GHIDONI, Matteo, detto Matteo de' Pitocchi
Nacque intorno al 1626 e probabilmente non a Firenze (Bortolini) ma a Padova (Donzelli - Pilo), perché veneto è il linguaggio della sua pittura e, soprattutto, perché in questa città fu sempre documentato, a partire dal 1652.
Il problema della formazione del G. è destinato a rimanere aperto. Nessuna delle fonti locali dà conto di un suo alunnato presso maestri patavini; constatare la derivazione di qualche sua opera dalle incisioni di J. Callot, peraltro molto diffuse al di là dei confini toscani, è insufficiente per ipotizzare un periodo formativo trascorso a Firenze (Gregori, 1961). Semmai, quei motivi callottiani presenti in alcuni dei suoi dipinti (Binotto, p. 122) sembrano derivati da un orientamento di gusto e di ispirazione complessiva più che da un diretto rapporto di filiazione. La pittura del G., detto il Pitocco "perché nelle sue rappresentazioni amava introdurre questa sorta di gente" (Brandolese, Pitture…, p. 293), è caratterizzata dunque dalla frequentazione di un genere, quello del "pitocchismo", altrove piuttosto diffuso, ma a stento rintracciabile a Padova, dove tra gli anni Trenta e Cinquanta del secolo sono attivi maestri, come G.B. Bissoni e P. Damini, ancora profondamente legati a moduli tardomanieristi di matrice tintorettesca. D'altro canto, però, nei primissimi anni Cinquanta del XVII secolo a Venezia e a Bergamo il danese Eberhard Keil, allievo di Rembrandt e altrimenti noto come Monsù Bernardo, andava proponendo soggetti simili a quelli che nello stesso tempo il G. si apprestava ad affrontare, e che avrebbe frequentato durante tutto l'arco della sua produzione.
Nel 1652 si avviava un trentennale rapporto di collaborazione tra i francescani della basilica del Santo e il G., che a questa data ricevette compensi per alcuni non meglio specificati lavori decorativi nella zona del coro (Sartori, 1976, p. 410), sulle pareti e sulle cantorie, all'interno di un complessivo intervento volto a riqualificare l'area presbiteriale, avviato a partire dal 1651 e del quale nulla rimane a seguito dell'incendio del 1749 e delle ristrutturazioni ottocentesche. L'importante commissione dovette avere ripercussioni significative sulla fortuna del G., le cui opere, piuttosto precocemente, entrarono in alcune raccolte private cittadine.
È il caso della collezione di Giannicola Marini, stimata tra il 1650 e il 1655 da Marcantonio Bonacorsi, Pietro Ricchi e Francesco Viacavi da Reggio che, nell'occasione, stilarono un elenco dove figuravano due "quadretti" del G., tra cui un ritratto "dal naturale" (Id., 1964, p. 279). Fu un genere, questo, non molto frequentato dal G., che comunque lo rivisitò secondo quel gusto plebeo così centrale in tutta la sua pittura e rintracciabile nella Testa di mendicante o Pitocco della collezione Emo Capodilista oggi al Museo civico di Padova.
Tipica espressione dell'incontro tra il gusto dei collezionisti e le scelte del pittore, il cui "maggior talento - secondo Lanzi (1808) - era rappresentar mendichi, de' quali in Venezia, in Vicenza, in Verona e altrove esistono nelle gallerie de' signori teste e anche quadri" è la serie "di pitocchi" della collezione Ferri di Padova (Donzelli - Pilo): sette dipinti aventi per soggetto Scene villerecce e di taverna, affini stilisticamente e per tematica affrontata ai due Pitocchi della Tosio-Martinengo di Brescia e alla Piazza dei frutti del Museo civico di Padova.
In quest'ultimo dipinto, al vivace realismo della scena brulicante di personaggi colti in vari atteggiamenti, si affianca la volontà, forse dettata dalle esigenze della committenza, di collocare con esattezza topografica - la piazza del Peronio - quel mondo di miseri, raggiungendo un esito che isola questa tela all'interno della produzione da cavalletto del G., dove spesso le scene, frammentate in singoli episodi, sono ambientate in uno spazio aperto, in parte, su un paesaggio che sfuma coloristicamente verso l'orizzonte, e, in parte, chiuso da un fondale scenico di rovine architettoniche.
