GIACOMINI, Giacomandrea
Nato a Mocasina di Calvagese, presso Brescia, il 16 apr. 1796 da Pietro e da Domenica Andreis, dopo aver studiato a Desenzano prima e a Verona poi, seguì i corsi di medicina presso l'Università di Padova. Conseguita la laurea nel 1820 sotto la direzione di V.C. Borda, poté frequentare la scuola di perfezionamento in chirurgia di Vienna, essendo stato prescelto tra i laureati delle due università del Lombardo-Veneto. Nel 1824 venne nominato professore di fisiologia, patologia e terapia generale per i chirurghi maggiori nell'Università di Padova, incarico che mantenne fino alla morte; nella stessa università fu supplente alla cattedra di patologia e materia medica dello Studio medico nel 1826, incaricato come supplente della direzione della clinica medica per i chirurghi dal 1830 al 1834 e successivamente direttore del gabinetto patologico.
La personalità scientifica del G. si formò ed emerse nel periodo in cui il pensiero medico andava evolvendosi dalla concezione metafisica dei sistemi a quella positiva: già nella prima metà dell'Ottocento, infatti, l'affermarsi delle discipline destinate a rapidi e prodigiosi sviluppi - la biochimica di J. von Liebig, la fisiologia di J.P. Müller, la medicina sperimentale di F. Magendie - induceva a considerare i fenomeni peculiari degli organismi viventi soggetti alle leggi della chimica e della fisica. La posizione concettuale e l'opera del G. furono l'espressione di questo travagliato processo di transizione: pur tenacemente ancorato al vitalismo aristotelico sostenuto da Tommaso d'Aquino, da G.W. Leibniz e da I. Kant, secondo il quale la materia vivente ha caratteristiche che la differenziano nettamente da quella inorganica e non sono risolvibili in quelle dei suoi componenti fisici e chimici, egli fu tuttavia sensibile agli sviluppi positivi della scienza medica e impegnato a ricercare nell'osservazione clinica e sperimentale un sostegno a dottrine e leggi nate da speculazioni metafisiche. Egli fu di fatto l'ultimo tenace sostenitore della "italiana riforma della medicina" di G. Tommasini, nata dalla teoria del controstimolo formulata da G. Rasori, una rielaborazione e modificazione del sistema medico di J. Brown che individuava nell'irritabilità e nella capacità di reagire agli stimoli le proprietà che distinguevano la materia vivente da quella inanimata. La produzione scientifica del G. è raccolta nei 10 volumi nelle Opere edite ed inedite di G. Giacomini, pubblicati a Padova tra il 1852 e il 1855 a cura di G.B. Mugna e F. Coletti, comprendenti: il Trattato filosofico sperimentale deisoccorsi medici, che ebbe 3 edizioni e fu tradotto in francese; il Trattato di terapia speciale; le memorie sul chinino e sugli avvelenamenti (Intorno agli effetti eccessivi e perniciosi del solfato di chinina; Ancora sugli effetti del solfatodi chinina; Effetti del solfato di chinina nell'uomo sano; Sulla italiana riforma della medicina e sopra alcuni casi di avvelenamento); gli scritti sulla dottrina vitalistica (Dell'idealismo inmedicina; Il vitalismo applicato alla fisiologia e alla patologia, premesso un esame critico delle moderne teorie jatrochimiche; Di quanto il cav. prof. G. Tommasini operò per l'avanzamento della medicina).
