WERT, Giaches
de. – Nacque intorno al 1535, presumibilmente a Gand, ove nel 1556 risiedevano i genitori, secondo un’attestazione di Wert stesso documentata dall’arciprete di S. Stefano di Novellara, Leandro Bracciolo. Un atto notarile steso il 13 ottobre 1559 da Pietro Maria Bianchi lo dichiara originario «de Gante de Flandria» (Archivio di Stato di Reggio Emilia, Atti dei notai di Reggio Emilia e provincia, b. 496, atto 137). L’anno di nascita si deduce per approssimazione dall’età dichiarata nel necrologio del 1596. In un rapporto del 1589 a Ferrante Estense Tassoni, Giovan Battista Laderchi scriveva che Wert fu «ragazzo da cantar della marchesa della Padulla» e di Massalombarda, contessa d’Avellino, Maria Cardona (Ramazzini, 1879, p. 131): doveva dunque essere giunto in Italia in tenera età. Laderchi attesta inoltre ch’egli ebbe per tutta la vita stretti rapporti con la contea di Novellara, retta da un ramo dei Gonzaga: il dato è confermato dalle lettere ch’egli indirizzò ad Alfonso I Gonzaga, a sua moglie Vittoria di Capua, e al conte Camillo, fratello maggiore di Alfonso, tra il 1563 e il 1595 (38 di esse sono in Fenlon, 1999).
Per i primi anni mancano riscontri documentali certi, anche per le frequenti omonimie (spesso i documenti registrano il solo nome di battesimo). In una lettera del 20 ottobre 1568 ad Alfonso, Wert scrisse che nel 1552 era partito da Novellara per Mantova insieme con il conte Francesco II Gonzaga, altro fratello maggiore di Alfonso: il legame con la contea doveva dunque risalire almeno ai primi anni Cinquanta. Poco si sa della sua formazione musicale; tra il 1553 e il 1556 frequentò a Ferrara il celebre Cipriano de Rore, come risulta da una lettera (oggi smarrita) di un agente mantovano, Francesco Follonico (MacClintock, 1966a, tav. 3b e pp. 599 s.) e da un’altra di Cipriano stesso (Ciroldi, 2004, pp. 82, 84, 194; Sonoda, 2006, pp. 46 s.). Quest’ultima missiva, insieme ad altre due di Bracciolo, tutte destinate ad Alfonso e conservate nell’Archivio Gonzaga di Novellara, attestano che «messer Jacomo» sarebbe dovuto partire da Ferrara per Venezia, ma era ritornato al servizio comitale il 28 gennaio 1556, essendone stato persuaso da Cipriano.
Prima del 17 marzo 1557 sposò Lucrezia, figlia di Francesco Gonzaga e di Elena Fuscardi (Francesco era uno di sette figli di Galeazzo, a sua volta figlio naturale di Francesco I, il capostipite del ramo dei cosiddetti Gonzaghini). Il 14 novembre 1558 a Novellara, in S. Stefano, fu battezzato il loro primogenito, Alfonso Galeazzo. Nello stesso anno il compositore fece le prime sortite in stampa, con un madrigale incluso nel Secondo libro delle muse a quattro voci (Roma, Antonio Barré) e con il Primo libro de madrigali a cinque voci (Venezia, Girolamo Scotto), dedicato al conte Alfonso. Questo libro contiene Qual di notte talor chiara facella, canzone allora inedita di Federico Asinari, conte di Camerano: ha per soggetto l’infermità di Ippolita, figlia di Ferrante Gonzaga, governatore di Milano. L’intermediario del testo fu il conte Francesco II, come risulta da una lettera di Bracciolo del 6 settembre 1556.
