GIACOMINO PUGLIESE
Il nome di Giacomino Pugliese, uno dei maggiori e più antichi poeti della Scuola siciliana, giunge dalle rubriche dei manoscritti che tramandano i suoi versi e dalla sfragìs autoriale inscritta negli stessi. Suo è il testo rinvenuto a Zurigo (Zentralbibliothek, ms. C 88) che costituisce la più antica trascrizione di una poesia della Scuola, il primo peraltro certamente (e precocemente) giunto fuori d'Italia.
Il ms. Vat. Lat. 3793 della Biblioteca Apostolica Vaticana (siglato V o A) tramanda sulle cc. 16r-18r le sette canzoni e il discordo che costituiscono attualmente il corpus di G. sotto alla rubrica prevalente: "giacomino pulgliese". Solo una canzone (Tuttor la dolce speranza) è trasmessa anche dal ms. Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Redi 9 (siglato L o B) con la rubrica "Giacomo Pulliese", mentre la canzone, di attribuzione controversa, La dolce ciera, è tramandata anche dai mss. Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Banco Rari 217 (siglato P o C) e Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chigi L. VIII. 305 (siglato Ch o D), con attribuzione comune a Pier della Vigna. Nel testimone zurighese la canzone Resplendiente stella de albur appare invece adespota.
Nessun documento sinora noto nomina un 'Giacomino Pugliese', a corte o fuori del Regnum, quale autore di componimenti lirici. E per quanto tale particolare sia condiviso (con l'eccezione dei membri della famiglia) da tutti gli altri poeti della Scuola Siciliana di cui pure rimangono altre tracce documentarie, nel caso di G. la variabile appare ulteriormente complicata dalla controversa interpretazione del termine 'Pugliese', semplice patronimico per taluni, aggettivo con funzione localizzante per altri. La precisazione storica di un nome siffatto, di una rubrica manoscritta (peraltro presumibilmente desunta dai testi; l'ipocorismo è nei versi, in costrizione di rima: Tuttor la dolce speranza, v. 40; Donna di voi mi lamento, v. 70; Isplendiente, v. 64), ha prodotto una lunga catena di ipotesi, più o meno plausibili.
Se fanno famiglia, pure in declinazioni notevolmente differenziate, coloro che proposero di intendere 'Pugliese' come patronimico (Crescimbeni, Caix, Monaci, Avalle), occorre invece distinguere una pluralità di opzioni fra coloro che avanzarono un'ipotesi identificatoria, più o meno circostanziata. A partire dalla confusione dantesca fra G. e Giacomo da Lentini (De vulgari eloquentia, I, xii, 8) Borgognoni propose per esempio l'identificazione fra i due autori. Monaci, in un secondo momento e sulla scorta del congedo di Lontano amore, propose un 'Jacobinus negociator' intanto rinvenuto in un atto rogato a Cividale nel 1235. Zenatti optò per un altro 'Jacobinus', custode nel 1239 della Camera di Melfi, e Garufi per un 'Jacobinus' di Terlizzi; Scandone infine trovò un 'Jacobus Apuliense' a Catania. L'ipotesi che ebbe successo maggiore (non unanime però: si veda il successivo, fermo giudizio di Contini) fu quella proposta da Francesco Torraca che per primo indicò nel poeta il nobile campano Giacomo di Morra, figlio del gran giustiziere Enrico. La proposta si basava da un lato sulla qualifica di "Apulus" data a Giacomo da Rolandino da Padova (Chronica, 217), dall'altro sul fatto che allo stesso si assimilava quel "Iacobus de Mora" committente, con Corraduccio di Sterleto, del Donat proensal (v. Grammatica e, per la valutazione delle ipotesi, Brunetti, Il frammento inedito, 2000, p. 182 ss.; Ead., Giacomino Pugliese, 2000).
