ghiotto (ghiottone, secondo la nota alternanza presente anche in ‛ ladro ' - ‛ ladrone ', ecc.)
E usato soltanto nella Commedia e nel Fiore. Il senso proprio di " avido di cibo " è documentato, sempre in costrutti metaforici, in Pg XXXII 74 li angeli... ghiotti del pome (" visione beatifica ") del melo (" Cristo "), e in Pd XI 125 Ma 'l suo pecuglio di nova vivanda / è fatto ghiotto, cioè il gregge di s. Domenico (i frati dell'ordine domenicano) è diventato avido di " cibo diverso da quello ammannito dalla Regola: onori mondani e lucrose cariche " (Mattalia); analogamente in Fiore CIII 14.
Più di frequente il termine è usato nel senso figurato di " avidamente desideroso ", " bramoso ": If XVI 51 vinse paura la mia buona voglia / che di loro abbracciar mi facea ghiotto; Pg VIII 85 Li occhi miei ghiotti andavan pur al cielo; XVI 101 gente... / ghiotta (di beni materiali); XVII 122 de la vendetta ghiotto; XX 105 la voglia sua [di Pigmalione] de l'oro ghiotta.
La forma ‛ ghiottone ' si registra, come aggettivo sostantivato, in If XXII 15 Noi andavam con li diece demoni. / Ahi fiera compagnia! ma ne ta chiesa / coi santi, e in taverna coi ghiottoni, cioè con gli " scioperati ", " ribaldi ", " furfanti ", secondo una delle accezioni, ampiamente documentata, del termine nel linguaggio del tempo: così, in genere, i commentatori moderni; gli antichi, invece, intendono per lo più " golosi ". L'espressione proverbiale, fondata sul principio del simile con simile, è così giustificata dal Landino nel contesto dantesco: " non per golosità, perché non è mai lecito usare col vizioso per commetter vizio, ma per prendere el cibo necessario... Essendo D. nello Inf., e avendo bisogno di guida, era necessario che seguitasse e demonii ".