Il 12 novembre 1560 fu battezzato il secondogenito, Ottavio Claudio Sebastiano: ebbe per padrino Ottavio Farnese, duca di Parma, cui Wert dedicò il Secondo libro de’ madrigali a cinque voci (Venezia, Scotto, 1561). Nello stesso 1561, sempre per Scotto, uscì il Primo libro de’ madrigali a quattro voci, che Wert, su consiglio di Camillo Gonzaga, dedicò a Francesco Ferdinando d’Avalos, marchese di Pescara. Nel libro compare Cara nemica mia, originariamente parte di un poema pastorale di Luigi Tansillo, I due pellegrini.
Il 13 settembre 1562 in S. Stefano fu registrato il battesimo del terzogenito, Maurizio Bireno (Birrenus): dunque la famiglia risiedeva ancora a Novellara. Il Terzo libro de madrigali a cinque voci (Venezia, Antonio Gardano, 1563) è dedicato a Gonzalo Fernández de Córdoba, duca di Sessa; la stanza proemiale, Salve, principe invitto, il cui ritorno, celebra il secondo mandato del duca come governatore di Milano, nel marzo del 1563: dal che si deduce che Wert fosse di già suo maestro di cappella. Il libro contiene componimenti indirizzati a vari personaggi: Alfonso II d’Este, duca di Ferrara; il conte Camillo Gonzaga e sua moglie Barbara, figlia del conte Camillo Borromeo; il conte Alfonso Gonzaga; i marchesi di Pescara per la nascita della «regia prole». Nel libro è attestato anche il madrigale Novo amor, nove fiamme e nova legge, composto su versi ancora inediti di Giovanni Filippo Gherardini, affiliato all’Accademia degli Affidati di Pavia, alla quale non più tardi del 1565 parteciparono pure il duca di Sessa e il marchese di Pescara. Furono spedite da Milano, al vecchio patrono Alfonso Gonzaga, le prime quattro lettere pervenute di Wert (su un totale di cinquantotto). Nella terza (5 novembre 1564) il musicista ringrazia Sessa per aver «scritto una bellissima lettera [...] in favor mio molto calda» a Gabriel de la Cueva, duca di Alburquerque, che nel 1564 gli era subentrato nel governo di Milano. Nella quarta lettera (14 aprile 1565) Wert risulta ancora maestro di cappella del governatore.
Durante il periodo milanese dovette riallacciare i rapporti con Cipriano de Rore, che nel 1561 era entrato al servizio di Ottavio Farnese, ma era poi divenuto maestro di cappella in S. Marco a Venezia, avendo chiesto congedo dalla corte di Parma tra il 1563 e il 1564. L’amicizia tra i due permise a Wert d’includere una sua composizione tra i Motetta D. Cipriani de Rore et aliorum auctorum quatuor vocum parium decanenda cum tribus lectionibus pro mortuis Iosepho Zerlino auctore (Venezia, Scotto, 1563); i due fiamminghi concorsero inoltre al Primo libro delle greghesche di Manoli Blessi (alias Antonio Molino; Venezia, Gardano, 1564). Sempre nel 1564 Wert omaggiò il fidanzamento tra Alessandro Farnese, figlio del duca Ottavio, e Maria di Portogallo con la canzone Quella donna real che ’l Tago onora, aggiunta alla ristampa del Primo libro dei madrigali a cinque (Venezia, Gardano).
Il 28 novembre 1564 offrì una sua messa polifonica a Guglielmo Gonzaga, duca di Mantova (Canal, 1881, p. 76), il quale non più tardi del 19 settembre 1565 gli affidò la direzione della propria cappella. Il duca, dotato di un non comune talento, coltivava in proprio l’arte musicale. Wert, cui toccò tra l’altro il compito di revisionarne le composizioni, fu coinvolto nel progetto di dotare di una liturgia e di un repertorio musicale specifici la basilica di corte, appena sorta, S. Barbara. La maggior parte dei brani polifonici di Wert composti ad hoc per S. Barbara si conserva manoscritta nel fondo omonimo del Conservatorio di Milano: comprende sette messe, ventotto salmi, centoventicinque inni (alcuni testi sono ascrivibili al poeta e umanista francese Marc-Antoine Muret), tre Magnificat e un Passio. Wert fece poi da tramite quando nel 1568 il duca commissionò una messa a Giovanni Pierluigi da Palestrina.