Da puntualizzare infine che, come già in latino (apulus), la qualifica di 'pugliese' nella geolinguistica medievale poteva bene indicare un meridionale del continente, un non isolano (Varvaro, 1981, p. 139), con la conseguenza che la connotazione parrebbe di qualche significato solo in Sicilia o fuori dal Sud dell'Italia. Infine, l'occorrenza di 'pugliese' nell'accezione di 'uomo sleale, bugiardo' (Coluccia, 1996, p. 382) non risulterebbe sconveniente alla proposta di identificazione di G. con Giacomo di Morra per il quale, in seguito alla congiura di Capaccio, Federico stesso usò l'epiteto di "proditor", utilizzato anche per Pier della Vigna (cf. H.M. Schaller, Della Vigna [de Vinea...], Pietro, in Dizionario Biografico degli Italiani, XXXVII, Roma 1989, p. 780 [pp. 776-784]).
Accanto all'interpretazione storica della rubrica, due luoghi testuali costituirono occasione di ipotesi sull'identità di G.: le indicazioni topografiche iscritte nel congedo della canzone Lontano amore e un paragone utilizzato nel compianto Morte perché, vv. 11-12: "solea avere sollazo e gioco e riso / più che null'altro cavaliere che sia". Già evidenziato da Angelo Colocci a margine della sua copia di V (Biblioteca Apostolica Vaticana, ms. Vat. Lat. 4823, c. 69r), "cavaliere" divenne riferimento alla condizione sociale di G. già per Allacci e Scandone, ma fu poi decisamente rifiutato da Margherita Santangelo (1937, p. 12), in realtà in nome di un pregiudizio che etichettava intanto la produzione di G. come 'giullaresca'. Più complessa l'interpretazione del congedo di Lontano amore, vv. 29-35: "Canzonetta va a quella ch'è dea, / che l'altre donne tene in dimino, / de Lamagna infino in Aghulea / di quello regno ch'è più fino / degli altri regni; a! Deo, quanto mi piace! / In dolze terra dimoranza face / madonna, c'a lo fiore sta vicino". Nell'invio si salda dunque il motivo amoroso al Regno di Federico II, riconosciuto come l'unico vero luogo (lontano) di amore e cortesia. Il v. 31, inoltre, più che un generico richiamo all'Italia settentrionale (o alla Marca trevigiana, come è per Scolari), pare infine precisare due termini ben individuabili: la Germania e Aquileia, ed è probabile che alluda perciò a un'occasione storica precisa, ovvero all'importante (e unico) incontro politico avvenuto proprio nella primavera del 1232, ad Aquileia, fra la corte tedesca di Enrico (primogenito di Federico II e re di Germania dal 1220) e la corte meridionale dell'imperatore (Brunetti, Il frammento inedito, 2000, pp. 51-59; per le ipotesi di identificazione di "Aghulea", cf. Ead., Giacomino Pugliese, 2000, p. 185).
L'antichissima testimonianza zurighese (databile agli anni 1234-1235) offre un testo complesso, composito dal punto di vista linguistico: all'originale in siciliano illustre è sovrapposta una patina settentrionale a cui uno scriba tedesco aggiunse alcune trivializzazioni di superficie. L'ipotesi sulla diffusione del testo di G. (in Friuli, ad Aquileia, nel 1232, città che, come si è visto, è citata ‒ ed è fra le pochissime indicazioni topografiche rinvenibili nei testi dei siciliani ‒ nel congedo della canzone Lontano amore, vv. 29-35) comprende una variabile importante: Federico si era messo in cammino verso il Friuli proprio da Ravenna, dove aveva dimorato per tre mesi con la sua corte. È singolare perciò che alla stessa Ravenna conduca ora un'altra sopravvissuta 'traccia' delle origini italiane, ovvero i testi ritrovati da Augusto Campana e pubblicati da Alfredo Stussi (Stussi, 2000 e Castellani, 2000, p. 532). Tuttavia, se il secondo testo, brevissimo e più tardo, potrebbe tradire qualche elemento di connessione con la 'lingua meridionale' (non necessariamente con numerate e individuabili elaborazioni poetiche), il primo, comprensivo peraltro di una variante autografa, "la prima della letteratura italiana" (Stussi, 2000, p. 613), ci risparmia il problema dell'influsso, che pare davvero da escludere, dei poeti fridericiani per lasciarci solo attenti alle notevoli difficoltà della localizzazione di un prezioso autografo (Brunetti, Reperti, 2001, p. 189).
