BIXIO, Giacomo Alessandro
Nacque da Tommaso e da Colomba Caffarelli il 20 nov. 1808 a Chiavari, allora parte del dipartimento francese degli Appennini; il padre, battiloro, successivamente si trasferì a Genova come impiegato all'Ufficio del marchio. Padrino di battesimo del B. fu il sottoprefetto francese A. Stechs, che al nome Giacomo del bambino aggiunse il suo; caduto poi Napoleone, lo Stechs tornò in patria e portò con sé il figlioccio. Il B. in Francia seguì gli studi al collegio di St. Barbe, da cui uscirono molti esponenti politici liberali. Frequentò quindi l'Ecole de médecine di Parigi, dove si laureò, pur non esercitando mai la professione di medico.
Già nella rivoluzione del 1830, cui partecipò ancora studente (A. Dumas padre lo ricorda nei suoi Mémoires), ilB. appare un liberale: come delegato della sua facoltà fu membro della commissione per le ricompense nazionali. Non è provato invece che fosse affiliato alla carboneria. Durante la monarchia di luglio fu comunque molto legato ai capi dell'opposizione, e in particolare alla redazione del National, e fu quindi ritenuto di sentimenti repubblicani.
Si è ripetutamente affermato che il B. sia stato fondatore, con F. Buloz, della Revue des deux mondes; in realtà, quando alla fine del 1831 la rivista, che era stata fondata nel 1829, si trovava in difficoltà economiche e Buloz cercava dei capitali, il B., che gli era amico, lo mise in rapporto con i fratelli Bonnaire che assunsero l'impresa in accomandita. È probabile che nella redazione della rivista, di tendenza liberale, egli sia entrato in relazione con tutte le personalità che vi collaboravano e che la resero famosa: Lamartine, Merimée, Michelet, A. Thierry, Quinet, Littré, Sainte-Beuve, Chasles e Ampères.
Il B. scelse la carriera di pubblicista, ma in un campo particolare: nel 1835 lo si trova infatti direttore, con Bailly e Malepeyre, della Maison rustique du XIX siècle, enciclopedia di agricoltura pratica che uscì in centotrentasette dispense (invece delle centotrenta previste) e il cui ultimo volume, il quinto, vide la luce nel 1844.
L'iniziativa, la prima del genere in questo campo, ebbe subito un grande successo, in un momento in cui il rammodernamento e la valorizzazione dei propri possedimenti terrieri era diventata un'occupazione dell'alta nobiltà legittimista, che non volendo servire Luigi Filippo si era ritirata in campagna. Il pubblico si appassionò a queste pubblicazioni e chiese un'informazione sempre più completa e regolare; fu così che il B. affiancò all'opera maggiore altre edizioni dello stesso genere: nel luglio 1837 fondò il Journal d'agriculture pratique de jardinage et d'économie domestique, i cui collaboratori furono gli stessi della Maison rustique: membri dell'Académie des sciences come P. Molard, pratici come P. de Vilmorin, il prefetto C. Rambuteau, l'uomo politico A. de Gasparin e altri (anche Cavour collaborò al Journal con due articoli nel settembre 1841 e nell'aprile 1844: vedili ora in Scritti d'economia 1835-50, a cura di F. Sirugo, Milano 1962, pp. 42-50 e 144-49). Il B. stesso vi pubblicò articoli di economia agrari o intorno alle nuove macchine per l'agricoltura. Nel 1842 fu tra i fondatori degli Annales forestières e nel 1844 diede vita con V. Ysabeau all'Almanach du jardinier, cui seguì l'Almanach du cultivateur e infine l'Annuaire de l'horticulteur, che riscossero lo stesso successo. La grande attività e il vivo senso degli affari gli fecero raggiungere un certo agio ed anche una certa notorietà: una biografia dei deputati del 1848 lo definiva come insigne naturalista".
