso di quelli delle latitudini minori. Si calcola che 400 m. sotto il limite delle nevi l'ablazione annuale aumenta in media nei ghiacciai himalayani a circa 10 m., nelle Alpi quasi a 4, nella Scandinavia a 3,3, nella Groenlandia a 2 m.
In conseguenza dell'ablazione che, per condizioni locali, è molto diversa da punto a punto del ghiacciaio, la superficie di questo è molto irregolare. Vi è anzitutto del ghiaccio (puro e compatto) più resistente e altro (bolloso e commisto a fine detrito) che lo è assai meno. I banchi del primo risultano quindi sporgenti. Importanza maggiore nel determinare caratteristiche forme di ablazione hanno i detriti rocciosi sparsi alla superficie del ghiacciaio. I grossi blocchi proteggono dalla fusione il ghiaccio immediatamente sottostante e, per l'abbassamento della superficie all'intorno, i blocchi stessi rimangono dopo un certo tempo in rilievo sopra un piedistallo di ghiaccio (tavole o funghi del ghiacciaio). Uno strato di detrito continuo proteggendo in egual modo il ghiaccio su cui riposa, dà luogo a uno zoccolo rilevato talora anche più decine di metri e può apparire che questo spessore raggiungano gli accumuli detritici (morene) che ricoprono lo zoccolo. Nei grandi ghiacciai del Karakorum, dove l'ablazione è molto intensa, si formano così serie di prismi di ghiaccio corrispondenti a fasce moreniche; poiché la loro inclinazione va crescendo col progredire della fusione delle zone intermedie la copertura detritica si sposta a un certo momento verso queste e i prismi di ghiaccio vengono attaccati dall'ablazione che li foggia rapidamente in un complicato groviglio di pinnacoli.
Se il detrito è invece sottile e sparso (sabbie e polveri) produce l'effetto opposto, poiché assorbe una maggiore quantità di calore che provoca una più intensa fusione. Si originano così delle buchette cilindriche o a sezione semicircolare. Anche le acque di fusione scorrendo alla superficie del ghiacciaio in forma di rivoletti o di torrenti talora considerevoli (come nei ghiacciai himalayani), contribuiscono a renderla variata e irregolare; le loro acque provocano infatti una fusione e quindi l'erosione del letto. Spesso questi torrenti si perdono entro un crepaccio, o in aperture relativameme strette e assai costanti come posizione (molini glaciali). Queste ultime forme hanno una certa rassomiglianza, anche per la presenza di scannellature nel ghiaccio, con i fenomeni carsici delle regioni calcaree. Anche il ghiaccio è più o meno fessurato e solubile o meglio fusibile dall'acqua: su alcuni ghiacciai (ad esempio, quello di Gorner nel gruppo del Monte Rosa) si trovano delle cavità superficiali analoghe alle doline, che qualche volta ospitano un laghetto.
L'ablazione nell'interno del ghiacciaio è dovuta alle acque di fusione superficiali che penetrano nell'interno per mezzo dei crepacci e dell'aria che le accompagna. Queste acque percorrono nell'interno del ghiacciaio tratti anche notevolmente lunghi in canali e caverne che esse vanno allargando. Presso il fondo del ghiacciaio la fusione avviene pure per opera di acque giuntevi dall'esterno, ma soprattutto è dovuta al calore terrestre, essendo il suolo protetto dal ghiaccio dall'irradiamento verso l'atmosfera, sì che la temperatura si mantiene generalmente prossima al punto di fusione. Il ghiacciaio quindi non fa corpo con il suolo se non raramente, ma poggia su di esso, lasciando qua e là degli spazî nei quali circolano le acque di fusione (torrenti sottoglaciali). Queste escono dal margine frontale, spesso da un'ampia cavità a vòlta, detta porta del ghiacciaio.
Dalla fronte ha inizio il torrente glaciale che costituisce l'emissario di tutte le acque di fusione. Esso ha una certa portata anche nell'inverno, quando sono nulle o quasi l'ablazione superficiale e quella interna, dimostrando così l'importanza della fusione presso il fondo. Le acque del torrente hanno presso la fronte una temperatura di poco superiore a 0°, che aumenta rapidamente verso valle. La portata del torrente glaciale è molto variabile, seguendo con un certo ritardo, ma comunque non con vero parallelismo, le oscillazioni dell'ablazione. Vi sono in conseguenza un massimo e un minimo diurni e forti differenze stagionali, con un periodo di piene estivo. Quindi, il regime dei corsi d'acqua alimentati in prevalenza dai ghiacciai dipende poco dal regime delle precipitazioni.
Costituzione e struttura dei ghiacciai. - La neve che cade nei bacini di raccolta costituisce una massa polverosa e leggiera (peso specifico 0,2-0,35) perché i minuti cristalli che la formano sono mescolati a una grande quantità d'aria; essa è quindi di un bianco abbagliante. I cristallini della neve nello strato superficiale vanno col tempo ingrossando in seguito alle alternanze di fusione e successivo rigelo dovuto alle variazioni della temperatura esterna. Man mano che uno strato viene a trovarsi in posizione più profonda, perché ricoperto da altra neve, è sottratto a queste rapide alternanze, tuttavia i suoi granuli continuano ad aumentare di dimensione, diminuendo di numero. Ciò è probabilmente dovuto a due differenti cause. Poiché un aumento di pressione provoca un abbassamento del punto di fusione del ghiaccio, come mostrano noti esperimenti, in seguito a oscillazioni anche lievi della pressione in una massa di ghiaccio che si trovi a temperatura poco discosta da 0°,. possono verificarsi parziali fusioni, con successivo rigelo al diminuire della pressione e aumento della grossezza dei granuli. Una seconda causa, secondo alcuni anzi più importante, risiede nelle azioni molecolari fra granuli adiacenti, per le quali i cristalli maggiori si accrescono a spese dei minori, senza cambiamento di stato di aggregazione.
