Ghiacciaio
Nel decennio tra la fine del 20° e l'inizio del 21° sec., i g. hanno richiamato l'interesse degli studiosi e del pubblico, perché divenuti uno dei simboli delle trasformazioni ambientali accelerate, comunemente indicate con la locuzione cambiamenti globali. I vistosi fenomeni di ritiro dei g. montani, accentuatisi dalla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, hanno reso evidenti a tutti gli effetti del riscaldamento climatico della Terra, imputato, almeno in parte, delle alterazioni prodotte nel sistema climatico dalle attività umane. Tra le conseguenze ambientali ed economiche della riduzione delle masse glaciali si possono menzionare il contributo alla risalita del livello degli oceani, la riduzione delle risorse idriche nelle regioni montane, il degrado idrogeologico delle aree abbandonate, la scomparsa o la riduzione delle aree sciistiche estive e la progressiva perdita di un patrimonio paesaggistico ricco di valenze turistiche e ricreative.
Lo sviluppo degli studi sui g., oggetto principale della glaciologia, è stato di conseguenza molto rilevante nello stesso periodo, come documentato dall'elevato numero di pubblicazioni e volumi prodotti a carattere internazionale. La glaciologia ha assunto dunque maggiore evidenza nell'ambito delle scienze della Terra, sviluppando vari settori di ricerca, quali la dinamica glaciale, la glaciochimica, la prospezione geofisica e la modellistica dei ghiacciai. Nata dallo studio dei g. alpini, la glaciologia si è dedicata in prevalenza allo studio delle calotte glaciali polari, nelle quali è racchiusa la quasi totalità del ghiaccio terrestre. I g. vengono distinti in ghiacciai polari e ghiacciai montani. I primi, confinati alle alte latitudini, sono caratterizzati da ghiaccio in prevalenza a temperatura nettamente inferiore a quella di fusione (ghiaccio freddo). In essi i fenomeni superficiali di fusione sono assenti, l'acqua è assente, la trasformazione della neve in ghiaccio avviene con grande lentezza (secoli o addirittura alcuni millenni), per soli processi di compattazione, sinterizzazione e ricristallizzazione. Nei g. polari la temperatura aumenta dalla superficie al fondo. Se al fondo non viene raggiunta la temperatura di fusione, la base del g. risulta saldata al substrato (ghiacciaio a base secca) e il flusso glaciale può avvenire solamente per deformazioni interne. Ne deriva che la loro velocità superficiale è molto ridotta (pochi metri all'anno). Ove al fondo viene raggiunta la temperatura di fusione, ha luogo anche lo scivolamento basale su un sottile strato d'acqua (ghiacciaio a base bagnata) e la velocità superficiale è di uno/due ordini di grandezza maggiore. G. polari sono le grandi calotte di ghiaccio della Groenlandia e dell'Antartide, nonché le più piccole calotte delle isole artiche e subantartiche. Alle latitudini un poco meno elevate, come nella Groenlandia meridionale, la superficie del g. può subire fusione nella stagione estiva, ma l'acqua così prodotta rigela in gran parte sul g. stesso (ghiacciaio subpolare). In Antartide e in Groenlandia si sviluppano delle colate glaciali, dette ice streams, con flusso più veloce, che drenano il ghiaccio interno delle calotte e terminano in mare nei fiordi, con fronti a falesia, oppure proseguono in mare aperto generando lingue e piattaforme di ghiaccio galleggianti. La perdita di massa (ablazione) ha luogo principalmente per distacco di iceberg, secondariamente per fusione alla base delle piattaforme galleggianti e per sublimazione.
I g. montani (detti anche temperati) sono distribuiti sulle regioni montuose, dalle alte latitudini all'Equatore, e sono composti in prevalenza da ghiaccio alla temperatura di fusione (ghiaccio caldo). La trasformazione della neve in nevato e ghiaccio avviene rapidamente (pochi anni), per ripetuti cicli di fusione e rigelo. In essi l'acqua può essere presente in tutto il loro spessore e alla base. Sono dotati di un rapido movimento per scivolamento basale e per deformazione interna (decine o alcune centinaia di metri all'anno). La temperatura è praticamente costante dalla superficie alla base (temperatura di fusione in funzione della pressione), salvo d'inverno nella porzione più superficiale, che diviene più fredda. Solamente alle quote più elevate (nelle Alpi, indicativamente, al di sopra dei 4000 m) assumono caratteri simili a quelli dei g. polari, come nel caso dei ghiacciai pensili, saldati alle pareti rocciose. L'ablazione avviene principalmente per fusione, ma anche per crolli di ghiaccio alle fronti.