Ai primi del 1848 il B. era presidente dell'opposizione del Comitato elettorale del decimo arrondissement di Parigi; i primi fatti che diedero l'avvio alla rivoluzione del '48 lo videro molto attivo: ebbe influenza sul moto riformista della 10ª legione del 23 febbraio, e riunì a casa sua, per l'ultima volta, il comitato centrale degli elettori e dei deputati d'opposizione. Dopo l'abdicazione di Luigi Filippo, accolta da lui con favore come pure la Reggenza, quattro membri del governo provvisorio, Crémieux, Lamartine, Dupont de l'Eure e Garnier-Pagès, lo autorizzarono a ritirare la dichiarazione che proclamava la repubblica e che doveva essere pubblicata sul Moniteur; gli altri membri del governo intervennero in senso contrario e vinsero. Instaurata la repubblica, il B. accettò il posto di capo di gabinetto di Lamartine divenuto ministro degli Esteri. Ma ben presto, il 15 marzo, in seguito agli avvenimenti italiani, fu inviato a Torino a reggervi l'ambasciata francese.
Secondo lo stesso Lamartine, l'incertezza dei rapporti allora esistenti tra Piemonte e repubblica francese non aveva permesso l'invio in quella capitale di un ambasciatore o un ministro, e il compito del B. fu quindi limitato a "mantenere rapporti ufficiosi di buona amicizia" tra i due paesi. Dai dispacci da lui inviati da Torino e da quelli da lui ricevuti da Parigi, in parte pubblicati da L. Chiala e da Garnier-Pagès, risulta che la sua azione, specie in un primo tempo, mirò a impedire un intervento militare francese, non richiesto dal Piemonte, e che il B. affermava (15 apr. 1848) sarebbe stato considerato "come un atto di slealtà indegno della Francia". Ciò che maggiormente colpiva l'inviato francese nei contatti che aveva a Torino era la "folle e pericolosa" fiducia nutrita dai Piemontesi nella possibilità di vincere la guerra senza l'aiuto straniero (17 aprile); egli si diceva invece sicuro che il Piemonte sarebbe stato sconfitto e che allora da tutta l'Italia sarebbe stato invocato l'aiuto della Francia. Personalmente il B. era favorevole a un regno costituzionale dell'alta Italia che andasse da Genova a Venezia, e in ciò era in disaccordo col governo di Parigi che, come gli scrisse J. Bastide il 28 maggio, pur rispettando la volontà dei Piemontesi di rimanere fedeli alla monarchia, simpatizzava invece per le repubbliche e quindi per il diritto della Lombardia e di Venezia a decidere del loro destino. A Torino il B. strinse numerose amicizie e si guadagnò la stima e la simpatia di molti: entrò in rapporto con il futuro re Vittorio Emanuele II, Pareto lo riceveva quasi ogni giorno; inoltre la sua conoscenza con Cavour, che doveva risalire a un viaggio di quest'ultimo in Francia nel 1837 o nel 1840, si trasformò in vera amicizia.
Alle elezioni per l'Assemblea costituente francese il B. era stato eletto per il dipartimento del Doubs (egli era membro dell'associazione "Amélioration du Doubs"). Quando ebbe notizia dell'invasione dell'Assemblea, avvenuta il 15 maggio, protestò energicamente e prevedendo altri eventi del genere sollecitò il proprio richiamo in patria, desideroso di occupare il posto di deputato. Ai primi di giugno il suo successore, de Reiset, raggiunse Torino e il B. poté fare ritorno a Parigi in tempo per essere presente ai fatti del 23 giugno. Uomo d'ordine, sostenne energicamente il governo e prese parte, le armi alla mano, con i deputati partigiani del Cavaignac, alla repressione dell'insurrezione. Questo fatto gli valse la nomina per acclamazione a vicepresidente dell'Assemblea nazionale, carica che gli fu riconfermata per cinque volte. All'Assemblea si schierò con i repubblicani moderati e la sua posizione politica si identificò quindi con quella del gruppo che sosteneva il generale Cavaignac. Il 10 luglio venne eletto anche consigliere comunale di Parigi, e ricoprì questa carica sino al 1851.