Allontanandosi dalla superficie, o anche scendendo verso il basso, sempre nel bacino di alimento, alla neve farinosa succede un aggregato di granuletti rotondeggianti di ghiaccio povero d'aria, cacciata via dalla pressione, e del peso specifico di 0,35-0,55, detto nevato (nevischio o gramolata dello Stoppani, Firni dei Tedeschi). La compattezza e la grossezza dei granuli aumentano procedendo verso le parti più profonde e verso la lingua del ghiacciaio. In questa il ghiaccio ha un peso specifico di circa 0,9 e i granuli raggiungono persino 10-12 cm. di diametro. Essi hanno forma irregolarmente poliedrica, con sporgenze e rientranze, incastrantisi a vicenda da un granulo all'altro. La struttura granulare si mette bene in evidenza scaldando leggermente un pezzo di ghiaccio di ghiacciaio: i contorni dei granuli appariscono come una complicata rete di minute fessure. Nella regione di alimento il nevato e il ghiaccio sottostante sono distintamente stratificati. Gli strati sono separati da sottili linee più scure, perché più ricche di finissimo materiale detritico, corrispondenti a un periodo di sospensione nel deposito della neve. Ogni strato equivale al deposito annuo o anche di un periodo più breve. Nella lingua appare pure una caratteristica struttura, data da strati alternati di ghiaccio bolloso e bianco, e di ghiaccio compatto azzurro, meno facilmente fusibile. In realtà non si tratta sempre di strati continui, ma di un seguito di lenti molto schiacciate che si giustappongono l'una all'altra. Questa zonatura è detta venatura azzurra (ted. Blaublätterstruktur). Gli strati hanno decorso longitudinale, si sviluppano cioè secondo la lunghezza della lingua. Essi pendono costantemente verso la parte mediana e sono tanto più inclinati quanto più vicini alla linea mediana; nell'insieme si ha quindi una struttura a ventaglio. In molti ghiacciai, nella zona frontale gli strati pendono verso l'interno, prendendo una disposizione a cucchiaio. Nelle parti superiori della lingua la zonatura appare in superficie secondo linee curve, convesse verso valle (ogive). Benché l'origine di questa struttura non sia ancora ben chiarita, pare probabile che essa derivi dalla stratificazione del nevato, per effetto delle pressioni dirette dai lati verso la parte centrale che si sviluppano nel passaggio dal bacino di raccolta alla parte valliva tanto più ristretta.
Movimento dei ghiacciai. - Ogni particella del ghiacciaio si sposta verso il basso, con velocità variabile che si può dir sempre relativamente piccola. Nei maggiori ghiacciai alpini si hanno spostamenti annui di 40-100 m., cioè di 1-3 decimetri giornalieri in media; nei piccoli ghiacciai di secondo ordine si scende a soli 2-3 m. annui; nelle enormi lingue di ghiaccio del Karakorum si arriva probabilmente a qualche centinaio di metri, e si giunge a 6 km. annui nelle colate che si staccano dal ghiacciaio continentale groenlandese. La velocità media è quindi straordinariamente più piccola di quella di un fiume che avesse lo stesso volume e lo stesso letto; tuttavia le caratteristiche del movimento sono nel complesso le stesse di quelle dei corsi d'acqua, come risulta da quanto ora diremo.
Le misure della velocità superficiale sono facili sulle lingue non troppo inclinate; si stabilisce un allineamento di segnali attraverso il ghiacciaio, e se ne controlla la posizione dopo un certo tempo: si vede che una retta si trasforma così in una curva con la convessità verso valle. Ciò significa che la velocità va diminuendo dalla parte mediana verso i margini, in conseguenza dell'attrito contro le sponde. Il filone del ghiacciaio, cioè la linea delle massime velocità, come quella di un fiume si avvicina alla sponda concava e si allontana da quella convessa. La velocità nell'interno si misura malamente; tuttavia si è constatato che essa diminuisce avvicinandosi al fondo, per effetto dell'attrito su questo. Si ha aumento della velocità con l'aumento dell'area della sezione trasversale; lo spessore del ghiacciaio è di regola massimo nel punto di passaggio dal bacino di raccolta alla lingua sì che, se il fondo è abbastanza regolare, le velocità massime si riscontrano in quel punto, diminuendo rapidamente con l'avvicinarsi alla fronte (la diminuzione di spessore è dovuta all'ablazione). Per il Hintereisferner, ad esempio, si trovò uno spostamento (1894-95) di appena 4 m. alla fronte (a 2300 m. di altezza) e di 51,5 metri all'altezza di 2670 m. La velocità aumenta analogamente dove le condizioni orografiche restringono la lingua conseguendone un locale aumento di spessore; e, naturalmente, anche in corrispondenza ai tratti del letto più inclinati.