Entro questa produzione destinata al mercato del collezionismo privato si devono anche collocare alcuni dipinti attribuibili al G. (Pallucchini), quali il Concerto di pitocchi e la Scena di pitocchi in raccolta privata padovana (Fantelli, 1978-79), due tele in collezione bassanese (Binotto, p. 124), e la Parabola dei ciechi della collezione Romanelli di Parigi (Donzelli - Pilo); ma anche i quattro quadretti della raccolta Emo Capodilista - Donna con bimbi, Viandante con bastone, anfora e cane, Viandante zoppo con cappello, Straccione - ispirati alle acqueforti di Callot della serie Gueux et mendiants (Banzato). La dipendenza da modelli callottiani è stata anche riscontrata nelle otto tavolette di formato ovale del santuario di Monte Berico di Vicenza (Binotto, p. 122); nei dipinti della Querini-Stampalia di Venezia, la Zuffa di contadini, il Medico ciarlatano, le Feste campestri, e i Viandanti; nonché nelle due scene di genere della Pinacoteca dell'Accademia dei Concordi di Rovigo, ovvero i Birbanti in un'osteria e i Questuanti del lascito Silvestri. Qui si vede, però, quanto quel grafismo che si vorrebbe imputare alla sola conoscenza e frequentazione dell'opera del lorenese sia in realtà molto vicino, anche per ispirazione tematica, agli esiti raggiunti da D. Fetti (Ruggeri), o dallo stesso G. Mazzoni, come dimostra l'Allegoria dell'inverno (Safarik), del Museo civico di Treviso dove si conservano due dipinti, i Bevitori e i Suonatori, pure attribuiti al G. (Menegazzi).
Ancora, si devono considerare, oltre a un disegno ricondotto al G. e conservato all'Ossolineum di Breslavia, tutti i dipinti ricordati dalle fonti in raccolte private veneziane, come i due quadretti appartenuti a Francesco Bergonzi e indicati nell'inventario stilato dal figlio Giorgio nel 1709; padovane, come quella di Alessandro Tagliaferri (Sartori, 1964); e le rodigine, ricordate dal Bartoli (p. 247), tra cui, oltre alla raccolta Silvestri, si devono annoverare quelle dei Durazzo, dei Marangoni e dei Muttoni.
Nell'insieme, dunque, questi dipinti definiscono un'attività pittorica destinata a soddisfare le esigenze di una precisa tipologia di collezionismo, oltre a essere un'importante testimonianza della notorietà del G. nel campo della pittura di genere. Sempre per un privato, intorno alla metà degli anni Sessanta il G. eseguì il Trionfo della Verità sulla Menzogna (Padova, Museo civico), un soggetto di natura allegorica raro ma non unico all'interno della sua produzione (Fantelli, 1978-79, p. 162), affrontato con quel suo tipico modo di far risaltare le figure da un fondo denso e bituminoso attraverso improvvise note di colore e lampi di luce, che tanto deve alle contemporanee esperienze dei cosiddetti tenebrosi, così profondamente impressionati dalle prove lasciate alla metà del secolo da L. Giordano durante il suo breve soggiorno lagunare.
Su questi stessi registri, il G. impostò la sua produzione religiosa pubblica. Per la chiesa padovana di S. Tommaso Cantauriense realizzò una lunetta, alla destra dell'organo, con i Ss. Filippo Neri e Felice cappuccino, collocabile intorno alla metà del settimo decennio (ibid., p. 163), quando cioè nell'attigua cappella del Sacro Cuore era attivo Francesco Zanella, cognato del G. e artista di una certa rilevanza se nel 1674 ricopriva la carica di primo gastaldo della fraglia padovana dei pittori, tra i quali a quella data è annoverato anche il G. (Bortolini).
Allo stesso periodo dovrebbe risalire anche la tela con i Ss. Antonio Abate e Paolo Eremita della Pinacoteca dei Concordi di Rovigo, che il Bartoli (p. 62) ricorda, con un'attribuzione ad Angelo Trevisani, nella chiesa cittadina di S. Francesco (Fantelli, 1985, p. 73). E nel 1667 il G. venne impegnato al Santo nell'esecuzione di un S. Giovanni Battista, perduto, su uno dei pilastri della cappella del Santissimo, restaurata a partire dal 1651 sotto la direzione di Lorenzo Bedogni da Reggio. Contemporaneamente, lavorò all'importante commissione dei teatini di S. Gaetano, ovvero alle tre tele raffiguranti la Guarigione del paralitico (un lunettone adattato a soprarco), la Cena in Emmaus e Gesù sul lago di Genezareth, che sono parte di un vasto ciclo cristologico per la cappella del Sepolcro realizzato da numerosi artisti, fra cui lo stesso Zanella.