L'opera di G. è caratterizzata da un forte sperimentalismo, ravvisabile nell'uso delle forme metriche e nel verso, nella lingua e nei registri scelti, nei generi esperiti. Nessun sonetto, come per molti dei poeti antichi, e un discordo: Donna per vostro amore, connotatissimo, a partire dall'autodefinizione di 'caribo' (v. 50). Da rilevare che se il discordo è forma antica (sperimentata, a parte gli indefiniti adespoti, dai soli G., "Re Giovanni" e Giacomo da Lentini), la mancanza nel corpus di sonetti è di quasi tutti i rimatori siciliani (il rilievo, utile per l'evoluzione del genere, è raccolto da Billy, 2002, p. 603). Sotto all'unica rubrica di 'canzone' albergano invece un compianto, Morte perché m'ài fatta sì gran guerra, il primo, assieme a quello di Pier della Vigna, della letteratura nazionale e di valore modellizzante fino a Dante e Petrarca; una canzone a esordio primaverile, Quando vegio rinverdire, che riprende l'incipit della canso redonda di Gaucelm Faidit (Can vei reverdir les jardis), ovvero dell'unico testo scritto in lingua d'oïl dal trovatore; un contrasto, Donna di voi mi lamento, che, secondo il modello proprio all'altercatio, modula e contrappone, teatralmente, una voce e una forma maschile a una femminile. Quest'ultimo testo comprende il sintagma 'libro di Giacomino' ("che lo libro di Giacomino / lo dica per rimembranza", vv. 70-71) che è stato da taluni interpretato come forma di aggregazione testuale e dunque quale antecedente della forma 'canzoniere' (Brunetti, 1999).
Anche l'uso dei metri, spesso combinati in vere e proprie figure geometriche, appare del tutto speciale e differenziato: la predilezione per forme più 'musicali', brevi e spezzate, invece dell'endecasillabo e del settenario, l'uso consapevole dell'eco di rima. Da sottolineare anche l'impiego peculiare del decasillabo, verso assai raro nella poesia dei primi secoli. Sul gusto spiccato per la 'canzonetta', sulla scelta cioè di un registro cantabile, occorrerebbero maggiori riflessioni: non solo per il riconoscimento di una linea interna alla storia del genere canzone, quanto anche per la difficile questione relativa alla presenza della musica nel/sul testo siciliano (Brunetti, Attorno a Federico II, 2001, pp. 677-678), problema giustamente riproposto da Schulze anche a partire dall'esame di una, tuttavia più tardiva, attestazione documentaria (Schulze, 2002, pp. 431 ss.).
I registri e le voci sono nei testi variabilissimi: i canoni più noti e scontati del gran canto cortese transi-tano spesso in eccezioni realistiche (peraltro altrettanto classiche e trobadoriche) che, se solo a giudizi di-sattenti parvero 'popolareggianti' o, peggio, 'giullaresche', ora è invece possibile riconoscere in quella semisommersa linea di espressivismo che connota alcune fra le migliori prove delle origini italiane. All'interno del registro più 'aulico' pare inoltre interessante rilevare la risoluzione di un peculiarissimo trobar leu, perseguito e realizzato anche attraverso il tema, centrale nel canzoniere, della 'rimembranza'.
