ZURLA, Giacinto (in religione Placido)
Nacque a Legnano, nei pressi di Verona, il 2 aprile del 1769, da Pietro, appartenente alla famiglia dei marchesi Zurla, e da Marianna Cezza, anche lei nobile.
Quando compì sei anni la famiglia si trasferì a Crema dove Zurla iniziò i suoi studi presso i padri Barnabiti, prima di continuare nel collegio di Lodi dello stesso ordine. Era destinato a sposarsi, ma pare che una conversione giovanile lo spingesse verso i voti spirituali. Superate le resistenze dei genitori, entrò come novizio nel collegio camaldolese di S. Michele in Murano, nell’omonima isoletta della laguna veneziana. Il suo maestro fu l’abate Ludovico Nachi, ai cui studi Zurla avrebbe poi dedicato un’opera. Effettivamente, fu in questi anni che iniziò a dedicarsi alle scienze, avvicinandosi alla meccanica newtoniana. Combinò comunque questi studi a quelli più prettamente teologici. Divenuto sacerdote e preso il nome di Placido, prima gli venne dato l’incarico di insegnare nello stesso monastero filosofia e poi prese la cattedra di lettore di teologia dogmatica. L’Enchiridion sulla Summa di s. Tommaso, pubblicato a Venezia nel 1802, doveva proprio servire i bisogni dei suoi studenti. Non fu però a questi studi teologici che si deve la sua fama di studioso, per certi versi ancora intatta, bensì alla geografia. La prima grande prova fu l’analisi di una carta del XV secolo presente in monastero, il mappamondo di fra’ Mauro (1806). Zurla contribuì così ad attirare l’attenzione su una delle opere di cartografia più importanti dell’umanesimo. Nel monastero trovò anche l’amicizia con Mauro Cappellari, il futuro Gregorio XVI.
Con lo scioglimento dell’ordine, di cui nel frattempo era diventato abate generale, prima trovò il modo di insegnare al seminario di Venezia, successivamente si trasferì a Roma dove venne nominato prefetto degli studi nel collegio urbano di Propaganda Fide. Da questa esperienza ebbe origine l’opera apologetica sui Vantaggi della religione cattolica derivanti dalla geografia (Roma 1822), più volte ripubblicata e che dovette dargli una certa fama.
Ebbe certamente un ruolo nel conclave del settembre del 1823, quando prese più apertamente posizione in favore degli zelanti dopo essere stato considerato vicino a Consalvi, che ne aveva favorito la nomina a cardinale proprio nella primavera con il titolo di S. Croce in Gerusalemme. Fu probabilmente in virtù di questo posizionamento intermedio che il nuovo papa Leone XII, Annibale Della Genga, lo scelse come suo successore al Vicariato. Oltre a occuparsi della vita religiosa di Roma, Zurla partecipò ai piani di riforma degli ordini regolari promossi da Leone XII. Più vicino al pontefice che al partito che lo aveva eletto, la nomina di Zurla il 7 gennaio 1824 fece comunque parte del progetto zelante di riconquista della città di Roma dopo le profanazioni subite durante le occupazioni francesi della fine del Settecento e degli anni napoleonici. La visita apostolica straordinaria delle chiese della città di Roma (1824-1825), sotto la sua presidenza, seguiva questa logica di risacralizzazione dell’Urbe come capitale della cattolicità universale. Il rilancio dei luoghi di culto romani e della devozione popolare a cui teneva particolarmente Leone XII doveva vedere Zurla in primo piano. Dal Vicariato dipendeva il calendario liturgico ma anche l’organizzazione delle missioni popolari che dovevano rilanciare la vita religiosa dei fedeli attraverso la predicazione nelle piazze. Con la lettera apostolica Super universum del 1° novembre 1824, il papa riduceva anche le parrocchie di Roma da ottantuno a quarantaquattro, cercando di razionalizzare la vita religiosa degli abitanti (seguendo criteri demografici e geografici per la distribuzione delle parrocchie). Soprattutto, Zurla sembrò dare un giro di vite dal punto di vista della morale cittadina con una serie di editti repressivi. L’editto del 14 dicembre 1824 sull’abbigliamento delle donne restò particolarmente celebre per la durezza dei toni utilizzati, oltre che per la severità dei suoi contenuti. Zurla metteva in guardia contro «l’immodesto vestire delle donne, sì