Qui, la presenza di opere di Palma il Giovane e di A. Maganza, nonché dei due pittori più noti attivi in città nella prima metà del Seicento, Bissoni e Damini, amplifica nel G. una tendenza, già presente nelle sue scene di genere, a coniugare i modi derivati dalla conoscenza della pittura di impronta "realista" e "tenebrosa" a formule compositive di matrice tardomanierista, maturate e rese più esplicite nella successiva produzione, nonché in due piccoli dipinti di soggetto religioso, e oggi sul mercato antiquario, Cristo che scaccia i mercanti dal tempio e la Piscina probatica (Finarte, 1976). Temi e stile sono avvicinabili a quelli di altre tele, destinate a un collezionismo di opere sacre legato ad alcuni religiosi, come sembra dimostrato per gli stessi frati del Santo. Nel 1702 morì padre Felice Rotondi, illustre teologo e docente dell'Università di Padova, già generale dell'Ordine dei frati minori, e i suoi averi, tra cui un'Assunta del G., non meglio identificata, vennero assegnati per sorteggio ai confratelli (Baldissin Molli); ancora oggi nel convento si conservano due suoi quadri, Mosè e le figlie di Jetro, e una Scena biblica di difficile identificazione (Benedettucci), entrambi di piccolo formato e di indubbia destinazione privata. A questi si devono aggiungere il Cristo e l'adultera in collezione privata padovana (Binotto, p. 120); o l'Eleazaro e Rebecca della Pinacoteca di Vicenza, tutti collocabili entro gli anni Settanta del Seicento.
Sul finire del settimo decennio, o forse agli inizi dell'ottavo, si pone l'altra importante commissione dei servi per la loro chiesa patavina dedicata alla Natività di Maria. All'interno di un programma di decorazione complessivo, il G. partecipò con la realizzazione di alcuni dipinti destinati a parti diverse dell'edificio (Arslan): per un altare laterale realizzò la Natività della Vergine, un "notturno" nel quale la ricerca di effetti luministici propria del G. trova una concreta attuazione indotta dalla stesso soggetto; al contempo, per i confratelli della Scuola del Crocifisso dipinse Il miracolo del Crocifisso - posto su una delle pareti laterali della cappella omonima - dove l'episodio avviene entro un orizzonte cittadino, determinato dallo sfondo con la veduta in lontananza di Padova. Inoltre, ai lati dell'ingresso principale erano originariamente collocati due quadri mariani, Il miracolo del ritratto e Il miracolo della ruota, posti attualmente sulle pareti destra e sinistra del presbiterio.
Queste due grandi tele di dimensioni identiche mostrano, più che altrove, un debito nei riguardi della grande stagione tardomanierista: i caratteristici personaggi del G. sono inseriti entro un ampio scenario di reminiscenza palmesca, ma il suo "blando barocchismo" (Fantelli, 1988, p. 20), grazie alla costante ricerca di tensione chiaroscurale, si avvicina anche alla pittura, per esempio, di G.B. Langetti, attivo a Padova proprio alla metà degli anni Settanta del Seicento, e di quei "tenebrosi" - quali Antonio Zanchi, J.C. Loth e lo stesso Giordano - che, a partire dal 1673, realizzarono dipinti per gli altari della chiesa di S. Giustina.
Questi aspetti sono presenti anche nella produzione extra moenia del G., ricordata per la città di Lendinara. Per il santuario della Madonna del Pilastrello di Lendinara eseguì un dipinto votivo, ora in sagrestia, nel quale è rappresentato l'omaggio reso da un pubblico rappresentante, anonimo, alla Vergine e alla personificazione di Lendinara; e due dipinti per la chiesa di S. Sofia, una Madonna con Bambino e santi, oggi in sagrestia, e una Madonna con Bambino e le anime purganti, ancora sul primo altare a destra, di discussa attribuzione.
Ultimo episodio noto del G. è ancora un intervento al Santo, quando nel 1684 fu impegnato a realizzare, per uno dei chiostri del convento, l'Albero della Religione di s. Francesco, oggi nella sala dello studio teologico per laici (Donzelli - Pilo).
Il 24 genn. 1689 "Matteo Ghidoni detto delli Pitochi Pittor d'anni 63 incirca" venne sepolto a Padova nella basilica del Santo (Bortolini, p. 286).