Il 5 dicembre 1565 Alfonso II, duca di Ferrara, rimasto vedovo senza prole alla morte di Lucrezia de’ Medici, sposò Barbara d’Asburgo, sorella della consorte di Guglielmo, Eleonora: si rinnovò così l’antica alleanza tra i due ducati. Il quarto libro de madrigali a cinque voci (Venezia, Gardano, 1567) si apre con un madrigale di Guglielmo, Padre, che ’l ciel, la terra e ’l tutto reggi, e si chiude con il dialogo epitalamico a otto voci, Cara Germania mia, quanto ti deggio. La raccolta contiene inoltre componimenti indirizzati a Renata di Francia, madre di Alfonso II, alla di lui sorella Lucrezia, nonché un madrigale in sei parti, Qual nemica fortuna oltra quest’Alpe, su una sestina allora inedita del citato Asinari, in lode del Po. Nello stesso libro compare un altro madrigale in tre parti – a cinque, a sei e a sette voci – composto su quattro stanze all’epoca inedite di Luigi Tansillo, A caso un giorno mi guidò la sorte (Wert vi allude in una lettera ad Alfonso Gonzaga del 28 gennaio 1567, chiamandole «tre napolitane»).
Nel maggio del 1566, al seguito di Guglielmo alla Dieta imperiale di Augusta, entusiasmò l’uditorio con le sue improvvisazioni contrappuntistiche al cospetto di Massimiliano II imperatore (come testimonia Franz Sales, maestro di cappella a Hall nel Tirolo, nella prefazione al suo Patrocinium musices: missarum solenniorum [...] primus tomus, Monaco di Baviera, Adam Berg, 1589). Durante l’assenza da Mantova uscì il Motectorum quinque vocum liber primus (Venezia, Claudio Merulo e Fausto Betanio, 1566), dedicato al duca. Alla morte del maestro di cappella imperiale, il fiammingo Jacobus Vaet (Vienna, 8 gennaio 1567), tanto l’imperatore quanto i cantori imperiali – molti tra loro, fiamminghi, ambivano a essere diretti da un conterraneo tanto famoso – avrebbero voluto che Wert gli succedesse. Ma Wert declinò, il che di riflesso ravvivò il dispetto dei cantori di S. Barbara che, in seguito a una controversia sorta in seno alla cappella – la cosiddetta «disputa de la quinta falsa» (Ciroldi, 2004, p. 196) –, volevano che Wert lasciasse il servizio. Il musicista si ritirò a Novellara, e di là scrisse il 27 agosto 1567 a Federico Cattaneo, primicerio in S. Andrea, e al duca, implorando un suo provvedimento, per sapere se dovesse restare a Mantova o a Novellara, o invece trasferirsi a Parma o in Boemia. Pur persistendo i contrasti, Wert mantenne il posto a Mantova per il resto della carriera.
Nel gennaio del 1568 si prepararono a Novellara le nozze del conte Alfonso Gonzaga con Vittoria di Capua, e si progettò una commedia con intermedi, Calandrino e Burlamacchia, perduta, forse ispirata alla novella di Boccaccio. Leone de’ Sommi funse da corago, Barbara Flaminia fu la protagonista femminile, Muzio Busi l’autore dei balli e Lelio Orsi dipinse le scene. Wert dovette comporre le musiche per gli intermedi e una non meglio precisata parte canora per Flaminia. La collaborazione con Leone si ripeté poi a Mantova nel 1583 con Gli ingiusti sdegni di Bernardino Pino da Cagli. Nel 1585 Wert partecipò alle recite di una commedia di Ercole Udine e fornì alcune musiche per l’Apparato e barriera del tempio di Amor Feretrio di Oreste Vannocci Biringucci, in onore dell’arciduchessa Anna Caterina Gonzaga (terzogenita di Guglielmo, sposata nel 1582 a Ferdinando, arciduca d’Austria). Nel 1591 Muzio Manfredi diede a Wert istruzioni circa le musiche da utilizzare nella Semiramis boscareccia (da non confondere con l’omonima sua tragedia) inviata da Nancy alla corte mantovana. Nel 1592 il musicista avrebbe dovuto concorrere all’allestimento, poi disdetto, del Pastor fido di Battista Guarini. La scrittura di musiche teatrali sembra essere stato uno dei versanti più fertili del multiforme talento di Wert: ma non se n’è finora individuato alcun vestigio.
