giacobini
Durante la Rivoluzione francese gli appartenenti al club des jacobins, associazione politica il cui nome derivava dalla sua sede, l’ex convento parigino dei domenicani (Jacobins) in via Saint Honoré. Sorto nel maggio 1789 come Club breton, divenuto poi Société des amis de la constitution, il club dei g. rimase, fino al 1792, precluso ai minori ceti sociali per l’alta quota d’iscrizione; esso imponeva una rigida disciplina ai suoi membri, pena l’epurazione. Prevalentemente monarchico-costituzionale fino alla metà del 1790 (il loro motto era La loi), si orientò rapidamente verso concezioni di repubblicanesimo intransigente. Forti di una base popolare, i g. portarono (31 maggio-2 giugno 1793) un colpo decisivo al governo girondino; l’orientamento del club dei g. è bene espresso da Robespierre, secondo il quale, per salvare la Repubblica, «bisogna che il popolo si allei con la Convenzione e la Convenzione si serva del popolo». Mentre i girondini si appoggiavano alla borghesia provinciale, i g. potevano contare sui sanculotti parigini che dominavano la Comune, ma anche sul ceto operaio-artigianale di alcune province. Sebbene la loro parola d’ordine fosse improntata al patriottismo e all’intransigenza repubblicana, la Rivoluzione che essi compirono rovesciando il 2 giugno la Gironda fu più che un rivolgimento politico: interpreti della protesta popolare contro il carovita, i g. esautorarono l’alta borghesia degli affaristi. Comunque, già alla vigilia del Terrore, il club non possedeva un orientamento unitario, ma appariva diviso dietro alcune personalità dominanti: Danton riteneva di poter trattare coi girondini, mentre Robespierre giudicava inevitabile la guerra civile; la posizione estrema era rappresentata da Hébert che, sebbene membro del club dei cordiglieri, nell’agosto 1793 godeva anche fra i g. di un vasto seguito. Durante il Terrore, Robespierre riteneva, insieme a Saint-Just, che la prassi eccezionale di governo dovesse durare fin tanto che i beni dei controrivoluzionari e dei sospetti fossero stati distribuiti ai repubblicani poveri; i g. furono allora il sostegno del Comitato di salute pubblica, che aveva praticamente esautorato la Convenzione (luglio 1793-luglio 1794). Con la reazione termidoriana i g. persero gradualmente la loro influenza: sotto i colpi dei «moscardini» e della jeunesse dorée rifluì l’ondata rivoluzionaria popolare. Il 19 nov. 1794 fu decisa la chiusura del club.
Alla fine del 18° sec., in Italia, il termine fu usato dai conservatori con toni polemici per indicare gli esponenti del movimento repubblicano del 1796-99. Il termine «giacobinismo» è poi entrato nel lessico politico con il dibattito storiografico sulla Rivoluzione francese: secondo l’interpretazione liberale esso avrebbe costituito una deviazione autoritaria e terroristica del processo di pacifica transizione alla monarchia costituzionale avviato dal 1789. Le interpretazioni di tipo democratico-radicale hanno individuato nel giacobinismo un momento di rottura violenta con il mondo feudale e monarchico-reazionario, con un’accentuazione positiva delle sue istanze di rinnovamento e rigenerazione etica e sociale, basate sulla centralità del principio di giustizia. Il concetto di giacobinismo è da ultimo passato a indicare, per estensione, comportamenti politici ritenuti affini all’esperienza storica del club, in cui la direzione politica dall’alto del movimento di massa e il volontarismo di un gruppo anche ristretto di rivoluzionari sono visti come elementi essenziali.