GUALZETTI, Giacomo Antonio
Nacque a Napoli nel 1772. Nulla si sa riguardo alla famiglia e alla formazione. Le prime notizie su di lui risalgono a quando, ancora giovanissimo, si impose all'attenzione del pubblico teatrale, prima napoletano e poi italiano, con la rielaborazione di un notissimo dramma in versi di F.-Th. Baculard d'Arnaud, tratto a sua volta da un romanzo di Claudine-Alexandrine Guérin de Tencin, i Mémoires du comte de Comminges: tema centrale l'amore infelice di due giovani, il conte di Comminges, appunto, e Adelaide.
Il dramma di Arnaud era del 1765; la riduzione italiana del G. fu rappresentata nel 1789 nel teatro dei Fiorentini di Napoli, col titolo Conte di Comingio. Si trattava in realtà d'una trilogia: Gli amori di Comingio, Adelaide maritata, Adelaide e Comingio romiti; ma nell'ultimo dramma veniva riproposta proprio la situazione centrale nell'opera di Arnaud: i due amanti si ritrovavano, entrambi in abiti monacali, nella trappa. La scelta del G. di dedicare all'episodio della trappa la terza opera della trilogia dovette suscitare qualche critica se, nella prefazione alla Collezione delle sue commedie (4ª ed., Napoli 1807), egli sentì il bisogno di giustificarsi dall'accusa di essere stato un troppo fedele imitatore di Arnaud.
Nel primo dei tre drammi il G. presenta l'incontro e l'innamoramento dei due giovani: il conte di Comingio, che si presenta con il falso titolo di marchese di Lungunois, e Adelaide. Dopo una serie di inevitabili equivoci e incomprensioni, con l'arrivo del padre di Comingio si scopre che Adelaide è l'erede della famiglia di Lussan, nemica storica dei Comingio; l'irremovibile ostilità del padre porta alla separazione. Nel secondo dramma Adelaide compare come sposa del marchese di Benavides e Comingio, ancora una volta, sotto le mentite spoglie d'un pittore che offre il proprio talento proprio in casa Benavides. La sua identità però è presto scoperta ed egli non può evitare il duello nel corso del quale uccide Benavides, e di nuovo deve abbandonare Adelaide. Nell'ultima parte della trilogia, come accennato, i due giovani, inconsapevoli, sono vicini di cella nella trappa: Adelaide col nome di Eutimio, Comingio con quello di Arsenio. Quando infine si riconoscono, Adelaide, con grande tormento interiore, decide - in nome d'un vincolo più alto, quello religioso - di abbandonare Arsenio. Tuttavia, come notò B. Croce (1949, p. 160) al G. "non resse l'animo di far morire Adelaide", così la si vede svenire e abbandonare poi l'eremo in compagnia del padre di Comingio.
L'anno precedente l'uscita del Conte di Comingio era già stata rappresentata una commedia del G., Il mendico (Napoli 1788), la cui trama riguardava una famiglia una volta ricca, ridotta in condizioni di estrema povertà a causa della piena d'un fiume che aveva distrutto i pochi beni rimasti e delle vessazioni di un marchese di Craon e del suo perfido consigliere, Luziano. Nel 1789 seguì un'altra commedia in un atto, dal titolo I studenti (Napoli).
La costruzione era quella tipica della commedia dell'arte: Faustina, promessa sposa a don Pompeo, ama, riamata, il giovane Ridolfo, amico di famiglia, che si finge malato - d'un male assai strano, motivo d'occasionali spunti comici - pur di non lasciare la casa. Con uno scambio di persona (cameriera-padrona) Ridolfo, com'è facile immaginare, riesce a sposare Faustina.
Riguarda invece le virtù matrimoniali la commedia Ermanzia, overo Gli amanti virtuosi (edita poi sempre a Napoli nel 1802), dove la serenità dell'unione coniugale tra Claudio ed Ermanzia è turbata da un amico dello sposo, il capitano Lavernù, che in gioventù aveva amato, ricambiato, Ermanzia. Ma - come, del resto, recita il titolo - la virtù riesce ad avere la meglio, e l'amicizia viene ricomposta.
Il G. non disdegnò l'uso del vernacolo - affidato a un personaggio della notorietà di Pulcinella - riproponendo la storia di Robinson Crusoe (Robinson Crusoe, overo L'uomo solo con Pulcinella destinato pasto de' cannibali, ibid. 1802).
La commedia, dalla trama assai intricata, s'apre con Crusoe che libera un selvaggio (che prenderà il nome di Venerdì) dai cannibali. Sulla stessa isola vengono, poi, abbandonati Pulcinella e il suo padrone, Jeffers. In un secondo momento sbarca anche Judit - che si scopre poi essere la moglie di Crusoe - imbarcata sulla nave di Jeffers. Sarà poi la volta di Smith - figlia di Crusoe - catturata però dai selvaggi e salvata da Atkins, acerrimo nemico di Jeffers. Crusoe giunge a riabbracciare moglie e figlia, ma solo per essere fatto prigioniero dai cannibali. Il lieto fine è assicurato dall'arrivo di Jeffers, che riesce a portarli in salvo.