Il 22 marzo 1570 Wert confidò al duca che la moglie Lucrezia lo tradiva con Agostino Bonvicino, il più zelante tra i suoi oppositori: aveva perciò ripudiato la consorte, ritrovandosi così solo con «sei figlioli» a carico, di cui due (o tre) femmine; non più tardi del 1575, le teneva a Milano nel collegio di Ludovica Torelli, contessa di Guastalla.
Su impulso del duca Guglielmo, nel 1571, entro fine ottobre, dedicò agli accademici filarmonici di Verona il Quinto libro de madrigali a cinque, sei et sette voci (Venezia, Gardano), concluso con il dialogo a sette Che nuovo e vago sol, che ardente luce, composto per la visita a Mantova della marchesa Lucrezia d’Incisa, vedova di Federico Gonzaga di Gazzuolo, scomparso il 12 febbraio 1570. In previsione dell’arrivo di Enrico III a Mantova (2 agosto 1574), Teodoro Biandrate conte di Sangiorgio consegnò a Wert «coppia del capitolo» di una missiva che descriveva «li concerti di musica» previsti a Ferrara, «acciò ch’egli veda se sa fare di meglio» (Bellina, in I Gonzaga e l’Impero, 2005, p. 92). Intanto la sua fama si spargeva al di là del ducato: per esempio, nel marzo del 1576 a Vienna, nel corso di un evento importante («la cerimonia della publication del decreto et del giuramento per le cose di Polonia»), furono eseguite musiche quasi per intero sue, tra cui un «dialogo in francese, che piacque infinitamente, et comandò sua maestà», Massimiliano II, «che ripetesse più d’un paro di volte» (Venturini, 2002, pp. 242 s.).
Nel 1577 dedicò a Vincenzo Gonzaga, il primogenito di Guglielmo, il Sesto libro de madrigali a cinque voci (Venezia, erede di Girolamo Scotto), aperto da una canzone di sette strofe, Se tal erger al ciel potessi il canto, indirizzata al duca: dal testo poetico, adespoto, traspare, in particolare nella sesta parte, l’aspirazione di Guglielmo al titolo di granduca. Il terzo componimento, Tolse barbara gente il pregio a Roma, fu composto sul sonetto, allora inedito, scritto nel febbraio del 1573 da Torquato Tasso per encomio di Barbara Sanseverino, contessa di Sala: fu il primo di molti componimenti tassiani da lui poi musicati.
