PERTI, Giacomo Antonio
PERTI, Giacomo Antonio. – Figlio di Vincenzo e di Angiola Beccantini, nacque a Bologna il 6 giugno 1661.
Come si legge negli appunti biografici raccolti dall’allievo Giambattista Martini, a otto-nove anni iniziò a leggere la musica sotto la guida dello zio paterno Lorenzo Perti (Bologna, Museo della Musica, K.44.1.89; di seguito, tutte le segnature si riferiscono a questa biblioteca) e a suonare il clavicembalo sotto quella di Rocco Laurenti, organista nella chiesa gesuitica di S. Lucia (K.44.1.91.2); nel 1675 iniziò lo studio del contrappunto ancora con lo zio (M.51, c. 63r) e, sedicenne, passò poi a un allievo insigne di quest’ultimo, Petronio Franceschini (K.44.1.89).
Lorenzo (Lorenzo Giacomo) Perti, figlio di Giacomo e di Camilla Molli, nacque a Crevalcore e lì fu battezzato il 10 marzo 1631. Originaria dell’alta Lombardia, la famiglia si era stabilita nella cittadina del Bolognese, dove il nonno Vincenzo, comasco, era capomastro muratore, e il padre, milanese, amministrava il patrimonio di una ricca prozia vedova (Mattioli, 2006, passim). Primogenito di sei figli e destinato alla vita consacrata, in giovane età Lorenzo si trasferì a Bologna per intraprendere gli studi seminariali (i certificati della prima tonsura e dell’ordinazione suddiaconale sono datati 6 giugno 1653 e 25 luglio 1654, K.44.2.216, K.44.2.195.1). Nel 1650 entrò come cantore nella cappella musicale della basilica di S. Petronio, con una paga mensile di otto lire (Gambassi, 1987, p. 131), e il 14 gennaio 1655 fu fatto mansionario di quella collegiata (M.51, c. 63r). Divenuto a suo tempo compositore apprezzato e autorevole maestro di cappella, non si hanno notizie sulla sua formazione musicale. Con l’elezione del forestiero Maurizio Cazzati al magistero della cappella musicale di S. Petronio, avvenuta nel 1657, egli non figurò più tra i musicisti lì a ruolo. Artefice di una radicale riorganizzazione delle forze musicali petroniane, condotta a suon di licenziamenti, il nuovo maestro fu ripagato con astio da un ambiente conservatore e campanilista: lo dimostra la polemica che Giulio Cesare Arresti, organista della basilica, sostenne contro Cazzati, muovendo alcune censure al primo Kyrie della sua Missa I toni nelle Messe e salmi a 5 voci, op. XVII (Venezia 1655). Lorenzo prese parte attiva alla polemica, unendosi ad Arresti e indirizzando al Capitolo di S. Petronio, il 13 settembre 1659, una lettera di obiezioni alla partitura cazzatiana (C.55). Nel 1666, mentre Arresti si trovava sospeso dal ruolo e Cazzati operava in un contesto viepiù ostile, egli non partecipò alla fondazione della locale Accademia Filarmonica, né sembra aver mai ricercato l’aggregazione a essa. Nel 1671, con la partenza di Cazzati da Bologna, l’editore felsineo Marino Silvani gli dedicò la ristampa delle Sonate a due, tre, cinque e sei stromenti, op. VIII di Giovanni Legrenzi, riconoscendogli di comporre «con tanta vaghezza […] materie musicali» e di possedere «con sì fondata teorica e prattica […] un posto riguardevole tra’ precettori di musica nella nostra città». Il 7 novembre 1674 la Fabbriceria di S. Petronio elesse il nuovo maestro di cappella, vagliando le ‘suppliche’ di sei compositori bolognesi e di altrettanti forestieri: forse come conseguenza della polemica con Cazzati, le candidature di Arresti e di Lorenzo – quest’ultimo si era dichiarato pronto a rinunciare al ruolo di mansionario pur di accedere alla nuova carica – furono scartate