Il movimento del ghiaccio, nella parte valliva, ha anche una componente trasversale (diretta dal centro verso i lati), e una verticale (diretta verso il basso nella parte mediana, verso l'alto ai margini e alla fronte), assai minori tuttavia della componente longitudinale. Inoltre la velocità, in ogni punto, varia nel tempo, presentando oscillazioni stagionali: la maggiore velocità si ha in estate per la parte inferiore della lingua, in inverno per quella superiore.
Una teoria geometrica del movimento è stata ideata da S. Finsterwalder per i ghiacciai stazionarî, ma può essere applicata fino a un certo punto anche agli altri; essa dà modo di rappresentare le traiettorie percorse dalle singole particelle di ghiaccio (e analogamente può pensarsi anche per i detriti rocciosi trasportati dal ghiacciaio). Quelle particelle che nella regione di alimento partono dalle zone più elevate e più prossime al margine, riappaiono, dopo un lungo percorso, nell'interno, presso la fronte; quelle invece che partono dal centro della regione di alimento, risorgono sulla lingua, tanto più vicine al limite del nevato quanto più vicina ne era anche la posizione di partenza.
È conseguenza del movimento del ghiacciaio la formazione di crepacci, che si aprono perpendicolarmente alla direzione delle forze di trazione, quando queste raggiungono una certa intensità; molto influisce anche l'irregolarità del letto. Nella regione di alimento le trazioni sono dirette verso il punto più basso del bacino di raccolta, si forma un crepaccio marginale (ted. Bergschrund), tra la roccia e le nevi immobili e la massa del nevato. Nella lingua, per la differenza di velocità tra la parte mediana e quelle laterali si formano crepacci marginali, inclinati di 30°-45° sull'asse del ghiacciaio. Dove questo abbia un tratto del fondo molto ripido si aprono crepacci trasversali; longitudinali, invece, dove la lingua si allarga, producendo trazioni dirette verso i lati: alla fronte essi appariscono come radiali. L'incrociarsi di più serie di crepacci dà luogo a tanti blocchi e pinnacoli irregolari di ghiaccio, detti seracchi.
Non ancora bene chiarite sono le cause del movimento; abbandonate le vecchie teorie basate sull'aumento di volume in seguito al congelamento e ai processi d'ingrossamento dei granuli, è ormai riconosciuto che la causa prima risiede nella gravità. Non si tratta però di un semplice scivolamento sul fondo; come si è visto, il movimento ha le stesse caratteristiche che nei corsi d'acqua. Il ghiaccio, apparentemente rigido, va considerato come un corpo dotato di una certa plasticità (fluido ad alta viscosità); le sue particelle cioè possono muoversi l'una rispetto all'altra, come dimostrano alcune esperienze. È difficile dire se la plasticità risieda nella proprietà dei singoli granuli, oppure sia una conseguenza di una parziale fusione tra granulo e granulo che permetterebbe gli spostamenti. Questo ultimo modo di vedere è la base della teoria del Thomson e del Tyndall, che ha dominato per lungo tempo. La fusione e il successivo rigelo avverrebbero in seguito a oscillazioni della pressione, anche piccole, purché il ghiaccio si trovi a una temperatura molto prossima a quella di fusione. È probabile che entrambe le teorie e le loro modificazioni abbiano qualcosa di vero.
Fauna. - La fauna delle nevi è straordinariamente scarsa ed è formata da specie atte a sopportare temperature bassissime, specie che vivendo nel terreno coperto di neve o ai margini del ghiacciaio, passano qualche ora del giorno sulla neve stessa, scaldandosi rapidamente ai raggi solari e nutrendosi specialmente di polline di conifere trasportato dal vento; esse appartengono ad animali inferiori come Anellidi della famiglia degli Enchitreidi e Insetti dell'ordine dei Collemboli (Isotoma saltans ed I. Westerlundi delle Alpi), i quali sono specializzati per la vita nei campi di neve e nei ghiacciai. Ma la maggior parte degli animali viventi nella zona delle nevi perenni compiono il loro sviluppo nel suolo, si cibano di detriti organici che trovano sotto le pietre e fra i muschi e licheni affioranti alla superficie delle nevi. Il primato spetta ai Ditteri, cui seguono i Coleotteri strettamente localizzati e che compaiono allo stato perfetto quando le zolle rimangono per qualche tempo scoperte dalla neve: sono specialmente Carabidi dei generi Nebria e Trechus, Stafilinidi, Silfidi ecc. ai quali gli entomologi hanno frequentemente attribuito i nomi di nivalis, glacialis, ecc. Finalmente Imenotteri e Lepidotteri, dai territorî circostanti, si portano alle maggiori altezze. Anche un topo alpino (Microtus nivalis) sale fino a 3500 metri e oltre sulle Alpi e sui Pirenei e vive durante l'inverno entro gallerie sepolte sotto la neve. Questa fauna va considerata come un relitto di quella che durante il periodo glaciale si diffuse su gran parte dell'emisfero boreale. Animali che vivevano ai margini dei ghiacciai o nelle tundre a suolo gelato e coperte soltanto di radi muschi, si estesero dovunque la temperatura fredda lo consentiva e quando questa, col risalire, determinò la riduzione progressiva degli antichi ghiacciai e la scomparsa di molti di essi, certe specie non si adattarono alle nuove condizioni climatologiche e perirono; altre restrinsero la loro area di distribuzione, localizzandosi, in maniera discontinua, sulle alte montagne e nelle terre artiche. Così è accaduto della renna che si rifugiò nelle Alpi, donde scomparve più tardi, e nei paesi nordici, comprese le Isole Svalbard; così di talune specie di Uccelli della famiglia dei Tetraonidi (genere Lagopus) frequenti ancora nelle Alpi, nella Scozia, nella Lapponia e in altre terre artiche. Anche il fringuello delle nevi (Plectrophenax nivalis) vive sulle Alpi, in Groenlandia, in Lapponia, nelle Isole Svalbard. (V. artiche, regioni).