Nel febbraio del 1579 la secondogenita di Guglielmo, Margherita, andò sposa ad Alfonso II d’Este, rimasto di nuovo vedovo senza prole. Wert la accompagnò a Ferrara, come risulta da una lettera al conte Alfonso Gonzaga (17 marzo 1579), in cui impartì istruzioni circa l’esecuzione d’un suo mottetto, Ascendente Jesu in naviculam, composto di fresco e accluso alla missiva: sarebbe poi apparso in Modulationum cum sex vocibus, liber primus (Venezia, erede Scotto, 1581), dedicato al cardinal Alessandro Farnese, fratello del duca Ottavio e prozio di Margherita, proprio allora unitasi in matrimonio con Vincenzo Gonzaga. A Margherita Farnese Gonzaga dedicò il Settimo libro de madrigali a cinque voci (Venezia, Angelo Gardano, 1581), aperto da un sonetto epitalamico e chiuso da un dialogo nuziale a sette voci. Tre testi poetici attestano la frequentazione ferrarese di Wert: Tirsi morir volea di Guarini (attribuito anche a Tasso, in Rime, parte I, Venezia, Aldo Manuzio, 1581) e già musicato, probabilmente nella seconda metà degli anni Settanta, da Luzzasco Luzzaschi, organista e soprintendente della musica di corte a Ferrara. Le altre due rime sono di Tasso, a quell’epoca rinchiuso nell’ospedale di S. Anna: il sonetto Donna, se ben le chiome ho già ripiene (dedicato a Isabella Bendidio, dama di corte, in nome di Cornelio Bentivoglio, suo marito e luogotenente generale dello Stato di Ferrara), e Giunto a la tomba, ove al suo spirto vivo, con Non di morte sei tu, ma di vivaci, due ottave della Gerusalemme liberata (XII, 96-97). Wert fu il primo madrigalista ad accostarsi alla Gerusalemme, peraltro in una redazione diversa da quella poi vulgata: il Settimo libro presenta infatti due lezioni che non compaiono in alcun altro testimone del poema, manoscritto o a stampa (Pantini, 2016).
I legami del musicista con Ferrara sono testimoniati anche per altre vie: Wert, con il fior fiore dei madrigalisti italiani del momento, concorse alle collettanee di madrigali epitalamici per la cantante Laura Peperara (Il lauro secco e Il lauro verde, Ferrara, Vittorio Baldini, 1582 e 1583); il 15 ottobre 1583 il ferrarese Lodovico Agostini riferì a Guglielmo Gonzaga un episodio avvenuto a corte il giorno prima in compagnia di Wert; in una lettera del 22 dicembre 1584 Guglielmo scrisse al genero di provvedere al rientro di Wert a Mantova per Natale; nel dedicare ad Alfonso d’Este L’ottavo libro de madrigali a cinque voci (Venezia, Gardano, 1586) il musicista allude a «questi miei componimenti di musica fatti per la maggior parte in Ferrara» (e infatti vi compaiono tre rime di Giovan Battista Pigna e una di Tasso, tutte allora inedite); nel dialogo La Cavaletta o vero De la poesia toscana, composto da Tasso tra 1584 e 1585, il suo nome è evocato come uno dei maestri in grado di restituire alla musica la perduta gravità. È infine nota la relazione ch’egli intrattenne con Tarquinia Molza, l’ispiratrice del Concerto delle dame ferraresi: la poetessa era stata assunta nel 1583 alla corte estense, ma fu licenziata e tornò a Modena nel 1589, proprio a causa del rapporto confidenziale con Wert.
C’erano tuttavia ragioni più importanti alla base delle frequenti visite a Ferrara. Nel 1577, a Mantova, morì Francesco II Gonzaga di Novellara, che lasciò i suoi averi a Claudio, suo figlio naturale riconosciuto, nominato successore. Lucrezia, moglie di Wert, relegata in Novellara dopo la scoperta dell’adulterio, fu coinvolta in una serie di complotti orditi proprio da Claudio contro i conti (1579-80; Davolio, 1825, 2009). Imprigionata, confiscatile i beni, che ammontavano a ben 3510 ducati, morì in carcere a fine 1584. Pur essendo aggregato, con i suoi discendenti, alla cittadinanza mantovana (decreto del 1° luglio 1580), Wert voleva assicurare ai figli la successione dei beni della loro madre; chiese dunque protezione non solo ai duchi di Mantova e di Ferrara, ma anche a Ferrante II Gonzaga, signore di Guastalla e principe di Molfetta, cui dedicò il 25 febbraio 1581 Il secondo libro de motetti a cinque voci (Venezia, erede Scotto). Tornò a rivolgersi a Ferrante, come risulta da due lettere dell’aprile 1583 e del febbraio del 1584, e di lui pubblicò anche, mettendolo in musica, il madrigale L’anima mia ferita, all’epoca ancora inedito, nel Nono libro de madrigali a cinque et sei voci (Venezia, Gardano). Il libro, dedicato a Vincenzo Gonzaga (1° gennaio 1588) e aperto dal madrigale di Muzio Manfredi Or si rallegri il cielo (composto per l’incoronazione del nuovo duca nel 1587), comprende anche quattro componimenti, due di Guarini (O come vaneggiate e Un bacio solo a tante pene, ahi cruda) e due di Tasso (Mesola, il Po da lato e ’l mar a fronte e Ha ninfe adorne e belle), scritti a quanto pare apposta per Wert a Ferrara nel 1585-86 (il musicista aveva chiesto rime di egual soggetto anche ad Angelo Grillo, ma invano; Durante - Martellotti, 1989b).