Dopo l'elezione di Luigi Napoleone a presidente della repubblica, il B. accettò il portafoglio del ministero dell'Agricoltura e Commercio, ma rimase in carica per soli pochi giorni, dal 20 al 29 dic. 1848: si dimise infatti per protestare contro il modo con cui erano stati esclusi dal gabinetto alcuni colleghi. Continuò la sua attività all'Assemblea, e in particolare si interessò agli avvenimenti italiani. Così, il 30 marzo 1849, dopo che era giunta la notizia della disfatta piemontese a Novara, egli propose, a nome del comitato degli Affari Esteri, la mozione approvata poi dall'Assemblea, che autorizzava il governo a un eventuale temporaneo e parziale intervento in Italia. Qualche giorno dopo, il 16 aprile, il B. votò con la maggioranza i crediti destinati alla spedizione francese a Roma, coerentemente al giudizio negativo sul moto romano già da lui espresso all'Assemblea. Alle elezioni del 13 maggio fa rieletto contemporaneamente dal dipartimento della Senna e da quello del Doubs, e optò per questo ultimo; continuò anche a far parte del gruppo dei repubblicani moderati, rimanendo fedele al Cavaignac.
Al momento del colpo di stato del 2 dic. 1851, il B. era con il gruppo di rappresentanti che, riuniti nella Mairie del decimo arrondissement di Parigi, proclamarono la decadenza del presidente della repubblica. Incaricato con altri di portare il decreto alla Stamperia, mentre era assente vennero arrestati tutti gli altri deputati: il B. si costituì alla polizia e rimase nella prigione di Mazas per un mese. Uscitone, la sua carriera politica era finita. Aveva sempre dato prova di coraggio e onestà intellettuale; orientato in senso molto moderato, il suo repubblicanesimo trovava origine più che da una vera convinzione, da motivi di contingenza politica.
Il B. riprese le sue precedenti attività, occupandosi di pubblicazioni agricole e soprattutto del Journal d'agriculture pratique. Ma ciò che da quel momento caratterizzò la sua vita fu la attività in campo economico e finanziario. Entrò infatti nel giro delle "grandes affaires" e soprattutto in quelli dei fratelli Pereire, che nel 1852 avevano fondato il celebre Crédit mobilier. Non sappiamo come e quando il B. entrò in rapporto con i banchieri parigini, tuttavia non dovette essere nei primissimi anni del secondo Impero; essi comunque avevano un amico in comune, H. Biesta, a lungo direttore del Comptoir d'escompte di Parigi, che può averli messi in contatto.
È probabile sia stato il 1856 l'anno in cui il B. accettò di entrare in vari consigli di amministrazione di imprese patrocinate dal Crédit, specie in quelle spagnole; fu infatti uno dei primi amministratori del Credito mobiliare spagnolo, e in seguito partecipò ai consigli delle imprese industriali create dalla nuova banca spagnola: la Compagnia delle strade ferrate del Nord della Spagna, la Società per la canalizzazione dell'Ebro, la Società delle miniere di rame di Huelva. Anche in Francia il B. entrò a far parte della direzione di grandi società fondate o sostenute dai Pereire: le ferrovie del Delfinato, la Compagnia parigina per l'illuminazione e per il riscaldamento a gas e, infine, la Compagnia generale transatlantica.
Erano gli anni in cui i Pereire tendevano ad allargare la loro attività a tutta l'Europa. Quando il Piemonte cominciò a sviluppare la sua economia e, intorno al 1850 e soprattutto dal 1856, a creare le sue grandi industrie, i Pereire, come altri gruppi finanziari francesi ed europei, cominciarono a interessarsene. Ed è allora che l'opera del B. poté risultare più utile per le relazioni e le amicizie che aveva nel paese e particolarmente per gli stretti rapporti con Cavour. La sua attività finanziaria nel regno sardo e più tardi nel regno di Italia si intrecciò strettamente a un'attività più propriamente politica.
Per la parte finanziaria, è noto che il B. fu tra i primi amministratori della Compagnia Vittorio Emanuele, fondata nel 1853 dal banchiere parigino Charles Laffitte e destinata a costruire le principali strade ferrate della Savoia, da Chambéry a Lione, da Ginevra a Modane: essendosi spesso presentate difficoltà di ogni tipo, Cavour si servì sovente del B. come suo portavoce nel consiglio di aniministrazione. A sua volta il B. si rivolgeva a Cavour per agevolazioni o appoggio in imprese nel regno di Sardegna, cui era interessato (per esempio, concessioni per società di assicurazione, costruzione della ferrovia tra Genova e la frontiera del ducato di Modena). Egli fu inoltre uno dei tramiti attraverso il quale Cavour, in previsione della II guerra d'indipendenza, trattò ai primi del 1859 un prestito con i Pereire, quando la casa Rothschild, con la quale il Piemonte solitamente trattava, rifiutò di aprirgli nuovi crediti. Certo il suo non fu un successo, ma in fin dei conti poté trasmettere a Cavour un'offerta che riguardava insieme il prestito e la riorganizzazione del Credito mobiliare piemontese, allora in pessime acque. Le condizioni parvero onerose e Cavour rinunciò all'operazione, lanciando, invece, e con successo, un prestito interno.