Flora. - L'ambiente e la natura del ghiacciaio non consentono in esso lo sviluppo di flora e vegetazione. Questa si localizza - nei paesi e nelle altitudini, ove questo è possibile - sulle morene che lo accompagnano, ma allora non appartiene più al ghiacciaio. Però sulle nevi che talora ricoprono i ghiacciai, in alcuni casi è stato osservato il fenomeno della neve rossa. Questo è dovuto a un'alga microscopica unicellulare della famiglia Volvocacee che oltre il clorocroma contiene un pigmento rossosangue, l'ematocroma. Quest'organismo già chiamato Sphaerella nivalis dal botanico Sommerfeldt oggi si chiama Chlamydomonas nivalis. La neve rossa fu osservata la prima volta dal H.-B. de Saussure sui monti dell'alta Savoia nel 1760, poi nelle Alpi svizzere, tirolesi, salisburghesi, nei Pirenei, Carpazî, Urali; nel 1818 in abbondanza il capitano J. Ross l'osservò nell'America artica e in Groenlandia. Quest'organismo vive nelle piccole pozze d'acqua di fusione che la notte non rigelano completamente.
Azioni morfologiche dei ghiacciai. - In virtù del loro movimento i ghiacciai contribuiscono a modificare l'aspetto della superficie terrestre e vanno compresi quindi tra i cosiddetti agenti esterni. Ogni ghiacciaio manifesta azioni di erosione, di trasporto e di deposito, più evidenti queste due ultime, delle quali diremo prima. Il detrito roccioso che il ghiacciaio trasporta, comunque sia ad esso pervenuto, viene detto morena, anche quando venga abbandonato dal ghiacciaio sul terreno. Sono quindi da distinguere le morene in movimento (se superficiali dette anche galleggianti) e le morene deposte. Delle morene daremo qui solo brevissimi cenni (v. morena).
Dalle pareti che sovrastano al ghiacciaio cadono detriti delle dimensioni più diverse. Quelli pervenuti nella zona del nevato sono presto ricoperti dalla neve, ma riappaiono, in seguito al movimento del ghiacciaio, più in basso, sotto il locale limite delle nevi e vengono allora a costituire, insieme al detrito caduto direttamente sulla parte ablatrice, il complesso delle morene superficiali; esse si seguono come fasce longitudinali che spesso finiscono per fondersi insieme in prossimità della lingua. Il detrito che si trova nell'interno ha distribuzione irregolare, ma si designa complessivamente col nome di morena interna. Presso il fondo il ghiacciaio trasporta materiali rocciosi e questi non provengono soltanto dall'esterno ma sono anche strappati dallo stesso ghiacciaio al suolo su cui poggia. La morena profonda ha quindi carattere assai diverso da quelle superficiali, perché formata in parte da un limo glaciale finissimo, che rappresenta il prodotto finale della frantumazione e triturazione operata dal ghiacciaio col suo movimento, in quanto si ha mutuo sfregamento dei varî frammenti o di questi sul fondo. Per questa via si originano anche i ciottoli striati, dalla superficie levigata, lucida e finamente striata da scalfitture. Le morene superficiali sono invece caratterizzate dalla mescolanza caotica di detriti delle dimensioni più svariate, conservanti ancora la primitiva forma angolosa. I più grossi blocchi, quando si tratti di morene deposte, e specialmente se rimasti isolati, si dicono massi erratici. Le morene vengono deposte normalmente alla fronte del ghiacciaio (morena frontale), cioè dove questo ha termine; se il ghiacciaio si ritira vengono però abbandonate in corrispondenza di ogni parte lasciata libera dal ghiacciaio. Una parte del materiale morenico giunto alla fronte viene portato via dal torrente glaciale, che ne è sempre fortemente carico; i detriti più grossolani vengono deposti spesso già a non molta distanza, senza avere ancora ricevuto tipica impronta di ciottoli o sabbie fluviali: questi depositi sono conosciuti sotto il nome di formazioni fluvioglaciali e stabiliscono una graduale transazione tra i veri depositi morenici e i depositi alluvionali che si formano in realtà più a valle.
Nelle stesse grandi morene frontali si hanno intercalazioni di depositi fluvioglaciali. Straordinaria importanza hanno le formazioni fluvioglaciali dell'epoca glaciale (v.).
Come depositi di torrenti sottoglaciali sono interpretati i lunghi cordoni di ciottolami, detti Åsar o Oser nella Svezia, nella Germania, nella Finlandia, regioni che furono coperte durante il periodo glaciale da un grande ghiacciaio continentale; e lo stesso si dica delle collinette di ghiaie dette Kames o Esker, nella Scozia e nell'Irlanda.