Variazione della dimensione dei ghiacciai
Le moderne tecniche di indagine da satellite, da aereo e da terra hanno permesso di meglio precisare l'estensione, lo spessore e il volume dei g. terrestri. Il volume totale dei g. terrestri è stimato in circa 28 milioni e mezzo di km3 di ghiaccio, che, se fondessero interamente, produrrebbero una risalita del livello del mare di oltre 70 metri. Poco meno del 90% del ghiaccio è contenuto nella calotta antartica, il 10% circa nella calotta groenlandese, mentre tutti gli altri g. polari e i g. montani insieme contengono meno dell'1% del volume totale. I g. montani, benché contengano una frazione minima del ghiaccio terrestre (∼0,2%), contribuiscono significativamente alla risalita del livello del mare, in quanto, essendo per la maggior parte alla temperatura di fusione, sono più sensibili agli effetti del riscaldamento climatico.
Secondo un censimento effettuato nel 1988, i g. nelle Alpi erano 5154, di cui 1763 con superficie superiore a 0,2 km2, con una superficie totale di circa 2900 km2 e un volume complessivo di circa 130 km3, equivalente a 0,35 mm di livello del mare. L'estensione dei g. sul versante meridionale delle Alpi era pari al 23% del totale. Un censimento effettuato dal Comitato Glaciologico Italiano (CGI) negli anni 1957-58 attestò la presenza nel territorio italiano di 832 g. (tutti nelle Alpi salvo uno, il g. del Calderone, nell'Appennino abruzzese), con una superficie totale di circa 530 km2. Nel 1988 un secondo censimento, sempre effettuato dal CGI, ma con criteri differenti e utilizzando la nuova cartografia disponibile, prodotta nel decennio 1975-1984, portò alla identificazione di 727 g. e 443 glacionevati (placche nevose permanenti per almeno due anni consecutivi), con una superficie totale di circa 600 km2. Va ricordato che nel periodo 1970-1985 i g. italiani avevano attraversato una fase di modesta ma generalizzata avanzata. Un terzo censimento, condotto su di una base omogenea (le foto aeree del Volo Italia 1989) portò alla identificazione di 706 g., con una superficie totale di 482 km2. Un confronto con il censimento 1957-58, selezionando i dati considerati omogenei, evidenziava la scomparsa di 39 g. e la perdita di 43 km2. Successivi inventari, più accurati ma parziali, sono stati realizzati nei diversi settori delle Alpi italiane (v. tab. I e tab. II).
Dalla massima estensione raggiunta al culmine della Piccola età glaciale (alla metà del 19° sec.) i g. alpini si sono progressivamente ridotti, con una perdita areale dell'ordine del 50% e una risalita del limite delle nevi di un centinaio di metri. Questa fase di ritiro è stata temporaneamente interrotta, nel 20° sec., da due episodi di riavanzata, il primo culminato intorno al 1920, il secondo nel già citato periodo 1970-1985, quando la maggioranza dei g. era in avanzata. Si è però trattato di episodi effimeri, nell'ambito di una maggiore e prolungata fase di contrazione, che, nel corso degli ultimi decenni, si è ulteriormente accentuata. Particolarmente negativa per i g. alpini è stata la lunga, secca e torrida estate del 2003, che ha prodotto una perdita media per ablazione di 3 m di spessore di ghiaccio. Va pure ricordata, nell'estate del 1991, l'esumazione dei resti mummificati di un uomo preistorico, per progressiva fusione superficiale di un piccolo g. presso il confine austriaco (Vedretta del Giogo Basso), dopo oltre 5000 anni di continuo seppellimento nel ghiaccio. Questo fatto eccezionale documenta che le condizioni attuali di quel g. sono tornate simili a quelle esistenti oltre 5000 anni fa, nella fase più calda dell'attuale periodo interglaciale. A seguito del riscaldamento climatico è pertanto in atto una fase di riduzione dei g. che non ha l'eguale nei tempi storici.
