VILLA, Ghiron Francesco
– Nacque in data imprecisata, intorno al 1617, presumibilmente a Torino, da Guido (v. la voce in questo Dizionario) e dalla marchesa Anna Delibera Valperga Asinari, prima dama d’onore di madama reale Cristina di Borbone, governante del principe e futuro duca Carlo Emanuele II nonché delle principesse sue sorelle.
Il nome di battesimo registrò in maniera sintomatica la doppia provenienza del bambino: Ghirone era peculiare e tradizionale dei Valperga, antichissima casata dell’aristocrazia feudale piemontese; Francesco si chiamava il nonno paterno ferrarese. Nonostante gli interessi patrimoniali che sempre legarono i Villa anche a Ferrara, l’educazione di Ghiron Francesco ebbe luogo alla corte di Torino. Un prezioso ritratto anonimo (accostato ai modi di Van Dyck), collocato attorno al 1637 e tuttora conservato presso la Pinacoteca nazionale del palazzo dei Diamanti di Ferrara, lo ritrae giovinetto, al massimo ventenne, con lo sguardo altero e un poco sprezzante, l’abito militare di gala e gli enormi stivali da soldato; alla sinistra di chi guarda sbuca di taglio un palafreniere (quasi un nano alla maniera di Velazquez) che tiene per le redini un magnifico destriero, fedele compagno di chi – come già il nonno e il padre prima di lui – aveva davanti a sé una carriera luminosa nelle truppe di cavalleria.
L’11 novembre 1629 il padre Guido ringraziò il duca Vittorio Amedeo I e la duchessa Cristina per «l’accomodamento col marchese Bevilacqua» e con il duca di Modena per il fidanzamento del figlio con la nobile ferrarese Camilla Bevilacqua. Come il padre, Ghiron scrisse migliaia di lettere alla corte di Torino (1864 sono le missive conteggiate per il solo periodo 1641-50), particolarmente alla reggente Cristina di Francia con la quale ebbe un rapporto stretto e confidenziale. Le prime disponibili risalgono appunto al 1641, quando fu nominato colonnello di cavalleria. Da quell’anno, con frequenti spole a Ferrara specialmente nei periodi festivi, e fino almeno a tutto il 1659 trascorse lunghi periodi nel presidio di Asti risiedendo nel rione Cattedrale e gestendo beni e proprietà in loco. Anch’egli fu immerso nei «presenti garbugli di guerra» (Archivio di Stato di Torino, Corte, Lettere di particolari, V, mz. 29, da Ferrara, 3 ottobre 1642) e con le sue truppe di cavalleria combattè per tutti quegli anni tra l’Astigiano e il Monferrato in stretto contatto con i principi Tommaso e Maurizio di Savoia. Fu assai attivo nella mobilitazione delle milizie, nella costruzione di ponti di barche, nel contrasto all’esercito spagnolo anche grazie al controllo di un sistema di spionaggio fra Piemonte e Milanese. Nel 1644 sventò un nuovo possibile assedio alla città di Asti e lì si occupò dell’allestimento di un ospedale per i soldati feriti presso il convento dei carmelitani scalzi, «essendo questa piazza frontiera che continuamente ha la guerra in casa» (Asti, 16 agosto 1647). Nel 1648 assediò brevemente la terra di Spigno.