Sul piano politico l'azione del B. fu principalmente di informazione e tramite tra Cavour e il mondo politico parigino: uomo di vaste relazioni e di notevole acume, in varie occasioni informò Cavour degli umori e delle opinioni prevalenti nei circoli politici e finanziari della capitale francese; nel 1857-58, in particolare, dovette far comodo al ministro piemontese la stretta amicizia che il B. aveva col principe Girolamo Napoleone. Ma, come ha scritto C. Nigra alla figlia del B., Abeille, in una lettera di ricordi sul padre del 1906, di questo tipo di rapporti è rimasto ben poco perché, recandosi il B. spesso a Torino, è probabile che i due amici riservassero questi argomenti a colloqui diretti. Il B. comunque dovette certamente agire come intermediario tra Cavour e il principe in occasione del matrimonio di quest'ultimo con la figlia di Vittorio Emanuele II, Clotilde; è anzi probabile che il primo a pensare al B. come un possibile tramite fosse Cavour. Questi, infatti, il 15 sett. 1857, comunicando al Rattazzi le avances matrimoniali del principe, si mostrava convinto che il B. fosse la persona più adatta a distogliere costui dai suoi progetti matrimoniali; e quando questi procedettero il B. fu una delle poche persone informate sulle trattative. Nel già citato documento il Nigra scriveva di ricordare una sola lettera del B. a Cavour della primavera del 1858, ma "da questa lettera Cavour seppe che l'imperatore Napoleone era disposto a far guerra all'Austria d'accordo e con l'alleanza del re Vittorio Emanuele, se quest'ultimo era disposto alla cessione della Savoia e di Nizza alla Francia e a qualche concessione... Gli è per conseguenza di questa lettera ch'ebbe luogo il convegno di Plombières, il trattato d'alleanza e la guerra".
Scoppiato il conflitto in Italia, due figli del B. si arruolarono nell'esercito piemontese; e quando, concluso l'armistizio di Villafranca, Cavour da Torino sì recò al campo del re, lo accompagnarono Nigra e il B., giunto da Parigi il giorno precedente e ancora ignaro degli ultimi avvenimenti. Da alcuni appunti del Nigra su quei fatti, sembra che il B. avesse chiesto un colloquio con il principe Girolamo Napoleone, ma che questi glielo rifiutasse; il che fu causa, secondo il Nigra, "di una rottura per parecchi anni tra questi due vecchi amici" (Carteggi Cavour-Nigra, II, p. 290). Da Parigi il B. continuò a interessarsi vivamente delle vicende italiane e a esprimere con franchezza la sua opinione e anche, qualche volta, il suo disaccordo in lettere a Cavour. Così fu per la questione della cessione alla Francia di Nizza e della Savoia, che il B. sollecitò in una lettera del 21 marzo 1860, citata da Cavour in Parlamento il 26 maggio successivo come espressione dell'opinione di uno "il di cui patriottismo, la cui imparzialità nessuno può recare in dubbio". E così pure il B. non risparmiò i suoi consigli e le sue critiche a Cavour per come si stava risolvendo la questione dell'esercito garibaldino (ibid., IV, 6 e 14 ott. 1860), in questo probabilmente influenzato dalle opinioni del fratello Nino. Altro episodio in cui il B. ebbe una parte discreta, ma importante, fu quello dei rapporti tra Cavour e Kossuth, in vista, in questo periodo, di un'insurrezione in Ungheria e di un eventuale appoggio ad essa da parte del Piemonte. Attraverso il suo amico profugo ungherese Szavardy il B. mise in rapporto i due e successivamente fu lui a far da tramite per la corrispondenza.
Subito dopo la liberazione del Mezzogiorno il B. si recò a Napoli e a Palermo probabilmente, da quel che si arguisce da una lettera di Cavour a Farini (3 dic. 1860), per vedere quali probabilità potevano sussistere in queste città per "combinare qualche grande affare pel credito mobiliare parigino". Cavour, sollecitando Farini ad agevolarlo specie se avesse voluto stabilire un credito mobiliare napoletano, esprimeva un giudizio positivo su questa iniziativa del Pereire anche per i benefici che avrebbe potuto portare a Napoli.