Dal 1990 oltre il 90% dei g. italiani controllati è in ritiro, anche molto accentuato: emblematico è il distacco totale del g. della Brenva dalla sua lingua valliva, avvenuto nell'estate 2004. Si tratta di uno dei maggiori, più noti e visitati g. italiani, ai piedi del Monte Bianco, presso Courmayeur. La fase attuale di ritiro glaciale comporta anche rischi naturali, come la formazione di laghi sopraglaciali (quali il Lago Effimero di Macugnaga, formatosi sul g. del Belvedere nel 2002) o di margine glaciale, temibili per possibili rotte con inondazioni, il crollo di seracchi o di intere parti di un g., come nel caso, prodottosi nel 1998, del g. Coolidge sul Monviso e, più in generale, per aumentate condizioni di instabilità dei versanti nuovamente esposti.
Sviluppo degli studi
Uno dei settori più importanti nello studio dei g. riguarda la valutazione del loro bilancio di massa mediante misure dirette o indirette dei guadagni (principalmente l'accumulo nevoso) e delle perdite (soprattutto per fusione, distacco di iceberg, sublimazione). Esso, infatti, produce informazioni dirette sullo stato di salute dei g., sulla loro risposta ai cambiamenti climatici e permette di valutare il loro contributo alla risalita del livello degli oceani, ritenuto il problema ambientale più grave che l'umanità dovrà affrontare in futuro. Sui piccoli g. montani si procede con ripetute misure dell'accumulo nevoso e dell'ablazione attraverso campi di paline infisse nel ghiaccio, mentre per i più grandi g., e in particolare per le calotte polari, il bilancio di massa può essere effettuato valutando separatamente l'accumulo (in genere con perforazioni di 'carote' di neve e nevato) e le perdite, con la stima del tasso di fusione o del flusso di ghiaccio attraverso una sezione di riferimento. Un altro metodo si basa sulle variazioni volumetriche desunte da ripetute misure areali e altimetriche, dal suolo, da aereo o da satellite. Infine, per le grandi calotte glaciali sono state effettuate anche misure da satellite delle variazioni di gravità, da cui si desumono le variazioni di massa.
Un centinaio di g. montani nel mondo viene annualmente analizzato e i risultati sono raccolti e diffusi dal World Glacier Monitoring Service (WGMS), che fa capo alle Nazioni Unite e alla World Metereological Organization (WMO). La quasi totalità dei g. monitorati ha presentato, nel periodo 1980-1999, un bilancio negativo, con l'eccezione di alcuni gruppi localizzati di g. (per es., in Norvegia), che risentono di cause climatiche regionali, anche quelle connesse al riscaldamento globale. Il bilancio negativo, ulteriormente aggravatosi nel periodo 2000-2003, è la causa dell'accentuata fase di ritiro che, dagli anni Ottanta, caratterizza la maggioranza dei g. montani. Su un numero molto più elevato di g. montani vengono sistematicamente misurate le variazioni frontali, anch'esse raccolte e diffuse dal WGMS. A partire dal 1925 in Italia il CGI annualmente effettua misure delle variazioni frontali (su un centinaio di g.) e, dal dopoguerra, cura l'esecuzione di misure di bilancio di massa (condotte su una decina di ghiacciai).
Più difficili e con larghi margini di incertezza sono le valutazioni del bilancio di massa delle calotte polari. In Groenlandia i dati da misure satellitari effettuate tra il 2000 e il 2005 hanno evidenziato un'accelerazione nel flusso a mare dei g. di sbocco, mentre la regione centrale, al di sopra di 1500 m di quota, si starebbe rigonfiando per accresciute precipitazioni nevose. Nel complesso, la calotta groenlandese risulta essere in perdita, con un contributo alla risalita del livello del mare compreso tra 0,2 e 0,5 mm all'anno. Ancora maggiori sono le incertezze per il bilancio di massa dell'Antartide, ove pure le regioni periferiche sono in perdita, mentre quelle centrali sono in attivo. Tuttavia misure gravimetriche e geodetiche satellitari, effettuate sempre tra il 2000 e il 2005, indicherebbero un bilancio di massa nel complesso negativo anche per l'Antartide, quindi con un contributo positivo alla risalita del livello del mare, sebbene ancora non vi sia accordo sull'entità del fenomeno (da 0,1 a 0,4 mm all'anno). Tra i cambiamenti più significativi prodottisi in Antartide va ricordata l'improvvisa frammentazione e scomparsa di alcune piattaforme di ghiaccio galleggianti della Penisola Antartica (sicuramente presenti e stabili da migliaia di anni), cui ha fatto seguito un aumentato flusso a mare dei g., in precedenza ostruiti dalle piattaforme stesse. Il contributo dei g. montani alla risalita del livello degli oceani si ritiene sia cresciuto raggiungendo il valore di 0,4 mm all'anno nell'ultimo decennio del 20° secolo.
