GIACOBBE di Sarūg
Fu, dopo Efrem (v.), il più grande e celebre poeta siriaco. Nato nel 521, fu educato a Edessa e cominciò a poetare a ventidue anni; divenne visitatore e poi vescovo di Batnan. Fu di confessione monofisitica.
La tradizione gli attribuisce non meno di 763 mēmrē ("discorsi") versificati, i quali trattano di temi molto disparati, ma quasi esclusivanente di vita religiosa e di Sacra Scrittura. I mēmrē sono scritti in dodecasillabi, disposti in due stichi. Vanno rilevati quello sull'edificazione di un palazzo in India da parte dell'apostolo Tomaso, uno sulla caduta degli idoli, quelli in lode dei santi. Parecchi sono molto lunghi e formano collane di varî discorsi legati fra loro per il soggetto trattato. Si può dire che G. ha trattato nei suoi discorsi poetici minutamente e con eloquenza di tutti i lati della vita religiosa della chiesa giacobita. Ci sono state conservate molte lettere di lui, nonché omelie in prosa e discorsi funebri. Tradusse e commentò gli scritti di Evagrio.
Bibl.: R. Duval, La littérature syriaque, 3ª ed., Parigi 1907, pp. 351-54; A. Baumstark, Gesch. der syrischen Literatur, Bonn 1922, pp. 148-158; J.-B. Abeloos, De vita et scriptis S.J. Batnarum Sarugi in Mesopotamia episcopi, Lovanio 1867; P. Bedjan, Homiliae selectae Mar Jacobi Sarugensis, I-II, Parigi e Lipsia 1905-1906; P. Zingerle, Sechs Homilien des Heil. J. von S., Bonn 1867; id., S. Jacobi Sarugensis sermo de Thamar, Innsbruck 1871.