con voti tutti negativi (Vanscheeuwijck, 2003, p. 236 doc. 6). Nel 1680 Lorenzo fu nominato maestro di cappella nella cattedrale metropolitana di S. Pietro, ruolo eminente nonostante i pochi musicisti stabili a disposizione (una decina in tutto, con aggiunti nelle solennità); nel contempo rimase mansionario in S. Petronio (nel novembre 1684, forse memore della passata polemica contro Cazzati e dei suoi strascichi, si guardò bene dal concorrere a una lite tra canonici e mansionari; Vanscheeuwijck, 2003, p. 245, doc. 22.d). Lo stesso anno Carlo Donato Cossoni, già suo collega come organista in S. Petronio, gli donò un esemplare della Consideratione sopra una questione nata di Girolamo Zanetti, appena impressa a Milano, dichiarandogli la propria stima e alludendo alla familiarità di lui con Giovanni Battista Mazzaferrata (Morresi, 2007, pp. 5 s., 12). Il credito goduto da Lorenzo anche nel contesto romano è confermato dal carteggio personale con Giuseppe Corsi detto il Celano nel dicembre 1681 (L.117.49), nonché dai saluti che, il 25 ottobre e il 6 novembre 1685, gli furono recati da Tadeo Raimondi e Arcangelo Corelli (K.44.1.166, 168). Nel 1690 «fu proveduto dell’arcipretura di [S. Maria di] Vedrana», presso Budrio (K.44.1.88-89), e l’ormai famoso nipote gli subentrò nel magistero in S. Pietro. Morì il 12 ottobre di quell’anno e fu sepolto in S. Petronio (Mattioli, 2006, p. 66 n. 25). La sua opera compositiva è testimoniata da pochi lavori superstiti: un Miserere a due voci e una Missa Beatae Mariae Virginis a otto, conservati a Bologna nell’Archivio musicale di S. Petronio, e un’Ave Maria a tre voci, conservata ad Assisi nella Biblioteca del Convento di S. Francesco.
In un primo tempo l’inclinazione di Giacomo Antonio Perti per la musica fu nondimeno avversata dai parenti e dallo zio stesso (K.44.1.89), i quali l’avevano indirizzato ad altra professione più utile alla promozione della famiglia e all’amministrazione del cospicuo patrimonio; dal 1671 e per i successivi cinque anni egli aveva dunque studiato «grammatica e umanità» alla scuola dei Gesuiti (ibid.), e quindi la «logica sotto il canonico [Fulvio] Magnani di S. Petronio, e lettor pubblico» (M.51, c. 63r). La formazione umanistica traluce non solo nel giovanile sonetto Al merto illustre, a la virtù sublime, edito nel Pianto delle Muse in morte dell’Eccellentiss. Sig. Cornelio Monti accanto ai lavori poetici di altri eruditi (Bologna 1679, p. 30), ma anche nelle forbite relazioni tenute con potenti, notabili e istituzioni sull’arco della sua lunghissima carriera, e nei molti testi italiani e latini adespoti posti in musica e talvolta attribuibili a lui stesso.
Le prime composizioni musicali datate risalgono al 1678, quando Perti fece eseguire una propria messa in S. Tommaso del Mercato (K.44.1.89) e firmò il mottetto a otto voci Plaudite, mortales. L’anno successivo si affacciò ai generi del dramma e dell’oratorio per musica, componendo l’atto III di Atide (libretto di Tomaso Stanzani; Bologna, teatro Formagliari; atti I e II di Giuseppe Tosi e Pietro degli Antoni) e Due gigli porporati nel martirio di santa Serafia e santa Sabina (Lotto Lotti; casa di Curzio Guidotti), nonché rielaborando, sotto il titolo L’errore innocente, Gli equivoci nel sembiante di Alessandro Scarlatti (Pietro Filippo Bernini; K.44.1.98.2). Nel 1680 fece eseguire una messa con due trombe in S. Sigismondo, e la fece lì riprendere ogni dieci anni almeno fino al 1740 (ibid.).