opposto al più pregevole ornamento del loro Sesso, che è il pudore» (Città del Vaticano, Archivio Apostolico Vaticano, Segretaria di Stato, Miscellanea, Collezione di pubbliche disposizioni, arm. V, a. 1824, b. 305, n. 585; P. Zurla, Editto sul vestire delle donne, in Boutry, 1997, p. 353, n. 165). Alla presunta ‘immodestia’ delle donne venivano fatti risalire ogni genere di mali per il cristianesimo e per questo motivo si prescrivevano indicazioni rigorosissime a sarti e modiste. Qualche giorno dopo, con un nuovo editto, Zurla proibì ad albergatori e osti di ricevere anche per breve periodo «Donne disoneste, e di mala vita» (P. Zurla, Editto per gli albergatori, osti, locandieri, in Città del Vaticano, Archivio Apostolico Vaticano, Segreteria di Stato, Miscellanea, Collezione di pubbliche disposizioni, arm.V a. 1824, b. 305, n. 588) . Nel febbraio del 1825 si sospese il carnevale, così come si continuò a combattere l’abitudine dei romani di festeggiare con fuochi d’artificio la festa di S. Giovanni, a giugno. La stessa austerità venne richiesta anche per le festività natalizie di quell’anno, quando Zurla proscrisse riunioni e festeggiamenti privati o per strada, soprattutto tra persone di sesso diverso, disponendo anche la chiusura dei caffè e la persecuzione di chi osasse cantare per strada. Di questo furore zelante furono vittime anche gli ebrei, a cui venne intimato di «separarsi totalmente dai cristiani, e di racchiudersi nel ghetto con tutti gli oggetti di loro proprietà dentro il perentorio termine di un mese, e ciò sotto la pena di confisca degli oggetti stessi, e di altra anche corporale» (Notificazione di Zurla del 18 novembre 1825, in Colapietra, 1963, p. 251). All’allargamento delle mura del ghetto in quegli anni non corrispose affatto un allargamento dei diritti di questa minoranza.
Non sembra che la città di Roma reagisse positivamente a queste campagne: molti osservatori dell’epoca segnalarono un’atmosfera piuttosto pesante e diversi incidenti, proteste più o meno aperte, attentati e piccoli atti di resistenza ai cambiamenti resero evidenti il sostanziale fallimento del progetto zelante di riconquista dello spazio urbano di cui Zurla fu tra i più pugnaci interpreti. Ad attestarne la crisi fu indirettamente proprio Zurla, che a due anni dall’inizio di quella stagione registrò in un Invito Sagro al popolo romano pieno di eccessi retorici la sua insoddisfazione per la mancata conversione: i mali del secolo diciottesimo erano passati a quello successivo e si facevano strada gli errori delle nazioni infedeli anche al centro della cattolicità (Invito sacro del 19 settembre 1826, pubblicato interamente nel numero 76 del 24 settembre 1826 del Diario di Roma; Boutry, 1997, p. 364). Dall’osservatorio della guida del Vicariato di Roma, Zurla vedeva sempre più allargarsi lo iato tra politica e religione, tra morale prescritta per la vita pubblica e comportamenti privati – tendenze storiche di tutta l’Europa e di lungo periodo, che sembrarono però radicalizzare le sue posizioni zelanti.
Durante il pontificato di Leone XII era stato prefetto della Congregazione della Residenza dei Vescovi (27 gennaio 1824), oltre a essere membro di diverse altre, protettore dei Collegi inglese e maronita (31 marzo 1824), arcivescovo in partibus di Edessa. Pur mantenendo il ruolo di vicario di Roma fino alla morte e sotto tre diversi pontefici, nel 1830 Pio VIII lo nominò prefetto della Congregazione degli Studi e protettore degli ordini dei carmelitani (25 giugno 1830) e dei domenicani (16 luglio 1830). Gregorio XVI aggiunse a questi titoli quello di protettore dei mercedari (18 luglio 1834).
Morì a 65 anni il 29 ottobre 1834, a Palermo.
Il suo corpo venne imbalsamato con una tecnica innovativa messa a punto dal medico palermitano Giuseppe Tranchina, che ricevette per questo uno speciale encomio, medaglie e l’Ordine dello Speron d’Oro da papa Gregorio XVI, che di Zurla era anche erede e che lo fece seppellire nella chiesa di S. Gregorio al Celio, a Roma. Fu il papa stesso a ordinare un monumento funebre e a commissionare il busto marmoreo realizzato da Giuseppe Fabris.