Un altro settore importante dei moderni studi sui g. riguarda il loro comportamento dinamico, ossia le modalità con cui la neve, trasformatasi in nevato e ghiaccio, defluisce dall'area di accumulo all'area di ablazione o alle fronti. Il ghiaccio policristallino dei g., sottoposto a sforzo, si comporta come un solido viscoplastico, seguendo la legge empirica di Glen, per la quale il tasso di deformazione risulta proporzionale al cubo dello sforzo di taglio e inversamente alla temperatura. In un g. lo sforzo di taglio dipende dalla densità del ghiaccio, dall'accelerazione di gravità, dallo spessore del ghiaccio soprastante e dalla pendenza della superficie del ghiacciaio. Pertanto la deformazione sarà maggiore in profondità e ove il g. presenta sia maggiore spessore sia maggiore pendenza. Il movimento dei g., oltre alla deformazione interna (creep), può essere dovuto a scorrimenti lungo piani di taglio e, nei g. temperati o a base bagnata, a scivolamento basale e a deformazione dei materiali al letto, se incoerenti e saturi d'acqua. La velocità del movimento dei g. è massima in superficie e decresce in profondità e verso le sponde. La porzione più superficiale dei g. presenta un comportamento rigido e, sottoposta a estensione o a compressione, si frattura dando luogo ai crepacci.
La velocità dei g. è molto variabile, da pochi millimetri o centimetri all'anno, nelle aree di culminazione della calotta antartica orientale, a 7 km all'anno (g. Jakobshavn Isbrae in Groenlandia). La velocità può variare nel tempo per cause stagionali, climatiche, interne. Taluni g. alternano periodi con comportamento e velocità normali a più brevi periodi con velocità anormalmente elevate (anche 100 m al giorno), nei quali trasferiscono rapidamente il ghiaccio dal bacino di accumulo a valle, avanzando la loro fronte anche di una dozzina di chilometri in pochi mesi (g. Kutiah, nel 1953 in Pakistan). Sono detti surging glaciers (g. galoppanti) e sono relativamente comuni in Alaska, ma osservati in molte altre regioni e catene montuose. Tali fenomeni sono attribuiti a variazioni dell'idrologia nel g.: un aumento della pressione dell'acqua alla base, e conseguente improvviso aumento dello scivolamento basale.
Evoluzione delle tecniche di analisi e monitoraggio
Nel decennio 1995-2005 grande sviluppo hanno assunto in glaciologia le moderne tecniche di telerilevamento da aereo e da satellite, le tecniche geodetiche satellitari e le prospezioni geofisiche in ghiaccio. Con le prime è possibile monitorare nel tempo le variazioni areali e altimetriche della superficie dei g. nonché ottenere informazioni relativamente ai caratteri fisici della neve (dimensione dei cristalli, temperatura, contenuto d'acqua e così via). Questi metodi sono indispensabili soprattutto nello studio dei grandi g. polari e montani, difficilmente accessibili, mentre non posseggono ancora adeguate capacità di risoluzione nello studio dei piccoli g., quali quelli alpini. Le analisi delle immagini da satellite, integrate con misure geodetiche satellitari al suolo (GPS, Global Positioning System), hanno consentito di ricostruire con elevato dettaglio la topografia dei g. e delle grandi calotte, evidenziandone le variazioni nel tempo, e di seguire, per es., le fasi di disgregazione e scomparsa delle piattaforme glaciali galleggianti nella Penisola Antartica o dei grandi g. di sbocco groenlandesi.