I ghiacciai operano senza dubbio anche l'erosione del suolo su cui riposano: la morena di fondo in gran parte deriva appunto da essa. In corrispondenza della lingua si hanno presso il fondo temperature generalmente prossime al punto di fusione del ghiaccio e le vaiazioni di pressione causano alternative di gelo e disgelo. Il fondo roccioso viene così sottoposto al processo di disfacimento dovuto all'azione di cuneo dell'acqua congelante nelle fessure. I frammenti rocciosi staccatisi e che vengono trasportati dal ghiacciaio sfregando sulla roccia sottostante causano pure un'azione erosiva che conduce a levigare le rocce piu dure e a scolpirle con strie (indicanti la direzione del movimento) dovute al passaggio di frammenti duri e angolosi. Nelle regioni occupate già da ghiacciai nel periodo glaciale, sono frequenti queste rocce levigate e striate; esse sono anche arrotondate, per la più rapida consumazione degli spigoli. Tanti monticelli arrotondati, interchiudenti tra loro anche dei laghetti, dànno spesso un aspetto caratteristico al paesaggio (rocce moutonnées "montonate" dei Francesi). La diretta osservazione dell'azione erosiva dei ghiacciai è ben difficile, sì che su questa ancora rimangono non poche incertezze. Nelle regioni occupate dai ghiacciai, durante il periodo glaciale, oggi invece scoperte, il paesaggio mostra particolari caratteri mancanti in quelle regioni che furono libere dai ghiacci. Se anche non è possibile spesso discernere quanto si debba all'azione glaciale e quanto alla preesistenza di forme modellate dalle acque correnti e come si sia svolta l'azione dei ghiacciai, è tuttavia certo che tali caratteri sono appunto opera dell'erosione glaciale. Le principali forme caratteristiche sono i circhi, le valli a U, le valli sospese, i gradini di fondovalle, i rilievi intravallivi. I circhi sono incavi all'ingrosso semicircolari, con ripide pareti rocciose che scendono su un fondo pianeggiante o poco inclinato, spesso irregolarmente ondulato e più elevato presso il margine esterno, sì da raccogliere dei laghetti o i loro relitti. L'azione glaciale si è esplicata con una retrocessione delle pareti e allargamento e addolcimento del fondo; queste trasformazioni, nel caso dei molti circhi, debbono essersi compiute a spese di normali testate di valli e vallecole torrentizie.
Le valli glaciali hanno un profilo trasversale detto a U, perché contrassegnato da ripidi fianchi, talora vere pareti, e da un fondo ampio e pianeggiante; le normali valli di erosione fluviale (a V) hanno invece fianchi meno inclinati e fondi proporzionalmente assai più ristretti. L'escavazione delle profonde docce a U (truogolo glaciale), cui sovrastano fianchi più dolci (spalle), è però solo in parte dovuta all'erosione glaciale, che ha approfondito e allargato, modellandolo in modo caratteristico, un solco vallivo preesistente.
Nelle valli glaciali sono frequenti dei gradini in roccia; inoltre molte valli laterali, allo sbocco in un valle di ordine superiore, terminano all'altezza di parecchie centinaia di metri sul fondo di quest'ultima, mentre i fiumi precipitano in cascata, quando il gradino non sia già stato segato da una profonda gola. Per queste valli sospese si può pensare alla maggiore escavazione (sovraescavazione) subita dalla valle principale, già occupata da un ghiacciaio maggiore, rispetto a quella secondaria, che ospitò un ghiacciaio meno potente o addirittura ne fu priva. Vi sono anche casi in cui questa spiegazione incontra serie difficoltà. È da tener presente che dislivelli tra una valle e l'altra e lungo una stessa valle potevano già in parte preesistere allo sviluppo glaciale; a questo sarebbe dovuto non solo il loro mantenimento ma addirittura la loro esagerazione.
Caratteristici nelle valli glaciali meno frequenti rilievi intravallivi, rialzi di roccia che sorgono nel fondovalle pianeggiante. Infine, il ghiacciaio può modellare anche pendii a contropendenza rispetto al suo decorso, diversamente dai corsi d'acqua.
Oscillazioni glaciali. - Lo sviluppo dei ghiacciai di una regione è determinato dalle condizioni climatiche: notoriamente queste non sono costanti e ogni annata presenta diversità nell'andamento dei fenomeni meteorologici. Lo sviluppo di un ghiacciaio deve necessariamente variare al variare delle condizioni climatiche. Non sono però le differenze da un anno all'altro quelle che influiscono sensibilmente, bensì quelle oscillazioni, di parecchi anni di durata, per le quali si alternano periodi a umidità, e rispettivamente a temperatura, maggiore o minore. A esempio è ben nota l'esistenza di un ciclo, detto di Brückner, della durata di circa 35 anni; esso si riscontra anche nelle variazioni dei ghiacciai (oscillazioni glaciali). Le variazioni della massa di un ghiacciaio si traducono nella perdita di area e nella diminuzione di spessore; soprattutto evidente è però la variazione in lunghezza che causa lo spostamento della fronte. L'accrescersi dell'alimento o il diminuire dell'ablazione naturalmente causano un progresso del ghiacciaio, mentre il regresso è dovuto a variazioni opposte. Per i maggiori ghiacciai alpini si sono potute ricostituire le fasi di avanzata e di ritiro degli ultimi tre secoli; oggi le oscillazioni glaciali nelle Alpi sono attentamente seguite, e a questo scopo, già da un quarantennio, fu costituita una Commissione internazionale. In Italia il compito di tali studî è stato assunto da un apposito Comitato glaciologico italiano.