Il 13 marzo 1681, avendo fatto esaminare un’Alma Redemptoris a due voci, fu aggregato all’Accademia Filarmonica nella classe dei compositori, con tredici voti favorevoli e uno contrario (Penna, 1736, p. 196). Da settembre-ottobre di quell’anno sino a febbraio-marzo 1682 soggiornò quindi a Parma, per perfezionare lo studio del contrappunto sotto la guida del celebre Giuseppe Corsi detto il Celano (K.44.1.91.3; K.44.1.94). In una lettera del 15 dicembre questi dichiara a Lorenzo Perti di aver insegnato al di lui nipote «cose [...] che per la Lombardia non se ne mangia del sicuro», grazie alle quali egli «senza dubbio potrà tener ragione a qualsivoglia virtuoso di cotesta città [di Bologna]» (L.117.49). Saggio dell’apprendistato di Perti sotto il Celano è la dotta Messa a otto voci del 1682 (in Sol minore, articolata, secondo un uso diffuso a Bologna e come quasi tutte le altre, nelle sole parti di Kyrie e Gloria); ne seguirono altre di crescente impegno compositivo, in particolare quella a otto voci del 1683 (in Re maggiore), quella a otto del 1685 (in La minore) e quella a dodici del 1687 (in Fa maggiore).
Subito distintosi nel genere sacro, Perti avviò tuttavia la propria carriera soprattutto nei generi dell’opera, dell’oratorio e della cantata. Negli anni dell’egemonia di Giovanni Paolo Colonna, maestro di cappella in S. Petronio dal 1674, la città natale non poteva infatti offrirgli un magistero di cappella di spicco; analoga era la situazione a Modena, dove egli ambì alla direzione della cappella estense ma si vide preferire Antonio Gianettini (Riepe, 1993, p. 138). Fino alle soglie del nuovo secolo, la sua fama corse soprattutto per le accademie e le dimore nobiliari, tramite la ricca produzione di cantate, e per i teatri dell’Italia settentrionale. A Venezia diede alle scene nel 1683 Marzio Coriolano (Francesco Silvani; Ss. Giovanni e Paolo), nel 1689 La Rosaura (Antonio Arcoleo; S. Angelo), indi (sempre nel teatro di S. Salvatore) nel 1690 Brenno in Efeso (Arcoleo), nel 1691 L’inganno scoperto per vendetta (Silvani), nel 1692 Furio Camillo (Matteo Noris; K.44.1.88: «si facevano mille viglietti ogni sera tanto era l’aplauso»), nel 1693 Nerone fatto cesare (Noris) e nel 1695 Laodicea e Berenice (Noris). A Modena nel 1685 Oreste in Argo (Giacomo Antonio Bergamori; Fontanelli). A Bologna (sempre nel teatro Malvezzi) nel 1686 L’incoronazione di Dario (Adriano Morselli) e La Flavia (Giorgio Maria Rapparini), nel 1687 rielaborazioni della Teodora augusta di Domenico Gabrielli (Morselli e Rapparini) e del Pompeo Magno in Cilicia di Giovanni Domenico Freschi (Aurelio Aureli), nel 1694 rielaborazioni della Forza della virtù di Carlo Francesco Pollarolo (Domenico David; K.44.1.88) e del Re infante di Carlo Pallavicino (Noris). A Parma nel 1689 Dionisio siracusano (Noris; Ducale). A Monaco di Baviera un’opera indicata come Foca superbo negli appunti martiniani (K.44.1.89, K.44.1.98.2) e identificabile nell’Eraclio (adespoto, da Pierre Corneille) allestito nel 1690 (Elettorale; altri ne attribuisce la musica al castrato Clemens Hader). A Genova nel 1691 Il Pompeo (Nicolò Minato; Falcone). È infondata l’attribuzione ottocentesca a Perti di una Rosinda ed Emireno, manoscritto viennese che tramanda invece l’Emireno di Alessandro Scarlatti.