Con le tecniche di altimetria radar da satellite e da aereo vengono valutate le variazioni volumetriche delle calotte e dei maggiori g. montani, mentre con tecniche interferometriche e con altre analisi da telerilevamento o con misure geodetiche al suolo vengono effettuate misure delle velocità di scorrimento delle colate glaciali e delle loro variazioni stagionali e nel tempo. Le prospezioni geofisiche sui g. (soprattutto sondaggi radar da aereo e da terra) hanno rivelato i dettagli della loro struttura interna e hanno permesso di ricostruire il loro spessore e la topografia del substrato roccioso su cui appoggiano. In Antartide sono pure stati riconosciuti numerosi laghi subglaciali, anche di grandi dimensioni, quali il Lago Vostok, sotto l'omonima stazione russa, ampio 14 mila km2, profondo fino a 500 m e coperto da oltre 3 km di ghiaccio.
Sui g. sono state condotte numerose perforazioni, sia per esaminare le loro condizioni interne e alla base, in particolare il ruolo dell'acqua nella dinamica glaciale, sia soprattutto per estrarre carote di ghiaccio per studi glaciochimici e paleoclimatici. Il settore delle perforazioni in ghiaccio si è molto sviluppato dagli anni Novanta, grazie alla messa a punto di sistemi di perforazione efficienti, utilizzabili in condizioni difficili di alta quota o con temperature estremamente rigide. Solo i g. freddi, immuni da fenomeni di fusione, si prestano per studi paleoclimatici. Pertanto sono state effettuate perforazioni a carotaggio continuo sui g. montani più elevati, nelle Ande, in Himalaya, nel Tibet, in Cina eccetera. Sulle Alpi carote di ghiaccio sono state estratte dai g. del Monte Bianco e del Monte Rosa, e hanno consentito di ricostruire in grande dettaglio la storia dell'inquinamento atmosferico negli ultimi secoli nel cuore dell'Europa. Perforazioni profonde oltre 3000 m sono state effettuate in Groenlandia e in Antartide.
Le analisi delle carote di ghiaccio consentono di ottenere sequenze temporali di dati sia paleoclimatici sia paleoatmosferici, con risoluzione anche annuale, ove l'accumulo nevoso elevato consente la conservazione dei segnali stagionali. I cristalli di ghiaccio, quando si formano per condensazione in atmosfera, fissano alcune delle caratteristiche fisiche e chimiche dell'aria. Per es., dalla misura del rapporto degli isotopi stabili dell'ossigeno o dell'idrogeno nel ghiaccio si può ricavare la temperatura dell'aria in cui è avvenuta la condensazione. Con altre indagini è possibile ricavare informazioni sull'entità dell'accumulo nevoso, sulla circolazione atmosferica e i percorsi delle perturbazioni, e anche sui caratteri delle superfici oceaniche da cui provengono per evaporazione le precipitazioni nevose, sulla estensione dei ghiacci marini e altro ancora. Deponendosi strato su strato, le nevicate si trasformano in nevato e in ghiaccio, conservando in successione stratigrafica una documentazione dell'evoluzione nel tempo dei caratteri dell'atmosfera e del clima. Sul manto nevoso inoltre si depositano le polveri sospese in atmosfera e il processo di trasformazione della neve in ghiaccio isola bolle d'aria, che si conservano come campioni di 'aria fossile', consentendone l'analisi e la determinazione delle variazioni della composizione chimica. In particolare si possono valutare le variazioni nel tempo della concentrazione dei gas con effetto serra (CO2, CH4, N2O), in connessione alle variazioni della temperatura.