Il giudizio sul G. di B. Croce, ne I teatri di Napoli, è impietoso ma certo non lontano dalla verità: il G. scrisse "cose volgarissime, che destarono molto entusiasmo, e ancora si recitano". Differente, per certi versi, era stato nel 1858 il giudizio di P. Calà Ulloa: per lui si trattava d'una "espèce de tragédie bourgeoise, une couleur mal broyée de sentimentalisme", alla quale, però, non mancavano né l'intrigo né certe invenzioni capaci di tener desta l'attenzione degli spettatori. Ulloa parlò anche di "cette sensibilité fade, qui plaisait tant au XVIIIe siècle".
Nel 1799 il G. partecipò attivamente alla vita della Repubblica napoletana, accogliendo l'invito di Eleonora de Fonseca Pimentel agli intellettuali per una letteratura rivolta alla parte del popolo "che chiamasi plebe", con l'adozione soprattutto del vernacolo. La sua commedia Adelaide e Comingio fu scelta per festeggiare la Repubblica al teatro di Pontenuovo (cfr. V. Viviani, Storia del teatro napoletano, Napoli 1969, p. 434). Egli si fece così autore d'una gazzetta settimanale (venduta al prezzo di 2 grani), alla quale occasionalmente allegò degli opuscoli. Ne rimangono due scritti in dialetto (ristampati in appendice al volume di D. Scafoglio, Lazzari e giacobini…, pp. 131-138): Chilleto che no tiemp' arreto se chiammava mmemmorejale a li cetatine rappresientante lo govierno provesorio e propriamente a li cinche smargiasse de lo potere secotivo (con data 29 aprile, o meglio, 10 sciorile) e Descurzo primmo (6 maggio - 17 sciorile).
La Fonseca Pimentel nel Monitore napoletano (25 maggio 1799, n. 31) dette così notizia del periodico: "Dobbiamo da più tempo una commemorazione onorevole di un nuovo foglio napoletano, opera del cittadino Giacomo Antonio Gualzetti. Egli al foglio delle notizie accompagna un altro, in cui prende a svolgere in vernacolo i principi della società, i diritti, i doveri dell'uomo, e del cittadino, tutti i principi infine, e la massima fondamentale della democrazia". La particolarità degli opuscoli del G. sta tutta nel tentativo di intraprendere un discorso organico, più che un'opera di propaganda confusionaria e semplicistica: "Non farraggio comme anno fatto ciert'aute de no mese arreto, ch'anno ncartato Napole […] co tanta scartafazie […] e anno scritto de sta materia accommenzandola chi da no pede, e chi da no vraccio, e maje da lo nnommenepatre". Il primo opuscolo era incentrato sul tema della guerra, sulla necessità che non fossero i re a deciderla e i popoli a combatterla e quella di tenere nel giusto conto le tristi condizioni economiche della "plebe" partenopea. Del resto, "Napole quanno sta chino co la panza mme sentarrà chiù meglio, e borrà bene a buje; ca si sta dejuno le farimmo chiù male che bene". Nel secondo opuscolo, il Descurzo, il G., partendo dalla storia sacra - scelta non casuale, dovendo far presa sulla "plebe" - ne ricavava una breve ricostruzione della nascita e della formazione delle istituzioni politiche: dalla necessità del vivere sociale all'innaturalità del potere monarchico e all'idea d'una sovranità popolare che avrebbe dovuto reggersi, per il G., sulla saggezza dei "padri".
Dopo la caduta della Repubblica il 20 dic. 1799, giudicato dalla giunta di Stato colpevole di "aver dato alle stampe in lingua napoletana un'opera contenente il veleno repubblicano" e "averne egli stesso confessato di esserne l'autore", il G. fu condannato a "morir sulle forche colla confisca dei beni". L'esecuzione avvenne a Napoli il 4 genn. 1800.
Fonti e Bibl.: C. De Nicola, Diario napoletano, 1798-1825, a cura di G. De Blasiis, I, Napoli 1906, p. 407; Il Monitore napoletano 1799, a cura di M. Battaglini, Napoli 1974, passim; F. Lomonaco, Rapporto al cittadino Carnot, a cura di A. De Francesco, Manduria 1999, p. 251; P. Calà Ulloa, Pensées et souvenirs sur la littérature contemporaine du Royaume de Naples, I, Genève 1858, p. 30; M. Sansone, Gli avvenimenti del 1799 nelle Due Sicilie, Palermo 1901, pp. 286 s.; B. Croce, La rivoluzione napoletana del 1799…, Bari 1948, p. 37; Id., La trilogia di "Adelaide e Comingio" e il signor G., in Id., Varietà di storia letteraria e civile, I, Bari 1949, pp. 155-163; Id., I teatri di Napoli, secc. XV-XVIII, II, Napoli 1968, p. 530; G. Natali, Il Settecento, II, Milano 1955, pp. 926, 938; M. Battaglini, Tipografie e librerie nella Repubblica napoletana, in Editoria e cultura a Napoli nel XVIII secolo, a cura di A.M. Rao, Napoli 1998, p. 632; D. Scafoglio, Lazzari e giacobini. Cultura popolare e rivoluzione a Napoli nel 1799, Napoli 1999, pp. 87 ss.; M. Cattaneo, "Convertire" il popolo. Rivoluzione e antirivoluzione a Napoli alla fine del Settecento, in Il cittadino ecclesiastico. Il clero nella Repubblica napoletana del 1799, a cura di P. Scaramella, Napoli 2000, p. 212.