In contatto diretto con il cardinale Mazzarino, fu uno dei capi del partito filofrancese della corte di Torino e acerrimo nemico del marchese di Caracena, governatore dello Stato di Milano contro i cui uomini combattè aspramente. Dopo aver dato notizia alla duchessa della morte del padre Guido a Cremona (agosto 1648), ne ricevette tutti gli incarichi, gli emolumenti e gli onori avendo anche occasione, nel 1652, di compiere un’ambasciata a Mantova in occasione della visita dell’arciduca e dell’arciduchessa di Innsbruck; allora assistette alla «Teti, opera in musica», partecipò a cene «all’Allemana», prese parte a tornei a cavallo nel suo ruolo di mediatore, anche culturale, fra l’ambiente estense, quello gonzaghesco e quello sabaudo (ibid., mz. 30, al duca Carlo Emanuele II, Mantova, 10 febbraio 1652). L’abilità di Villa fu determinante nelle sanguinose e costose campagne dei primi anni Cinquanta del secolo. Fu lui, all’inizio di settembre del 1652, a recuperare la piazza di Crescentino la quale, insieme con Trino, era stata presa dagli spagnoli comandati da Caracena, voltosi poi all’ennesimo assedio di Casale, che sarebbe capitolata il 22 ottobre.
Un episodio determinante ebbe luogo a Castagnole delle Lanze il 24 settembre 1653, quando lui e l’amato cugino Galeazzo, figlio dello zio Giovanni Villa, furono feriti durante un’incursione spagnola. Ghiron non riportò gravi conseguenze, ma il cugino restò fra la vita e la morte per alcuni giorni: non solo egli volle che si tentasse di salvarlo mediante il contatto miracoloso con i preziosi resti di Francesco Xavier (il 4 ottobre ringraziò la reggente perché «le reliquie sono gionte in tempo che il marchese Galleazzo mio cugino tiene bisogno estremo dell’assistenza divina giacché tutti i cirugici lo davano spedito in poco spazio di tempo [...] li è stata aspersa la ferita con l’olio di San Francesco Xaverio»), ma per sciogliere il voto fatto alla Vergine affinché guarisse, fece erigere in Asti la chiesa della Consolata, che costituisce una delle più significative testimonianze del barocco nel capoluogo piemontese.
È stato stimato che, intorno al 1650, Galeazzo Villa guadagnasse 7500 lire come generale di cavalleria, 2000 lire come capitano di corazze, 1500 per la carica di capitano degli archibugieri, percependo anche un vitalizio di 5016 lire, per un totale di 16.016 lire annue (Barberis, 1988, p. 118). Non meno si può conteggiare per Ghiron Francesco il quale, memore dell’esperienza del 1653, il 17 giugno 1656, a Torino, stese e firmò il suo testamento, ben consapevole «dell’immense grazie fattemi dalla Divina Misericordia et specialmente d’avermi sin qui preservato da tanti pericoli ne’ quali, durante queste et calamitosi tempi, ho sì sovente esposta la mia vita» (Archivio di Stato di Torino, Sez. Riunite, Testamenti pubblicati del Senato, vol. XI, c. 318).
Era ugualmente cosciente del fatto che la sua morte improvvisa avrebbe potuto, date le cariche di massimo prestigio che ricopriva e le ricchezze che ne conseguivano, «recare molto pregiudicio alla mia famiglia et successori e [far] sorgere diverse dispute, liti et querele». Votandosi dunque alla Vergine Maria e ai suoi santi protettori Giovanni, Francesco e Antonino, disponeva che il suo cadavere fosse «senza pompa né spesa depositato sotto la sagristia della chiesa maggiore di Camerano ove riposano i corpi delle furono mia madre et ava materna, col cuore del fu mio padre», legando la sua memoria alla tomba di famiglia in terra piemontese.
