Già non m'agenza, Chiaro, il dimandare
. Sonetto (Rime dubbie XXII) che fa parte - con Tre pensier' aggio, onde mi ven pensare (XX) di D., con Per ver' esperienzia di parlare (XXI) e Se credi per beliate o per sapere (XXIII) di Chiaro Davanzati - di una piccola tenzone trascritta nei codici Marciano it. IX 191 e nel suo derivato Magliabechiano VII 1187.
Nei manoscritti non c'è specificazione del cognome; l'attribuzione all'Alighieri, puramente ipotetica, sembra comunque per ragioni lessicali e stilistiche (cfr. soprattutto le considerazioni del Bertacchi e del Contini) da porre fortemente in dubbio; da preferire appare senz'altro l'identificazione con Dante da Maiano, ché " la maniera delle due proposte è chiaramente quella del maianese " (Menichetti).
Costruito sulle medesime rime dei due precedenti (ABAB ABAB CDC DCD), il sonetto è tutto intessuto di provenzalismi, d'immagini e situazioni piuttosto topiche nella lirica cortese, e non mostra grandi doti di originalità; la similitudine ‛ ornitologica ' della chiusa " rientra nell'armamentario occitanico dei bestiarî... e trova rispondenze affini in Dante da Maiano " (Contini).
D. non accetta il consiglio datogli da Chiaro di chiedere amore arditamente, e dice di preferire amare e non cherere (v. 2) e stare desioso nel desio (v. 4), giacché il compimento del desiderio rende l'uomo di valer non mai sì desioso (v. 10), come il desiderio appagato rende il canto dell'uccello innamorato noioso a chi l'ascolta.
Bibl. - G. Bertacchi, Le Rime di Dante da Maiano ristampate ed illustrate, Bergamo 1896; Contini, Rime 219-220, 223-224; Chiaro Davanzati, Rime, a c. di A. Menichetti, Bologna 1965, 371, 374; Mostra di codici ed edizioni dantesche, Firenze 1965, 41-42; Barbi-Pernicone, Rime 692-695; Dante Da Maiano, Rime, a c. di R. Bettarini, Firenze 1969, 208-209, 216-217.