I ghiacciai di una regione anche ristretta, a esempio di uno stesso gruppo montuoso, non seguono esattamente le stesse vicende, cioè essi risentono con ritardo più o meno grande (specialmente a causa delle diverse dimensioni) delle oscillazioni climatiche. Naturalmente i ghiacciai maggiori presentano oscillazioni più ampie, misurabili anche a parecchie centinaia di metri di spostamento della fronte, in periodi di pochi decennî; per molti piccoli ghiacciai si hanno invece variazioni quasi non apprezzabili. La relazione non ha però valore del tutto generale; così pare che nel caso di grandi ghiacciai con molti affluenti (Karakorum) si abbiano oscillazioni delle fronti relativamente piccole. Al di fuori della regione alpina però i dati sono piuttosto scarsi, né si sono potuti stabilire veramente parallelismi con questa, quanto all'epoca delle varie fasi.
Nelle Alpi si possono indicare i seguenti anni come data d'inizio di fasi di progresso: 1630, 1675, 1712, 1735, 1767, 1812, 1835, 1875. Attorno al 1820 e al 1850 cadono due massimi di sviluppo, dei quali il primo è stato il maggiore per molti ghiacciai; sembra che l'inizio di una fase avvenga prima nelle Alpi Occidentali. Le oscillazioni posteriorì al 1850-56 sono tutte confinate entro le morene di detto massimo; anzi alcuni ghiacciai delle Alpi Orientali sono da allora in continuo regresso: tra i ghiacciai italiani meglio noti a questo proposito citiamo quello di Macugnaga (M. Rosa), che ha avuto fasi di progresso negli anni 1826, 1842-59, 1878-93, 1913-1921, di ritiro negli anni 1826-42, 1859-78, 1893-1913, 1921.
Distribuzione geografica dei ghiacciai. - Si può dire che lo sviluppo dei ghiacciai diminuisce dalle regioni polari verso l'equatore. Le prime presentano l'intensità maggiore di glaciazione. L'Antartide (v.) è coperta da un enorme manto di ghiaccio che le ultime esplorazioni fanno ascendere a circa 14 milioni di kmq. di superficie, il limite delle nevi trovandosi già a livello del mare. Invece nella Groenlandia il limite è relativamente elevato (fin anche 1200 m.), ma tuttavia la grande isola è coperta da un ghiacciaio continentale la cui superficie convessa si eleva fino a 3000 m. d'altezza e lascia emergere solo qua e là dei dossi rocciosi, detti nunatak; esso è esteso circa 2 milioni di kmq., rimanendone scoperta solo una fascia costiera poco ampia. Questa è però rotta dalle lingue che si staccano dall'inlandsis e giungono al mare, costituendo già di per sé dei grandi ghiacciai (Frederikshåb 60 km. di lunghezza, Gran Karajak 110 km.). Nella fascia costiera non mancano nemmeno grandi ghiacciai indipendenti. Scarso sviluppo hanno invece i ghiacciai nell'Arcipelago Artico Americano, a causa della scarsità delle precipitazioni, sebbene il clima sia molto rigido.
L'Islanda, benché giaccia già al di fuori del circolo polare (tra 63° 1/2 e 660 1/2 lat. N.) 1/7 ha della sua superficie coperta da ghiacciai di tipo continentale o norvegese, essendo il clima abbastanza umido (limite delle nevi da 700 a 1600 m.). L'ampio scudiforme Vatna jökull si estende per 8500 kmq. L'associazione di manifestazioni vulcaniche ai ghiacciai dà talora luogo a fenomeni interessanti, catastrofici. Sviluppatissimi pure i ghiacciai continentali nelle Svalbard, dove il limite delle nevi è a 2-300 m.; coperte di un mantello nevoso o ghiacciato sono le isole dell'Arcipelago Francesco Giuseppe, con limite nivale poco al disopra del livello marino. L'Europa possiede due regioni ricche di ghiacciai: le Alpi e la Scandinavia. Nelle Alpi il limite delle nevi in generale si eleva verso i gruppi interni, per il diminuire delle precipitazioni e per il rialzamento delle isoterme in corrispondenza delle masse più elevate. I valori minimi si raggiungono nelle Alpi Orientali più piovose (Alpi Calcaree settentrionali 2500 m., Alpi Giulie 2500), i massimi, superiori anche ai 3200 m., nel M. Bianco, nel M. Rosa, nelle Alpi Venoste, ecc.