Sebbene dal 1578, su richiesta dei conti di Novellara, Wert sorvegliasse in Mantova ogni mossa di Claudio e ne riferisse per iscritto, solo a malincuore i conti si piegarono a restituirgli una parte dei beni di Lucrezia. Il 28 novembre 1584, stanti le esortazioni e raccomandazioni degli Estensi, il conte Alfonso propose di donare a Wert la sola casa, sita nel castello, valutata 600 ducati. Rifiutata la proposta, Wert giunse a intentare una causa contro i conti presso l’Alta Corte di giustizia. Nel novembre del 1586, in seguito a una sentenza avversa, ricorse di nuovo alla mediazione del duca di Ferrara: a fine mese riuscì a ottenere la terza parte dell’intero patrimonio dal conte Alfonso, che lo accettava «per terzo fratello» (Ramazzini, 1879, p. 128). Nondimeno Wert dovette attendere ancora fino all’agosto del 1588 prima che le condizioni fossero confermate: dedotto il credito del conte Camillo, suo fratello, il conte avrebbe concesso a Wert un terzo della proprietà confiscata da godersi in vita, come al tempo del matrimonio con Lucrezia, senza obbligo di residenza; dopo la sua morte, tuttavia, chi avesse voluto usufruirne sarebbe stato tenuto a risiedervi, ovvero l’avrebbe potuta alienare previa licenza dei conti.
Frattanto nel 1582 Wert si era gravemente ammalato, tanto che il duca Guglielmo lo dovette sostituire con Giovanni Giacomo Gastoldi alla testa della cappella di S. Barbara. La malattia persistette nel 1585 e nel 1586, e nel 1592 Gastoldi subentrò nel posto. Sempre per i torchi di Angelo Gardano, vennero in luce ancora Il primo libro delle canzonette villanelle a cinque voci, con dedica alla seconda moglie del duca Vincenzo, Eleonora de’ Medici (20 gennaio 1589); Il decimo libro de madrigali a cinque voci, dedicato ad Agnese Argotta, marchesa di Grana, intrinseca del duca Vincenzo (10 settembre 1591); e L’undecimo libro de madrigali a cinque voci, dedicato a Francesco Gonzaga, primogenito di Vincenzo ed Eleonora (18 agosto 1595).
Morì il 6 maggio 1596 a Mantova: «Il sig.r Jachese Vuert, musico di S.A. Ser.ma nella con.da del Aquila è morto di febre in quindici dì de anni 60» (Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, Registri necrologici, Mantova, Morti, 1596-1598, ad annum).
Il figlio Ottavio, nel 1575 chierico beneficiario di S. Stefano in Novellara, retribuito nella corte di Mantova nel 1592, curò l’edizione del Duodecimo libro de madrigali, firmando la dedica al duca Vincenzo (Venezia, Gardano, 1608). Negli anni Novanta si occupò ripetutamente delle trattative sui terreni con i conti di Novellara. Nel 1594 Lucrezia, figlia di Wert, risulta maritata con Cosmo Cristiani di Prato, abitante a Novellara.