Nel 1863, quando i Pereire e il Crédit mobilier di Parigi trattarono con il Credito mobiliare italiano, il B. era presente; entrò poi nel consiglio di amministrazione di questa impresa finanziaria di cui sono noti sia i successi sia, molto più tardi, le difficoltà. Era così impegnato in quel vasto movimento d'affari che caratterizzò il secondo Impero. Secondo una guida finanziaria del 1864, a quest'epoca faceva parte di otto consigli di amministrazione di imprese che erano tra le più importanti dell'epoca e agivano in tre paesi europei. Non meraviglia perciò se nell'assemblea generale del 9 apr. 1863 del consiglio di amministrazione del Crédit mobilier di Parigi, che era alla testa di tutto questo gruppo, il B. ne fosse eletto membro. Le sue funzioni non erano una pura forma: sappiamo che egli si occupò attivamente e assiduamente degli affari di cui aveva accettato di essere l'amministratore.
Colto, di spirito vivo e curioso, il B. non si contentò di seguire da lontano l'attività politica e di partecipare alla gestione delle "grandes affaires". Aveva mantenuto un certo numero di amicizie della sua giovinezza e indubbiamente volle mantenere i contatti con un mondo molto diverso da quello della sua attività; sin da prima del 1856, data che di solito si cita come quella della nascita del "dîner Bixio", amò raccogliere intorno a sé degli amici, in genere uomini che, a prescindere dalla nascita e dalla condizione sociale, rappresentavano qualcosa nel paese. Le riunioni, che divennero regolari ogni venerdì, avevano luogo al noto ristorante Philippe; fu convenuto che i convitati non dovessero oltrepassare i venti e si formò così una specie di piccola accademia. Tra i primi convitati vi furono pittori come Delacroix e Meissonnier, letterati come Merimée, A. Dumas padre, E. Augier, politici come Arago, il duca Decazes e Ferri-Pisani, e un banchiere A. Donon, e più tardi, a mano a mano che si facevano dei vuoti, Turgenev, Sainte-Beuve, C. Nigra, i banchieri Biesta e Delessert.
Verso la fine della vita il B. era una personalità notevole per il ruolo politico svolto e per gli affari che conduceva su scala europea. L'educazione ricevuta, e forse specialmente quella impartitagli a St. Barbe, gli diede una grande libertà di spirito, ma anche una vita tormentata da dubbi ed esitazioni: fu infatti sul punto di convertirsi al protestantesimo e desistette solamente per l'amara esperienza di un amico.
Il B. morì a Parigi il 16 dic. 1865. I suoi funerali furono grandiosi; il principe Girolamo Napoleone vi rappresentava la famiglia imperiale.
Fonti e Bibl.: Oltre ai necrologi, a memorie dell'epoca (Dumas, Lamartine, Kossuth, Arago, ecc.) e alle voci di enciclopedie e dizionari biografici sia italiani sia francesi, si vedano: L. Wetzel, A. B., Besançon 1869; E. Bixio, A. B. Cenni biografici e storici, Genova 1911; A. Aspesi, Tra due patrie. Vita di A. B., Milano 1956. Più specificamente, su singoli episodi della vita del B., si veda J. Bastide, La République francaise et l'Italie en 1848, Bruxelles 1858, pp. 43 ss.; L. A. Garnier-Pagès, Histoire de la révolution de 1848, I, Paris 1861, pp. 239 ss.; L. Chiala, La vita e i tempi del generale Dabormida, Torino 1896, pp. 409, 413 ss.; C. Cavour, Lettere edite ed inedite, a cura di L. Chiala, Torino 1883-87, ad Indicem; Carteggi di Camillo Cavour, Bologna 1926-1954, ad Indicem; N. Bixio, Epistolario, a cura di E. Morelli, Roma 1939-54, ad Indicem; B. Gille, Histoire de la Maison Rothschild, II, (1848-1870), Genève 1967, pp. II, 176, 356, 364. Sono stati utilizzati anche documenti comunicati dalla discendente sig.na Depret-Bixio.