Grazie all’intensa circolazione delle proprie musiche, Perti fu ammirato in centri importanti come Roma e Vienna: nella lettera del 27 giugno 1686, da Roma, Rapparini gli intreccia una corona di lodi giocando con i nomi dei più importanti compositori italiani coevi, come fossero suoi satelliti (K.44.2.234); in un’altra lettera dell’estate 1686 il cantante Lorenzo Gaggiotti gli assicura che «Lei è considerata qui in Vienna non inferiore a nessun altro d’Italia» (K.44.2.76). Divampata nel 1685 la nota polemica ‘delle quinte parallele’, Perti ebbe dunque maggior interesse a prendere le parti di Arcangelo Corelli (il quale lo gratificò di una stima duratura; K.44.1.168, K.44.1.150) anziché del concittadino Colonna. Nelle Cantate morali e spirituali (Bologna 1688), sua op. I dedicata all’imperatore Leopoldo I d’Asburgo, egli dichiarò poi di aver «procurato di seguitare alla meglio che ho saputo i tre maggiori lumi nella nostra professione», ossia i tre eccelsi cantatisti Luigi Rossi, Giacomo Carissimi e Antonio Cesti, nell’intento di rimarcare la propria vicinanza alla scuola romana. Con tali premesse, non sorprende che nel 1689 la Fabbriceria di S. Petronio bocciasse la sua candidatura al modesto ruolo di vicemaestro di cappella: quand’anche Colonna non si fosse opposto ad averlo per sostituto, egli, vincolato a frequenti impegni fuori città, non avrebbe potuto garantire la continuità di presenza necessaria a un ruolo vicario.
Tuttavia già a quest’altezza cronologica si coglie il legame di Perti con la città natale, prima stretto e poi esclusivo. A Bologna si allaccia, per esempio, quasi tutta la sua produzione oratoriale coeva: Abramo vincitor de’ propri affetti (Gregorio Malisardi; Arciconfraternita dei Ss. Sebastiano e Rocco, 1683; ampliato nel 1689 come Agar), l’Oratorio della Passione (Bergamori; forse in S. Maria della Morte, 1685; revisionato nel 1703 come Gesù al sepolcro), La beata Imelde Lambertini bolognese (attribuibile a Bergamori; forse in una dimora dei Lambertini, 1686), San Galgano Guidotti (Bergamori; forse in palazzo Guidotti, 1694) e La Passione di Cristo (adespoto; forse in S. Maria della Morte, 1694; in collaborazione con allievi); probabilmente destinati alla stessa città e risalenti l’uno al penultimo e l’altro all’ultimo decennio del Seicento sono l’Oratorio della nascita del Signore (libretto adespoto) e Il figlio prodigo (attribuibile a Benedetto Pamphili). Alla sola Modena si allaccia quanto resta: Il Mosè conduttor del popolo ebreo (Giovanni Battista Giardini; forse nell’Oratorio di S. Carlo Rotondo, 1685) e un «oratorio a 6 voci con concertino e concerto grosso all’usanza di Roma» (annunciato nel 1687 ma forse mai completato; cit. in Riepe, 1993, pp. 182 s.). Il legame con Bologna fu inoltre ribadito dall’attività di didatta, che presto vide Perti dare «qualche direzione» a Francesco Antonio Pistocchi (amico intimo), Giuseppe Matteo Alberti e Giambattista Martini, o formare allievi «tutti di pianta» come Giuseppe Antonio Vincenzo Aldrovandini, Giacomo Goccini, Pietro Paolo Laurenti, Vincenzo Manfredini, Domenico Francesco Maria Micheletti, Luca Antonio Predieri e Giuseppe Torelli (altro amico intimo; K.44.1.91.2).
Soprattutto, l’auctoritas di Perti s’impose in seno all’Accademia Filarmonica: egli ricevette per sorteggio la carica di principe negli anni 1687, 1693, 1697, 1705 e 1719; fu nominato consigliere negli anni 1698, 1702-04, 1706-07 e 1710-13, censore negli anni 1691 e 1715, collettore nel 1693 e ‘definitore perpetuo’ (cioè arbitro in dispute teorico-musicali) a partire dal 1719 (Penna, 1736, pp. 195-207; ricevette forse altri incarichi dopo il 1736); partecipò infine con composizioni proprie alle celebrazioni di messa e secondi vespri officiate ogni anno in S. Giovanni in Monte in onore del santo protettore Antonio da Padova.