Elemento centrale della "italiana riforma della medicina" è il concetto di forza vitale, definita dal G. un'incognita che non è possibile "conoscere nella sua essenza" (VIII, pp. 18 s.), un assunto che "dà nozione delle […] facoltà vitali" (V, p. 6) e che, parafrasando il Brown, riveste per i fenomeni vitali la stessa importanza che la legge di gravitazione di I. Newton ha per la fisica. Al principio della forza vitale si ispirano il Trattato di terapia speciale, nel quale la sostituzione della nosografia descrittiva basata sui sintomi con quella patogenetica fondata sui meccanismi responsabili dei fenomeni morbosi rappresenta un tentativo di razionalizzazione della classificazione delle malattie; e il Trattato filosoficosperimentale dei soccorsi medici, in cui è enunciato l'intento di costruire una "nuova farmacologia" in grado di precisare per ogni principio attivo gli effetti sull'animale da esperimento, quelli sull'uomo sano e sul malato, il meccanismo di queste azioni e quindi le indicazioni e le modalità di impiego (IV, pp. 90-117). Entrambi i trattati, le cui innovative finalità hanno indotto A. Pazzini a rivendicare al G. il ruolo di precursore della moderna farmacologia generalmente assegnato a R. Bucheim e a O. Schmiedeberg, appaiono oggi, tuttavia, superati sul piano concettuale, in quanto impostati su un assunto, la "forza vitale", non falsificabile secondo i principî di K.R. Popper, e quindi estraneo alla logica scientifica; e, paradossalmente, prematuri sul piano obiettivo, in considerazione della povertà e della genericità dei dati che l'osservazione clinica e la ricerca sperimentale dell'epoca mettevano a disposizione della scienza medica. Il G., infatti, definiva "dinamiche", ossia riconducibili a uno squilibrio della "forza vitale", la maggior parte delle malattie, distinguendole in "ipersteniche" e in "iposteniche" e assegnando alla terapia il compito di ristabilire l'alterato equilibrio mediante, rispettivamente, l'impiego di farmaci ipostenizzanti, cioè deprimenti, o iperstenizzanti, cioè esaltanti, la abnormemente esaltata o depressa "forza vitale". D'altra parte, la sistemazione nosografica del G. si basava necessariamente su conoscenze e concetti primitivi: una semeiologia elementare, concernente temperatura e colore della cute, aspetto della lingua, frequenza e profondità del respiro, ritmo e forza del polso arterioso; su dati anatomopatologici generici, quali congestione o flaccidità dei tessuti (I, pp. 64-75; II, pp. 133-150; IV, p. 199; V, pp. 15-25); su un'etiologia imprecisa, che lasciava ancora impregiudicata la questione della natura vitale o inanimata (germi viventi o miasmi) degli agenti responsabili della patologia infettiva e parassitaria, allora dominante, e quella dell'eventuale generazione spontanea degli agenti vitali (V, p. 363, nota; VII, p. 201; X, pp. 229-234). Si spiega così come nel gruppo delle malattie infettive fossero allora comprese patologie di tutt'altra natura, quali le forme tossiche professionali o iatrogeniche, gli squilibri nutrizionali, alcuni neoplasmi. Su basi concettuali altrettanto tenui e incerte poggiava la "nuova farmacologia", impegnata a suddividere nelle due categorie dei farmaci iper- o ipostenizzanti i principî attivi allora disponibili, a definirne in modo approssimativo azione e tossicità mediante studi sull'animale. Il G. condusse su se stesso e su alcuni suoi allievi offertisi volontari osservazioni volte a dedurre gli effetti dei medicamenti mediante l'analisi delle sensazioni soggettive, delle sia pur modeste variazioni dei caratteri del polso, della possibilità di antagonizzarne l'azione con l'impiego di principî caratterizzati da proprietà diametralmente opposte. Una tale costruzione nosografica e farmacologica, in gran parte ispirata ai criteri rasoriani ex iuvantibus ed ex ledentibus e integrata da nuove concezioni patologiche e terapeutiche basate su evanescenti elementi, dette origine all'accusa rivolta al G. di aver creato un circolo vizioso nel quale lo stesso dato poteva apparire ora un fatto da provare ora un elemento di prova (X, pp. 76 s. n.). Tuttavia, indipendentemente dall'intento di offrire un sostegno all'edificio vitalistico e malgrado la prevenzione nei confronti delle nuove acquisizioni mediche - come il rifiuto di ammettere l'esistenza dei globuli rossi del sangue, la contestazione della funzione respiratoria assegnata alla circolazione polmonare dalla dottrina di W. Harvey, il ridimensionamento delle osservazioni malpighiane sulla circolazione capillare (V, pp. 250 s.; VIII, pp. 52-67) - l'opera del G. contiene non pochi aspetti apparentemente minori che sembrano preludere allo sviluppo successivo delle conoscenze mediche: le osservazioni di ordine anatomopatologico sulle fasi che precedono i quadri conclamati dell'aterosclerosi, per esempio, che trovano riscontro nelle attuali conoscenze sullo sviluppo del processo patologico (I, pp. 292 s.; IX, pp. 54-58); e quelle di carattere fisiopatologico e diagnostico che, al di là dell'avversione per le analisi di laboratorio che gli iatrochimici tendevano a valorizzare (VIII, pp. 60-85), consentirono di attribuire il significato di spia dell'esistenza di un processo infiammatorio alla occasionale formazione sulla superficie del sangue prelevato per salasso di una "cotenna" (ibid., pp. 125-128), facilmente identificabile oggi col fenomeno responsabile dell'aumento della velocità di eritrosedimentazione nel corso delle malattie infiammatorie. Merito del G., inoltre, fu la corretta definizione delle febbri intermittenti (l'attuale malaria) come l'episodica e intermittente espressione di uno stato in realtà cronico di malattia (ibid., pp. 159-162); e l'anticipazione di concetti del tutto recenti sull'attivo controllo esercitato dal rivestimento endoteliale sulla coagulazione del sangue, conclusione cui giunse grazie a studi affidati a collaboratori ignari delle attese delle esperienze in corso, un procedimento metodologico che sembra anticipare quello attuale degli studi controllati condotti in condizioni di cecità (ibid., pp. 130-134).