Il tema del ricordo si combina efficacemente al 'dire per rima' (Tuttor la dolce speranza, v. 37) e in tal modo sia al mestiere, alla propria perizia, sia al già menzionato "libro di Giacomino". Tale poetica del "dolce e confortante rimembrare, dell'urgenza della parola-ricordo" (Folena, 1965, pp. 301 s., 336) che rende unitario il canzoniere, è declinata anche sui temi della gelosia, della "fallanza" e del mantenimento della fedeltà nell'assenza (interno quest'ultimo al topos della lontananza degli amanti).
Notevole appare infine la conoscenza e l'utilizzazione di testi più o meno contemporanei: ai trovatori, anche quelli solitamente meno frequentati (Gaucelm Faidit, per esempio, accanto alla presenza di Raimbaut de Vaqueiras), parrebbero da accostare i trovieri, forse i romanzi francesi. La rete intertestuale coi siciliani coevi è fittissima, ma solo in alcune trame e direzioni privilegiate: Giacomo da Lentini (S'io doglio, Dolze coninzamento, Madonna mia a voi mando, Troppo son dimorato, Meravigliosa-mente), Rinaldo d'Aquino (In gioi mi tegno), Pier della Vigna (Amore in cui disio), spesso gli stessi testi attribuibili a Federico II (Dolze meo drudo; cf. l'edizione critica a cura di G. Brunetti, in corso di stampa). Quanto ciò sia valutabile in termini di selezione, quanto sia necessitato dalle condizioni della prima stagione della poesia fridericiana, riesce difficile per ora stabilire.
Fra gli emuli è infine da ricordare Compagnetto da Prato che, nei suoi due componimenti noti, adoperò non solo gli stessi metri di G. (di Quando vegio rinverdire e Tuttor la dolce speranza), ma affiancò alla ripresa del tema l'impiego delle caratteristiche e rare rime sdrucciole (L'amor fa una donna, v. 34, intendere : isciendre) che arriveranno a essere incastonate da Dante in Poscia c'amor del tutto m'ha lasciato (intendere : vendere, vv. 33-34) e poi nella Commedia (Inf. XXIII, 32-34-36).
Fonti e Bibl.: L. Allacci, Poeti antichi raccolti dai codd. Vat. 3793 e Barber. XLV, Napoli 1661, p. 50; G.M. Crescimbeni, Commentarj intorno alla storia della volgar poesia, IV, Roma 1711, p. 19; Historia diplomatica Friderici secundi; Le antiche rime volgari secondo la lezione del codice Vaticano 3793, a cura di A. D'Ancona-D. Comparetti, I, Bologna 1875, pp. 379-403; Rolandino da Padova, Chronica in factis et circa facta Marchiae Trivixane, in R.I.S.2, VIII, 1, a cura di A. Bonardi, 1905; G.M. Monti, Giacomino Pugliese e le sue rime, Città di Castello 1924; M. Santangelo, Le poesie di Giacomino Pugliese, Palermo 1937; E. Monaci, Crestomazia italiana dei primi secoli, a cura F. Arese, Roma-Napoli-Città di Castello 1955, pp. 120-126; Poeti del Duecento, a cura di G. Contini, Milano-Napoli 1960, pp. 145-148; B. Panvini, Le rime della scuola siciliana, I, Firenze 1962, pp. 179-195; Concordanze della lingua poetica italiana delle origini, a cura di d'A.S. Avalle e con il concorso dell'Accademia della Crusca, I, Milano-Napoli 1992; H.C. Skubikowski, A Critical Edition of the Poetry of Giacomino Pugliese, Bloomington, Indiana Univ., Ph.D. 1979 (Ann Arbor, Mich. 1984); G. Brunetti, Il frammento inedito "Resplendiente stella de albur" e la poesia italiana delle origini, Tübingen 2000; Edizione critica commentata dei testi di G. per il CPS, a cura di G. Brunetti. Edizione