Le Alpi Occidentali, benché elevate, hanno ghiacciai numerosi ma non molto grandi; solo a partire dal M. Bianco (4807 m.) lo sviluppo glaciale si fa notevole. Questo gruppo, oltre una quarantina di ghiacciai di 2° ordine, ne ha una ventina di vallivi. I maggiori stanno sul versante francese, a pendio più dolce (Mer de Glace, 55 kmq. di area); sul versante italiano il più grande è il Ghiacciaio del Miage, esteso 19 kmq. e lungo quasi 9 km. Il gruppo del M. Rosa ha pure diversi ghiacciai vallivi, tra cui il Ghiacciaio del Gorner (area kmq. 67, lungh. km. 15); sul versante italiano i maggiori sono il Ghiacciaio di Macugnaga e quello del Lys (rispettivamente 13,5 e 10,5 kmq. di area). Nelle Alpi Svizzere si trova il gruppo montuoso più ricco di grandi ghiacciai, quello del Finsteraarhorn (4275 m.), dove l'area glacializzata è di circa 460 kmq., cioè circa 1/3 dell'area totale del gruppo; esso accoglie il maggiore ghiacciaio alpino, l'Aletsch, con 115 kmq. di area e 27 km. di lunghezza (Ghiacciaio di Fiescher kmq. 41, Ghiacciaio di Unterdar kmq. 39). Importanti sono anche il nodo del S. Gottardo, che porta il Ghiacciaio del Rodano (kmq. 21), e la catena del Tödi. I gruppi del Disgrazia e del Bernina (4052 m.), hanno numerosi e anche notevoli ghiacciai; dal secondo discende il Morteratsch, sul versante svizzero (21 kmq. di area, 8 km. di lunghezza). Nelle Alpi Orientali lo sviluppo dei ghiacciai va complessivamente diminuendo verso l'est, col diminuire dell'altezza delle montagne. Numerosi ed estesi sono i ghiacciai dell'Ortles-Cevedale (dei Forni kmq. 18, di Solda kmq. 10), e dell'Adamello (Ghiacciaio del Mandrone kmq. 13,7), minori quelli della Presanella, tutti nel versante italiano. Le Alpi Retiche orientali hanno gruppi con grande sviluppo di ghiacciai, dei quali una ventina sono vallivi: il Gepatschfener sul versante nord raggiunge 15,5 kmq. di area, il Ghiacciaio di Malavalle, sul versante italiano, kmq. 10,3. Gli Alti Tauri portano pure numerosi ghiacciai, tra cui il noto Ghiacciaio delle Pasterzen, esteso oltre 30 kmq. e lungo 10 km. Più ad oriente lo sviluppo glaciale è molto limitato, come pure in tutte le Alpi Venete; in queste il ghiacciaio maggiore è quello della Marmolada (kmq. 3,4). Complessivamente i ghiacciai alpini coprono un'area di circa 3800 kmq.; il ghiacciaio che porta la sua fronte più in basso è quello di Unteraar inferiore, che termina a 1100 m. d'altezza. I ghiacciai italiani sono in tutto circa 800; l'Appennino accoglie un solo ghiacciaietto, sotto la cima del M. Corno (Gran Sasso, m. 2914; v.).
Nei Pirenei (m. 3404) il limite delle nevi è a circa 2800 m. di altezza; varie cime salgono sopra i 3000 m., ma non si formano che ghiacciai di 20 ordine, ehe non occupano, insieme, più di una quarantina di kmq. di superficie. Anche la Sierra Nevada (m. 3050) ha un piccolo ghiacciaio.
Nella Scandinavia l'area occupata dai ghiacciai è di ben 5000 kmq.; le massime altezze non arrivano a 2500 m., ma il limite delle nevi oscilla, sul versante occidentale molto più umido, tra 1000 e 1900 m. Gli altipiani elevati funzionano da campi di raccolta per le nevi, da cui discendono le lingue (tipo norvegese). I gruppi principali sono il Folgefonn (290 kmq. di ghiacciai), lo Jostedals brä (940 kmq., con numerose lingue), lo Jotunfield e, più a nord, lo Svartis e l'Okstinder. Non mancano ghiacciai di pendio o di circo e anche ghiacciai vallivi di tipo alpino (Gruppo del Sariek). Alcune lingue maggiori si spingono a soli 300 m. sul mare. Un ghiacciaio rigenerato (Suphelle brä) termina anzi a soli 50 m.
L'Asia ha grandi ghiacciai nelle sue maggiori catene montuose, non però nella sua parte settentrionale, anche se i monti superano i 2000 m., a causa della scarsità di precipitazioni e della forte continentalità del clima. Il Caucaso (El′brus 5629 m.) ha circa 2000 kmq. di ghiacciai, di tipo alpino, dei quali il maggiore è il Ghiacciaio Maliev [o Kazbek), lungo 57 km.; il limite delle nevi s'innalza da ovest verso est (da 2700 a 3800 m.). Procedendo verso oriente una cospicua glaciazione comincia a trovarsi nell'Hindu-Kush e nel Pamir (Ghiacciaio Fedčenko, 77 km. di lunghezza) e raggiunge il suo massimo nel Karakorum, per la forte altezza complessiva della regione (cime anche sopra 8000 m.) sebbene il limite delle nevi salga a 5-6000 m. L'Himālaya, benché possegga molte cime elevatissime (Everest 8882 m.) e il suo versante meridionale, molto ripido, sia piovosissimo (limite tra 4300 e 5200 m.), ha ghiacciai già alquanto più piccoli. Caratteristica dei maggiori ghiacciai himalayani e del Karakorum è la ricca copertura morenica e l'abbondanza di affluenti che sboccano nella lingua principale quasi ad angolo retto (tipo himalayano). Ricordiamo, nel Karakorum, il Siacen con 75 km. di lunghezza e 650 kmq. di sola parte valliva, il Biafo e il Baltoro (rispettivamente 60 e 66 km. di lunghezza, 350 e 450 kmq. di superficie valliva); nell'Himālaya il Zemu e il Milam, lunghi 26 e 20 km. Il versante settentrionale dell'Himālaya è secco e quindi con limite delle nevi elevato (fino a 6000 m.), povero di ghiacciai. Per la grande aridità sono pure relativamente searse di nevi persistenti le regioni più a nord (Tibet), nonostante la forte altezza; soltanto le parti più elevate del K'uen-lun portano ghiacciai notevoli: più ricche, per la maggior piovosità, sono le sue catene più orientali. Le catene del T'ien-shan, che culminano a 7193 m. nel Shan-Tengri, hanno uno sviluppo glaciale considerevole, trovandosi il limite delle nevi a 3400-4200 m.; vi sono ghiacciai di più diecine di km. di lunghezza. Gli Altai, più a nord, ma meno elevati (4500 m.), ospitano ghiacciai soltanto sul versante settentrionale, più piovoso (limite a 2500-3000 m.).