Con i suoi dodici libri di madrigali a cinque voci, che nel firmamento musicale italiano coevo risplendono per continuità produttiva, frequenza delle ristampe, magistero tecnico, plasticità dell’invenzione melodica, ingegno contrappuntistico, pregio delle scelte poetiche, rango dei dedicatari, Wert figura a pieno titolo tra i sommi cultori di quest’arte sopraffina, coltivata al più alto livello nelle corti e nelle accademie d’Italia del secondo Cinquecento. Con il coetaneo Marc’Antonio Ingegneri appartenne alla generazione di mezzo dei madrigalisti moderni, ponte tra il capofila, il fiammingo Cipriano de Rore, e la costellazione formata da Luzzasco Luzzaschi, Luca Marenzio, Carlo Gesualdo e Claudio Monteverdi. Non a caso tutti costoro sono nominati come iniziatori e portabandiera di quella sedicente «seconda prattica» che, a detta del fratello di Monteverdi, Giulio Cesare, puntava alla «perfetione de la melodia» e considerava «l’armonia» (ossia la tecnica del contrappunto) «comandata e non comandante» rispetto all’«oratione», cioè al discorso poetico (così nella famosa, polemica «Dichiaratione della lettera stampata nel quinto libro» di Monteverdi, apparsa negli Scherzi musicali del 1607). Non minore fulgore promana dai tre libri dei mottetti.
Opere. Opera omnia, a cura di C. MacClintock - M. Bernstein, I-XVII, s.l. 1961-1977; The Gonzaga Masses in the Conservatory Library of Milan, Fondo Santa Barbara. Missae in feriis per annum, a cura di O. Beretta, s.l. 2000, pp. 11-19; Le Messe dei Gonzaga. Musiche della Cappella di Santa Barbara in Mantova. VI Messe di Giaches de Wert, a cura di O. Beretta, Lucca, in corso di stampa.
Fonti e Bibl.: Un’ampia bibliografia, aggiornata al 2004, è nella voce di H. Schick, W., G., in Die Musik in Geschichte und Gegenwart. Personenteil, XVII, Kassel 2007, coll. 802-813; cfr. anche I. Fenlon, W., G. de, in The new Grove dictionary of music and musicians, XXVII, London 2001, pp. 296-302. Per le fonti relative agli spettacoli mantovani: Archivio Herla, http://www.capitalespettacolo.it/ita/ric_gen.asp (2 agosto 2020). V. Davolio, Memorie istoriche dei Gonzaga di Novellara (1825), a cura di V. Ariosi, Roma 2009, p. 216; A. Ramazzini, I musici fiamminghi alla corte di Ferrara. G. de W. e Tarquinia Molza, in Archivio storico lombardo, VI (1879), pp. 116-133; P. Canal, Della musica in Mantova, Venezia 1881, pp. 31, 35, 37, 46, 49-64, 66, 69, 75, 76 s., 79, 102; C. MacClintock, New light on G. de W., in Aspects of medieval and Renaissance music, a cura di J. LaRue, New York 1966a, pp. 595-602; Ead., G. de W. (1535-1596): life and works, s.l. 1966b; I. Fenlon, Music and patronage in sixteenth-century Mantua, Cambridge 1980 (trad. it. Bologna 1992), ad ind.; E. Durante - A. Martellotti, Cronistoria del concerto delle dame principalissime di Margherita Gonzaga d’Este, Firenze 1989a, pp. 23-28, 45, 47-50, 55, 75, 274; Iid., Don Angelo Grillo O.S.B. alias Livio Celiano, Firenze 1989b, pp. 142 s., 441; S. Parisi, Musicians at the court of Mantua during Monteverdi’s time: evidence from the payrolls, in Musicologia humana. Studies in honor of Warren and Ursula Kirkendale, a cura di S. Gmeinwieser - D. Hiley - J. Riedlbauer, Firenze 1994, pp. 