Fonti e Bibl.: F. Bartoli, Le pitture… di Rovigo, Venezia 1793, pp. 62, 201, 212, 219, 247, 293; P. Brandolese, Pitture, sculture, architetture ed altre cose notabili di Padova, Padova 1795, pp. 65 s., 142, 147, 292 s.; Id., Del genio de' Lendinaresi per la pittura (1795), a cura di V. Sgarbi, Rovigo 1990, ad indicem (P.L. Fantelli, rec. in Padova e il suo territorio, VI [1991], 31, p. 45); L. Lanzi, Storia pittorica della Italia (1808), a cura di M. Capucci, II, Firenze 1970, p. 132; W. Arslan, Inventario degli oggetti d'arte d'Italia, VII, Provincia di Padova. Comune di Padova, Roma 1936, pp. 110 s., 151, 159; L. Grossato, Il Museo civico di Padova, Venezia 1957, p. 125; Disegni veneti in Polonia (catal.), a cura di M. Mrozinska, Venezia 1958, p. 34; M. Gregori, in Mostra dei tesori segreti delle case fiorentine (catal.), Firenze 1960, p. 52; Id., Nuovi accertamenti in Toscana sulla pittura caricata e giocosa, in Arte antica e moderna, IV (1961), pp. 411, 416; L. Menegazzi, Il Museo civico di Treviso…, Venezia 1964, p. 171; A. Sartori, Lodovico Gargano detto il monaco benemerito frate del Santo, in Il Santo, IV (1964), pp. 277, 279; S. Savini Branca, Il collezionismo veneziano nel '600, Venezia 1965, pp. 171, 178; G. Bortolini, Precisazioni archivistiche sul pittore M. G. detto "dei Pitocchi", in Arte veneta, XX (1966), pp. 286 s.; C. Donzelli - G.M. Pilo, in I pittori del Seicento veneto, Firenze 1967, pp. 332-334; U. Ruggeri, Le collezioni pittoriche rodigine, in L'Accademia dei Concordi di Rovigo, Vicenza 1972, pp. 71 s.; E.A. Safarik, Per la pittura veneta del Seicento: Sebastiano Mazzoni, in Arte veneta, XXVIII (1974), pp. 163, 167; Finarte. Asta di dipinti dal XV al XVIII secolo, Milano, 25 nov. 1976, p. 12; A. Sartori, Documenti per la storia dell'arte a Padova, Vicenza 1976, pp. 410, 538; P.L. Fantelli, Pittura minore padovana del Seicento: Matteo de' Pitocchi, in Atti dell'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, classe di scienze morali, lettere ed arti, CXXXVII (1978-79), pp. 159-164; M. Dazzi - E. Merkel, Catalogo della Pinacoteca della Fondazione scientifica Querini-Stampalia, Vicenza 1979, pp. 64-66; La Pinacoteca dell'Accademia dei Concordi, a cura di A. Romagnolo, Rovigo 1981, pp. 110, 261; R. Pallucchini, La pittura veneziana del Seicento, Milano 1981, pp. 287-289; P.L. Fantelli, in Catalogo della Pinacoteca dell'Accademia dei Concordi di Rovigo, Vicenza 1985, pp. 72 s.; D. Banzato, La quadreria Emo Capodilista, Roma 1988, pp. 130 s.; P.L. Fantelli, Appunti di storia della pittura a Padova nel Seicento, in Padova e il suo territorio, III (1988), 14, pp. 20-22; Id., in La pittura in Italia. Il Seicento, Milano 1989, II, pp. 760 s. (con bibl.); F. Benedettucci, in Basilica del Santo. Dipinti, sculture, tarsie, disegni e modelli, a cura di G. Lorenzoni - E.M. Dal Pozzolo, Padova 1995, pp. 147-149; M. Binotto, Per M. G. pittore di "Calcate osterie, stuolo d'imbriaconi e genti ghiotte", in Boll. del Museo civico di Padova, LXXXIV (1995), pp. 113-129; G. Baldissin Molli, Nuovi documenti e alcune aggiunte alla storia del Museo antoniano, in Il Santo, XXXVI (1996), pp. 504, 509; S.A. Colombo, in Da Caravaggio a Ceruti. La scena di genere e l'immagine dei pitocchinella pittura italiana (catal., Brescia), a cura di F. Porzio, Milano 1998, pp. 422 s., 477 s.; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXVII, pp. 115 s.