L'Oceania si può dir priva o quasi di ghiacciai al di fuori della Nuova Zelanda; l'isola meridionale di questa ha una ricca glaciazione, non solo perché vi esistono montagne elevate (M. Cook 3764 m.), ma soprattutto per la bassa posizione del limite delle nevi (2000-2400 m.). I ghiacciai maggiori sono sul versante orientale, meno umido, ma molto meno ripido: il Ghiacciaio Tasman, lungo 29 km., ha un'area di 155 kmq. Questi ghiacciai sono di tipo alpino, ricchi di morene, e portano le lingue molto in basso (versante est fino a 800 m., versante ovest fino a 200 m.), in una zona di rigogliosa vegetazione.
L'America possiede ghiacciai soltanto nelle catene lungo il margine occidentale. Le catene marginali dell'Alasca prossime al Pacifico e quindi molto umide, con cime elevate sopra i 5000 m., portano grandi ghiacciai pedemontani. I principali sono il Malaspina (3900 kmq.), che comprende nel suo bacino il M. S. Elia (5500 m.), il Ghiacciaio di Lapérouse e quello di Muir (1200 kmq.); dalla cima più elevata (McKinley 6190 m.), scendono ghiacciai di tipo alpino, lunghi anche più di 40 km. Il limite delle nevi è basso, trovandosi talora a soli 5-600 m. d'altezza. Nelle cordigliere canadesi è assai più elevato, ma sempre relativamente basso sul versante occidentale, piovoso; le catene costiere, benché poco elevate, posseggono già piccoli ghiacciai. Nelle Montagne Rocciose, i ghiacciai sono ben sviluppati soltanto nel versante pacifico. Nelle Selkirk Mountains, a 51° di lat. N., il limite delle nevi è a soli 2300 m., e il grande Ghiacciaio di Illecillewaet spinge la sua lingua fino a 1460 m. d'altezza. Le Montagne Rocciose sono quasi del tutto sprovviste di ghiacciai nel territorio degli Stati Uniti, non solo per la latitudine minore, ma soprattutto per la grande aridità dovuta alla maggiore distanza dal Pacifico. La stessa Sierra Nevada, abbastanza vicina al mare e con cime sopra i 4000 m., ha solo piccoli ghiacciai di circo; notevoli sono invece quelli della Catena delle Cascate. Dal Messico fino alla Bolivia lo sviluppo di ghiacciai è minimo, benché varie cime superino il limite delle nevi (oscillante tra 4000 e 6000 m.): sfavorevoli sono quasi sempre le condizioni orografiche. Alcuni ghiacciai riempiono i crateri di vulcani estinti (Chimborazo, Antisana, ecc.). Lo sviluppo glaciale diventa considerevole nelle Ande chilene, a sud del trentesimo parallelo, e sempre più procedendo in questa direzione con l'aumentare delle precipitazioni benché diminuisca l'altezza delle cime (Aconcagua 6960 m., Ande di Patagonia non più di 4000 m.). Tra 46° e 51° di lat. sud i ghiacciai occupano aree estesissime; ben sviluppati sono anche nella Terra del Fuoco, discendendo il limite delle nevi a soli 700 m.
L'Africa è poverissima di ghiacciai; questi sono sviluppati soltanto nei monti più alti, posti in piena zona equatoriale, e specialmente nel gruppo del Ruvenzori (5125 m.) e sul Kilimangiaro (5930 m.).
L'area totale occupata sulla Terra da ghiacci e nevi permanenti può stimarsi a circa 16 milioni di kmq., cioè a 1/8 dell'area delle terre emerse.
V. tavv. CXLV-CLIV.
Bibl.: Ricco materiale e indicazioni bibliografiche nella Zeitschrift für Gletscherkunde, Berlino 1906 segg. Per i ghiacciai italiani si veda il Bollettino del Comitato glaciologico italiano (annuale, dal 1918). V. inoltre: A. Heim, Handbuch der Gletscherkunde, Stoccarda 1885; H. Hess, Die Gletscher, Brunswick 1904; W.H. Hobbs, Characteristics of existing glaciers, New York 1911; F. Machatschek, Gletscherkunde, Berlino 1917; D. Gribaudi, Aspetti geografici del glacialismo, 1930; E. Richter, Die Gletscher der Ostalpen, Stoccarda 1888; O. Marinelli, I ghiacciai delle Alpi Venete, Firenze 1910; G. Dainelli e O. Marinelli, Le condizioni fisiche attuali (Rel. sped. De Filippi), s. 2ª, IV, Bologna 1929.