183-208; Guarini, la musica, i musicisti, a cura di A. Pompilio, Lucca 1997 (in partic. E. Durante - A. Martellotti, Il cavalier Guarini e il concerto delle dame, pp. 119 s. e passim; J. Chater, «Un pasticcio di madrigaletti»?: the early musical fortune of “Il pastor fido”, pp. 139-155); I. Cantoni, Studi sugli inni di G. W. (1535-1596), tesi di laurea, Università degli studi di Parma, a.a. 1998-99; I. Fenlon, G. de W.: letters and documents, s.l. 1999 (recensione di M. Sonoda, in Il Saggiatore musicale, VIII (2001), pp. 361-364); D. Nutter, G. de W. and the Accademia Filarmonica, in G. de W. (1535-1596) and his time: migration of musicians to and from the Low Countries (c. 1400-1600). Colloquium proceedings, Antwerpen... 1996, a cura di E. Schreurs - B. Bouckaert, Leuven-Peer 1999, pp. 53-71; M. Sonoda, 16 seiki Itaria tasei sezoku seigakukyoku ni okeru sakkyokuka no kashi no nyūshu keiro: Veruto no 18 kyoku no madorigāre o chūshin ni / Composers and poets in sixteenth-century Italy: a case study of 18 madrigals by G. de W., in Ongakugaku / Journal of the Musicological Society of Japan, XLV (1999), pp. 28-41; P. Besutti, Dal madrigale alla musica scenica: il ruolo degli interpreti tra teoria e prassi, in Neoplatonismo, musica, letteratura nel Rinascimento. I Bardi di Vernio e l’Accademia della Crusca. Atti del Convegno internazionale di studi, Firenze-Vernio... 1998, a cura di P. Gargiulo - A. Magini - S. Toussaint, s.l. 2000, pp. 158-163; M. Sonoda, Jakesu de Veruto no tegami: 16 seiki no Itaria tasei sezoku seigakukyoku kenkyū kara mita sono igi / Scelte poetiche e scelte dello stile compositivo di un musicista del Cinquecento: alcuni indizi forniti dal carteggio di G. de W., in Chichūkaigakukenkyū / Mediterraneus (Annual report of the Collegium Mediterranistarum), XXV (2002), pp. 49-68; E. Venturini, Le collezioni Gonzaga. Il carteggio tra la corte cesarea e Mantova (1559-1636), Cinisello Balsamo 2002, pp. 191, 242 s.; S. Ciroldi, G. de W. (Wert - Anversa 1535 ca. - Mantova 1596) nelle corti dei Gonzaga di Mantova, Novellara-Bagnolo e degli Estensi a Ferrara, in Bollettino storico reggiano, XXXVII (2004), 123, pp. 82, 84, 194, 196; I Gonzaga e l’Impero. Itinerari dello spettacolo, a cura di U. Artioli - C. Grazioli, Firenze 2005 (in partic. A.L. Bellina, A suon di musica da Cracovia a Lione. I trionfi del cristianissimo Enrico III, p. 92 e passim; Un musicista tra Mantova e l’Impero: il viaggio ad Augusta di G. de W., a cura di L. Mari, pp. 321-328); M. Sonoda, Chipuriāno de Rōre to Jakesu de Veruto (1): Jovanni Derra Kāsa saku no sonetto “Oo, nemuri yo” o kashi to suru 2 kyoku no madorigāre ni tsuite / Cipriano de Rore e Giaches de Wert (1): su due intonazioni musicali del sonetto «O sonno» di mons. Giovanni Della Casa, in Tōkyō Geijutsu Daigaku Ongakugakubu kiyō / Bulletin, Faculty of Music, Tokyo Geijutsu Daigaku (Tokyo National University of Fine Arts and Music), XXXII (2006), pp. 37-60, 171 s.; E. Pantini, Quale edizione de “La Gerusalemme liberata” leggeva G. de W.?, in Sì canta l’empia... Renaissance et opéra / Rinascimento e opera. Seminari “L’opéra narrateur”. Saint-Denis - Paris... 2013-2014, a cura di C. Faverzani, Lucca 2016, pp. 113-137.