Le carote di ghiaccio finora estratte in Antartide contengono una documentazione continua della storia del clima e dell'atmosfera nell'ultimo milione di anni. La documentazione più dettagliata è quella della perforazione condotta dall'European Project for Ice Coring in Antartica (EPICA), alla quale hanno partecipato dieci nazioni europee con finanziamenti nazionali e dell'Unione Europea. L'Italia (mediante il PNRA, Programma Nazionale di Ricerca in Antartide) ha contribuito significativamente a questa iniziativa, dal punto di vista sia scientifico, sia logistico. La perforazione del progetto EPICA è stata effettuata su una culminazione della calotta dell'Antartide orientale (Dome C) ove sorge la base permanente italo-francese Stazione Concordia, a 3200 m di quota, a oltre 1000 km dalla costa, e la temperatura media annua è di −55 °C, con minime che scendono sotto i −80 °C. Nelle carote di ghiaccio sinora analizzate sono stati riconosciuti otto grandi cicli climatici della durata ciascuno di 100 mila anni circa. Gli ultimi cicli (da 420 mila anni al presente) sono caratterizzati da lunghe fasi fredde glaciali e da brevi fasi calde interglaciali, con una differenza della temperatura media annua tra i due estremi di circa 10 °C. I precedenti cicli (da 800 mila a 420 mila anni dal presente) posseggono analoghe condizioni glaciali, ma mostrano fasi interglaciali più lunghe e meno calde. In fase e proporzionalmente con le variazioni di temperatura sono variate le concentrazioni di taluni gas a effetto serra (anidride carbonica, metano), mostrando che questi tre parametri sono tra loro strettamente connessi. Ciò implica che i gas a effetto serra hanno un importante ruolo amplificatore (feedback positivo) nelle variazioni termiche innescate dalle variazioni dei parametri orbitali terrestri che modulano la distribuzione stagionale e latitudinale dell'energia solare sulla Terra. È inoltre stato documentato che negli ultimi 650 mila anni CH4 e CO2 mai hanno subito un incremento così rapido quale quello verificatosi nel Novecento, né mai hanno raggiunto i valori di concentrazione attuali, per altro in continua ulteriore rapida ascesa, a seguito delle immissioni in atmosfera dei due gas serra prodotti dalle attività umane.
Nelle carote di ghiaccio estratte in Groenlandia è contenuta una documentazione continua e dettagliata delle variazioni climatiche che hanno interessato l'emisfero Nord, a partire da circa 120 mila anni fa. In particolare esse hanno mostrato che durante l'ultima glaciazione (da 110 mila a 11.500 anni fa) si sono prodotte frequenti e accentuate variazioni climatiche di breve durata (un migliaio di anni), iniziate e terminate bruscamente, nel giro di alcune decine di anni. È questa la prova della instabilità del sistema climatico terrestre che può subire cambiamenti improvvisi, innescati da cause interne al complesso sistema climatico. Sia le perforazioni in g. polari sia quelle nei g. montani, come quelle nelle Alpi, hanno documentato come il carico chimico in atmosfera sia aumentato nei tempi storici e, soprattutto, nel corso del 20° sec., a seguito delle immissioni di inquinanti. Nel ghiaccio della Groenlandia così è stato mostrato l'aumento della concentrazione di metalli pesanti già nell'antichità a seguito dello sviluppo dell'attività mineraria e dello sviluppo economico a partire dalla rivoluzione industriale. Nei g. del Monte Bianco e in quelli del Monte Rosa è stato identificato l'aumento di numerose specie chimiche inquinanti nel 20° sec., ma anche il decremento di talune (Pb, SO2 ecc.) a seguito delle norme restrittive introdotte, o la risalita di altre (per es., il platino), in conseguenza dell'introduzione di nuove tecnologie (per es., marmitte catalitiche).
bibliografia
R.C. Bachman, Ghiacciai delle Alpi, Bologna 1980.
La Svizzera e i suoi ghiacciai, Lugano 1981.
R.P. Sharp, Living ice - Understanding glaciers and glaciation, Cambridge 1988.
C. Smiraglia, Guida ai ghiacciai e alla glaciologia, Bologna 1992.
Ghiacciai in Lombardia, a cura di A. Galluccio, G. Catasta, Bergamo 1992.
W.S.B. Paterson, The physics of glaciers, Trowbridge 1994.
D.I. Benn, D.J.A. Evans, Glaciers and glaciation, London 1998.
R. Vivian, Glaciers du Mont Blanc, Montmelian 2001.
G. Orombelli, Il ghiaccio risorsa strategica della montagna, in Atti dei Convegni Lincei, 196, Roma 2003.
EPICA Community Members, Eight glacial cycles from Antarctic ice core, in Nature, 429, 2004.