Sul piano farmacoterapeutico, la "nuova farmacologia" nasceva con l'obiettivo di sostituire una razionale monoterapia alla farraginosa multiterapia dell'epoca, che associava e mescolava i più disparati principî attivi o ritenuti tali; in realtà, l'impostazione vitalistica, l'inattendibilità dei meccanismi d'azione che ne discendevano e il principio dell'aspecificità dell'azione farmacologica dei medicamenti indebolirono l'impegno del G. a introdurre un ordine nella giungla terapeutica allora imperante e vanificarono la sua pur corretta trattazione di farmaci ancor oggi pienamente validi (digitale, nitrati, chinina, colchico, ferro, iodio, atropina, segale cornuta) e del loro impiego. Alcuni degli altrimenti inspiegabili successi che la "italiana riforma della medicina" attribuiva all'eroico impiego di drastici agenti ipostenizzanti (salasso, tartaro emetico, cianuro) potrebbero trovare una spiegazione nella reazione di allarme aspecificamente attivata dal loro impiego.
Il successo con cui il G. esercitò la professione medica deve anche ascriversi all'importanza che egli attribuiva alla "medicina morale o psichica" (IV, pp. 16 s.) e all'umana impostazione del rapporto medico-paziente che egli ben sintetizzava nelle lezioni agli allievi (I, p. 350). È interessante osservare, a questo proposito, come il principio del consenso informato, cardine della moderna etica medica, sia pienamente espresso nel capitolo dedicato agli interventi chirurgici del suo Trattato filosofico sperimentale dei soccorsi medici (IX, pp. 309 s.).
Il G. fu socio dell'Accademia patavina di scienze lettere ed arti (della quale fu anche presidente nel 1838-40), dell'Istituto di scienze lettere ed arti di Venezia, dell'Accademia reale di medicina di Pavia, della Società di scienze fisiche ed arti agricole industriali di Francia, dell'Accademia reale di medicina del Belgio, dell'Accademia medica di Ancona. Partecipò all'organizzazione e fu presidente della sezione medica del IV e del VII congresso degli scienziati italiani, a Padova nel 1842 e a Venezia nel 1847.
La sua assidua frequenza ai circoli intellettuali, liberali e antiaustriaci di Padova fu all'origine di attriti con il governo di Vienna, che non furono estranei alle ansie che lo tormentarono negli ultimi mesi di vita.
Morì a Padova il 29 dic. 1849.
Fonti e Bibl.: G.B. Mugna, La clinica medica pei chirurghi dell'I. R. Università di Padova, alla quale suppliva dall'a. scol. 1830-31 al 1833-34 il dottor G. G., Padova 1856, pp. 1-144; O. Schmiedeberg, Rudolph Buchheim, sein Leben und seine Bedeutungfür die Begründung der wissenschaftlichen Arzneimittellehre und Pharmakologie, in Archiv für experimentelle Pathologie und Pharmakologie, LXVII (1912), pp. 1-54; A. Benedicenti, Malati, medici e farmacisti, II, Milano 1924-25, pp. 1359, 1365 s.; A. Cazzaniga, La grande crisi della medicina italiana nel primo Ottocento, Milano 1951, pp. 104-107; R. Taton, Histoire générale des sciences, II, Paris 1958, pp. 623-631; L. Premuda, Riflessi etici e didascalici di un orientamento spiritualistico nell'insegnamento medico padovano della prima metà dell'Ottocento, in Acta medicae historiae Patavina, XIII (1966-67), p. 153; A. Pazzini, Storia dell'arte sanitaria dalle origini a oggi, II, Torino 1974, pp. 1300, 1595 s., 1598; G. Federspil - C. Martini, G.A. G.: un clinico padovano fra metafisica e scienza, in History andphilosophy of the life sciences, XIII (1991), pp. 73-95; G. Federspil, G.A. G. el'evoluzione del pensiero medico nel primo '800, in Atti e memorie dell'Accademia patavina di scienze, lettere ed arti, Memorie della classe di scienze matematiche e naturali, CVIII (1995-96), pp. 175-181; G. Cosmacini, Medici nella storia d'Italia, Roma 1996, pp. 75-82; K. Starke, A history of Naunyn-Schmiedeberg's Archivesof pharmacology, in Naunyn-Schmiedeberg's Archivesof pharmacology, CCCLVIII (1998), pp. 1-109; G. Boccardo, Nuova Enciclopedia italiana, X, Torino 1875-88, pp. 293 s.; A. Hirsch, Biographisches Lexikon der hervorragenden Ärzte…, II, p. 738; Enc. Italiana, XVI, p. 936.