Tuttavia non erano dimenticate le origini del casato paterno per onorare le quali il testatore stanziava 4000 ducatoni per allestire un «deposito [...] a Ferrara, nella chiesa dei Reverendi padri di San Francesco, nella cappella contigua al claustro, ove riposano l’ossa di parte de’ miei antenati [...] in memoria et onore del sopradetto fu signor marchese Guido mio padre» (c. 319r). Fatto ciò, vi sarebbero state trasportate «segretamente» le spoglie di tutti e tre, «con una semplice inscrizione che dia notizia delle mie azioni et vita» (ibid.). Il «singolarissimo affetto» per la moglie Camilla Bevilacqua, che gli aveva prestato «amorevole assistenza in varie pericolose infermità», si concretizzava nella cessione dei «molini nuovi quali ho fatto fabricare nella città di Asti» (c. 319v), di tutte le «gioie che tiene et è stata solita di portare, consistenti tanto in perle grosse et piciole, catena et boeta di diamanti», dell’argenteria delle dimore di famiglia, del mobilio e di tutte le «tapezzarie» (c. 320r), con facoltà di abitare sia nel palazzo di Torino, sito nella «Piazza Reale», sia nella casa di Ferrara, «detta il Pallazo de’ Diamanti» (c. 320v). Altra importante beneficiaria era la sorella Silvia, vedova del marchese Francesco Emanuele Solaro di Moretta, conte di Dogliani, generale dell’artiglieria sabauda e, come Guido e Ghiron Francesco Villa, già governatore della città e provincia di Asti; a lei andavano tutti i beni e le cascine di Camerano Casasco e Monale, nonché il castello di Piea acquistato dalla famiglia Roero, con facoltà di trasmetterli in primogenitura al figlio Ludovico Solaro di Moretta, «nipote mio amatissimo» (c. 322v).
Altri beni feudali erano destinati, sempre con diritto di primogenitura, al nipote Paolo Emilio San Martino di Parella, figlio del marchese Alessio, cavaliere dell’Annunziata, custode della guardaroba del duca e governatore del ducato di Aosta e della provincia di Ivrea, e della defunta sorella Margherita Villa, mentre ai nipoti Giovan Battista Solaro e Giuseppe San Martino, sarebbero stati donati alcuni dei suoi cavalli prediletti. Era infine designato erede universale Galeazzo Villa, «primo scudiero di Sua Altezza Reale, suo gentiluomo di camera e colonnello di corazze straniere» (c. 327r), figlio dello zio Giovanni – fratello di Guido – e della nobile dama ferrarese Camilla Gualengua. Il cugino fraterno avrebbe dovuto occuparsi anche del dignitoso sostentamento di Ippolito Villa, «mio fratello naturale» mediante i proventi delle proprietà di Volpiano (c. 326v), e avrebbe avuto diritto di trasmettere tutto il patrimonio Villa alla sua discendenza maschile e femminile. Tutto ciò sempre che gli eredi indicati si fossero comportati rettamente «perché a me sono sempre piaciute le azioni virtuose et amorate, et al contrario ho avuto et ho in odio le persone facinorose» (c. 330r). Esecutori testamentari sarebbero stati niente meno che la reggente Cristina di Francia e «il cardinale che pro tempore sarà legato di Sua Santità in detta città di Ferrara» (c. 330v).
In realtà, la gloriosa carriera militare di Villa – che in quello stesso 1656 incontrò anche la regina Cristina di Svezia al campo di Pontestura – proseguì senza incidenti, divenendo, di fatto, internazionale. Tale era la sua fama, tale il sostegno di Francia, tali i suoi radicamenti con il contesto pontificio nelle Romagne che fu scelto, stipendiato dalla Repubblica di Venezia, quale generale delle truppe di quest’ultima all’assedio di Candia (1648-69). Lo testimonia il notevole reportage celebrativo steso dal secretario e consigliere del duca Carlo Emanuele II Giovan Battista Rostagno, che lo seguì sul posto. Dai Viaggi dell’illustrissimo et eccellentissimo sign. marchese Ghiron Francesco Villa in Dalmatia e Levante... (1668) si apprende che fu Mazarino, nel 1660, a suggerire al giovane Luigi XIV di inviarlo a servizio di Venezia. Villa non partì che nel 1665: il 3 ottobre tenne un discorso al Senato veneziano, quindi si imbarcò per Rovigo e per Ancona, al fine di visitare il santuario di Loreto. Da quella sponda dell’Adriatico passò all’altra: Zara, Cattaro, Cefalonia, Corfù, Curzola, fino a Candia dove le galere e le truppe passate in rassegna da Villa giunsero l’11 marzo 1666.