nazionale patrocinata dal Centro di studi filologici e linguistici siciliani sotto la direzione di C. Di Girolamo e R. Coluccia, in corso di stampa. Inoltre: A. Gaspary, La scuola poetica siciliana del secolo XIII, Livorno 1882, pp. 115, 119, 123, 145, 249; F. Torraca, La scuola poetica siciliana del sec. XIII, in Studi sulla lirica italiana del Duecento, Bologna 1902, pp. 119 ss.; F. Scandone, Notizie biografiche di rimatori della scuola poetica siciliana con documenti, Napoli 1904, pp. 313-328; G. Bertoni, Il pianto di Giacomino Pugliese per la donna amata, in Studi su vecchie e nuove poesie e prose d'amore e di romanzi, Modena 1921, pp. 101-109; O.J. (Tallgren) Tuulio, Una canzone di Giacomino Pugliese, "Aevum", 9, 1935, pp. 261-280 (cf. la recensione di G. Contini in "Revue des Études Italiennes", 1, 1936, pp. 60-62); A. Scolari, Il "Pianto" di Giacomino Pugliese e la sua fortuna fino a Petrarca, "Atti e Memorie della Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere di Verona", ser. V, 19, 1941, pp. 191-217; L. Spitzer, Un passo di una canzone di Giacomino Pugliese, "Cultura Neolatina", 10, 1955, pp. 143-146; G. Folena, Cultura e poesia dei siciliani, in Storia della letteratura italiana, I, Le origini e il Duecento, Milano 1965, pp. 293-372; A. Varvaro, Lingua e storia in Sicilia, I, Palermo 1981; J. Schulze, Sizilianische Kontrafakturen, Tübingen 1989; R. Antonelli, La corte 'italiana' di Federico II e la letteratura europea, in Federico II e le nuove culture. Atti del XXXI Convegno storico internazionale (Todi, 9-12 ottobre 1994), Spoleto 1995, pp. 319-345; F. Brugnolo, La scuola poetica siciliana, in Storia della letteratura italiana, diretta da E. Malato, I, Dalle origini a Dante, Roma 1995, pp. 265-337; R. Coluccia, La situazione linguistica dell'Italia meridionale al tempo di Federico II, "Medioevo Romanzo", 20, 1996, nr. 3, p. 382; G. Brunetti, Il libro di Giacomino e i canzonieri individuali: diffusione delle forme e tradizione della Scuola poetica siciliana, in Dai Siciliani ai Siculo-toscani. Lingua, metro e stile per la definizione del canone. Atti del Convegno di studi (Lecce, 21-23 aprile 1998), Lucca 1999, pp. 61-92; Ead., Giacomino Pugliese, in Dizionario Biografico degli Italiani, LIV, Roma 2000, pp. 183-188; A. Castellani, Grammatica storica della lingua italiana, I, Introduzione, Bologna 2000; A. Stussi, La canzoneQuando eu stava, in Antologia della poesia italiana, diretta da C. Segre-C. Ossola, I, Duecento-Trecento,Appendice, Torino 2000, pp. 607-620; G. Brunetti, Attorno a Federico II, in Lo spazio letterario del Medioevo, II, Il medioevo volgare, 1-2, Roma 2001, pp. 649-693; Ead., Reperti di un uso lirico italiano settentrionale, in Ezzelini. Signori della Marca nel cuore del potere imperiale di Federico II, a cura di C. Bertelli-G. Marcadella, Milano 2001, pp. 186-189; D. Billy, Recensione a G. Brunetti, Il frammento inedito "Resplendiente stella de albur" e la poesia italiana delle origini, Tübingen, Niemeyer 2000, "Revue de Linguistique Romane", 66, 2002, pp. 601-604; J. Schulze, Eine bisher übersehene sizilianische Kanzone mit Melodie in Katalonien, "Zeitschrift für Romanische Philologie", 118, 2002, nr. 3, pp. 430-440. N. Kamp, Morra, Heinrich v., in Lexikon des Mittelalters, VI, München-Zürich 1992, col. 845.