La notizia fu condivisa dai maggiori bollettini accademici e scientifici europei, segno ulteriore della fama riconosciutagli negli anni. Gli elogi pubblicati dopo la sua morte riflettono anche la sua rete di relazioni all’interno degli ambienti romani. In Arcadia fu Pietro Odescalchi a pronunciarne uno particolarmente lungo e ricco (poi pubblicato come Elogio del cardinale D. Placido Zurla, Roma 1836). Tra le figure di spicco dell’antiromanticismo e delle accademie romane più legate al conservatorismo, Odescalchi non mise in primo piano le responsabilità di Zurla come vicario per la diocesi di Roma e il suo impegno come campione del tomismo e dello zelantismo: fu invece il suo ruolo come protettore delle arti e promotore della conoscenza a definirne l’immagine pubblica post mortem.
Alla sua morte la sua collezione di più di duecentocinquanta gemme confluì nella raccolta di antichità profane della Biblioteca Apostolica Vaticana
Enchiridion dogmatum et morum tutissimo ac uniformi scholarum omniumque ecclesiasticorum usui accomodatus ex Summa Theologica D. Thomae Aquinatis, Venezia 1802, I-III; Il Mappamondo di fra Mauro, camaldolese, descritto e illustrato, Venezia 1806; Dissertazione intorno ai viaggi e alle scoperte settentrionali di Niccolò e Antonio fratelli Zeni, Venezia 1808; Dei viaggi e delle scoperte africane di Alvise da Cà da Mosto, patrizio veneto. Dissertazione, Venezia 1815; Sulle antiche mappe idro-geografiche lavorate in Venezia. Commentario, Venezia 1818; Di Marco Polo e degli altri viaggiatori più illustri. Dissertazione con appendice sopra le antiche mappe lavorate in Venezia. Commentario, Venezia 1818; Dei vantaggi della cattolica religione derivati alla geografia e scienze annesse. Dissertazione, Roma 1822; Nelle solenni esequie celebrate in S. Carlo de’ Catinari all’Eminentissimo card. Fontana, proposto generale della Congregazione de’ Chierici regolari di S. Paolo, detti Barnabiti, il giorno 26 marzo 1822. Elogio funebre, Roma 1822; Sulla unità del soggetto nel quadro della trasfigurazione di Raffaele. Ragionamento, Roma 1822; Del gruppo della Pietà e di alcune opere di religioso argomento di Antonio Canova. Dissertazione, Roma 1834; Memorie intorno alla vita e gli studii del padre Ludovico Nachi, abate camaldolese, Venezia 1838.
S. Gatteschi, Orazione funebre in lode dell’Eminentissimo e Reverendissimo cardinale Don Placido Zurla, Firenze 1834; G. Moschini, Nelle solenni esequie celebrate dell’Eminentissimo cardinale Placido Zurla, Venezia 1834; P. Del Signore, Nei solenni funerali pel cardinale D. Placido Zurla, Roma 1835; A. V. Modena, In funero Placidi Zurla S. R. E. cardinalis oratio habita, Roma 1835; P. E. Visconti, Elogio del cardinale Placido Zurla, vicario di Sua santità, prefetto della Sacra Congregazione degli Studi e socio onorario della Pontificia Accademia di Archeologia, Roma 1836; P. Odescalchi, Elogio del cardinale don Placido Zurla, detto in Arcadia, Roma 1836; F. Sanseverino, Notizie sulla vita e le opere di Placido Zurla, cardinale di SRC, Milano 1857; A. Grego, Il cardinale Placido Zurla, Milano 1934; A. Zavaglio, Il cardinale Placido Zurla, Crema 1956; R. Colapietra, La Chiesa tra Lamennais e Metternich. Il pontificato di Leone XII, Brescia 1963, passim; R. Colapietra, Società e costume a Roma negli anni di Leone XII Della Genga, in Humanitas, XXVIII, 1973, pp. 97-117; G. Pignatelli, Aspetti della propaganda cattolica a Roma da Pio VI a Leone XII, Roma 1974, pp. 50, 248, 301; P. Boutry, Cérémonial et rituel à Rome (XVIe-XIXe siècle), Rome, École Française de Rome 1997. pp. 350-365; G. Maggioni, Gli avvenimenti del periodo napoleonico nelle lettere inedite di Mauro Cappellari al camaldolese Placido Zurla (1795-1806), in Archivio Storico di Belluno, Feltre e Cadore, LXIX (1998), 304, pp. 164-176; P. Boutry, Souverain et pontife. Recherches prosopographiques sur la curie romaine à l'âge de la Restauration (1814-1846), Roma 2002, pp. 485-487; C. Korten, Il Trionfo? The untold story of its development and Pope Gregory XVI's struggle to attain orthodoxy, in Harvard Theological Review, CIX (2016), 2, pp. 278-301.