La descrizione delle milizie impegnate e delle manovre belliche contro i turchi è assai dettagliata; Villa, insieme con il cugino Francesco, appare protagonista di numerose imprese senza che manchi, tuttavia, la resa della coralità dell’azione militare e della (disperata) regia veneziana mediante ordini e dispacci di cui è trascritto il testo. Dopo due anni indefessi di scontri, Villa, «difensore sì amato» (Rostagno, 1668, p. 398), fu richiamato al servizio del duca di Savoia e partì dall’isola il 22 aprile 1668, lasciando una relazione di suo pugno sullo stato delle fortificazioni e venendo salutato da sonetti composti in suo onore (Candia lagrimante nella partenza del signor marchese Villa, ibid., p. 382). Il viaggio a ritroso, via Zante e Venezia con una tappa a Ferrara, si concluse il 31 luglio nel suo feudo di Cigliano. Da lì sarebbe rientrato a Torino per operare ancora a corte come consigliere di Stato.
Il testamento fu aperto a Torino il 5 giugno 1670, poche ore dopo la sua morte. A ereditare tutto fu lo zio Giovanni, con le ampie facoltà di usufrutto concesse alla moglie Camilla che sarebbe sopravvissuta al marito fino al 1687.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Torino, Corte, Materie politiche per rapporto all’interno, Lettere di particolari, V, mzz. 29-33; B, mz. 85 (lettere di Camilla Bevilacqua); Archivi privati, Archivio Asinari di San Marzano, mzz. 1-3; Sez. Riunite, Testamenti pubblicati del Senato, vol. XI, cc. 318r-331v; Archivio di Stato di Asti, Insinuazione, regg. 151, c. 497, 3 agosto 1646; 155, c. 101v, 9 settembre 1649; 159, c. 539, 10 ottobre 1654.
G.B. Rostagno, Viaggi dell’illustrissimo et eccellentissimo sign. marchese G.F. V. in Dalmatia e Levante con la distinta relazione de’ successi di Candia per il tempo che fu dal medesimo diffesa in qualità di generale dell’infanteria della Serenissima Repubblica di Venezia descritti et occularmente osservati dal consigliere e secretaro di Stato e finanze di S.A.R. Giovan Battista Rostagno, Torino 1668; A. Manno, Il patriziato subalpino..., XXVII, s.l. s.d. [19...], p. 231; W. Barberis, Le armi del principe. La tradizione militare sabauda, Torino 1988, pp. 118 s.; C. Rosso, Il Seicento, in P. Merlin - C. Rosso - G. Symcox - G. Ricuperati, Il Piemonte sabaudo. Stato e territori in età moderna, in Storia d’Italia, diretta da G. Galasso, VIII, 1, Torino 1994, pp. 171-267 (in partic. p. 257); G.B. Vassallo, Annali che contengono diversi avvenimenti in Casale Monferrato et altrove (1613-1695), a cura di A. Galassi - B.A. Raviola - R. Sarzi, Mantova 2004, cc. 22v-25r, 35r; D. Maffi, Il baluardo della corona. Guerra, esercito, finanze e società nella Lombardia seicentesca (1630-1660), Firenze 2007, pp. 51, 52 nota; B.A. Raviola, 1613-1797. Asti e il suo territorio in età moderna, in Nella città d’Asti, in Piemonte. Arte e cultura in epoca moderna (catal., Asti), a cura di A. Marchesin et al., Genova 2017, pp. 47-69 (in partic. pp. 50, 54-57); B.A. Raviola - V. Lapierre, scheda n. 12, Ritratto di G. F. V., ibid., pp. 210 s.; B.A. Raviola, Sul confine: frontiere d’acqua e d’armi tra il Ducato di Milano e il Piemonte sabaudo nella prima età moderna, in Milano, città d’acqua e di ferro. Una metropoli europea fra XVI e XIX secolo, a cura di A. Dattero, Roma 2019, pp. 49-64.