Com’era di prassi, presentò una coppia di Kyrie e Gloria in tutti gli anni di principato (nel 1687 si trattò della citata Messa a dodici voci, capolavoro ripreso fino al 1748; Vannelli, 2008-09, passim); un Credo nel 1684, 1689, 1691, 1694-95, 1698, 1706 e 1726; un mottetto all’offertorio nel 1681, 1683 (identificato con Date rosas, date honores, a otto voci), 1685, 1687, 1690, 1708, 1714, 1718, 1721, 1727 e 1733; un Domine ad adiuvandum nel 1688 e 1715-16; un Dixit Dominus nel 1685 e 1712; un Confitebor nel 1684, 1690, 1696, 1699, 1706 e 1745-46; un Beatus vir nel 1737, 1743 e 1748; un Laudate Dominum omnes gentes nel 1701-02, 1713, 1730-31 e 1740-41; un inno per il santo confessore nel 1712 e 1727; un Magnificat nel 1681, 1683, 1687, 1692, 1704, 1715-16, 1720, 1728, 1739 e 1747 (Gambassi, 1992, p. 301). In ben 75 anni di affiliazione non presentò invece mai altre parti di messa o vespri previste d’abitudine, quali l’introito, la sinfonia dopo l’Epistola, il mottetto all’elevazione, il salmo Laudate pueri e l’antifona Salve Regina.
Nel 1690, in seguito alla promozione-amozione dello zio, fu eletto all’unanimità maestro di cappella nella cattedrale metropolitana di S. Pietro, con una paga mensile di 27 lire (K.44.1.88-89). Lasciò l’incarico dopo pochi anni: il 30 agosto 1696 (otto mesi dopo la morte di Colonna) fu infatti eletto maestro di cappella in S. Petronio, d’ufficio e senza nemmeno essersi candidato, con una paga mensile di dieci scudi (poi elevata a dodici); preso servizio il 28 settembre (M.51, c. 63r) e insediatosi al vertice della vita musicale bolognese, si trovò tuttavia a disporre di un organico di cappella ridotto al solo organista Bartolomeo Monari (nel febbraio precedente la Fabbriceria aveva decretato un periodo di austerità e licenziato quasi tutti i musicisti; il fastoso organico fu ripristinato il 25 febbraio 1701).
A Roma, nel carnevale 1696, Perti aveva frattanto dato Penelope la casta (Noris; Tordinona) e riallestito Furio Camillo, ricevendo alti compensi (400 ducatoni per la prima opera e 100 per la seconda, più 80 scudi per il viaggio e 20 scudi mensili per le spese: K.44.1.93; M.51, c. 63v); nel carnevale successivo vi diede ancora Fausta restituita all’impero (Novello Bonis; Tordinona). Nondimeno, il magistero in S. Petronio mal si conciliava con l’attività di operista nei teatri pubblici; ai successi romani seguirono dunque apparizioni viepiù rare e defilate: Perseo (Pier Jacopo Martello; Bologna, Malvezzi, 1697, in collaborazione con Aldrovandini, Pollarolo, Bernardo Sabadini e Marc’Antonio Ziani: gli autori si desumono da un manoscritto conservato a Bergamo, Civica Biblioteca, Archivi storici Angelo Mai, 227.8A), Apollo geloso (Martello; Bologna, Formagliari, 1698), Ariovisto (Pietro d’Averara; Milano, Regio Ducale, 1699; in collaborazione con Paolo Magni e Francesco Ballarotti) e La prosperità di Elio Seiano (Minato; Milano, Regio Ducale, 1699; in collaborazione con Francesco Antonio Vannarelli e Francesco Martinengo).
Alla volta del secolo, la produzione teatrale di Perti passò dal segno impresariale a quello mecenatesco. Dopo il 1696, infatti, l’ascesa di rango attirò sul musicista attenzioni invidiabili. Nel 1697 Leopoldo I gli offrì la direzione della cappella imperiale (K.44.1.91.3; M.51, c. 63v), ma egli «dalle premure dei bolognesi, che mal volentieri si privavano di uomo cotanto insigne, fu costretto a rinunziar l’onore di servir Cesare» (Penna, 1736, p. 195). Dal 1698 al 1712 Perti fu prediletto dall’estrosa e potente Aurora Sanseverino Gaetani dell’Aquila d’Aragona, duchessa di Laurenzana, la quale gli commissionò molte cantate a una o due voci, nonché la serenata La Leucotee (eseguita a Piedimonte d’Alife nel dicembre 1711 accanto a tre lavori congeneri – La Semele di Francesco Mancini, La Iole di Nicola Porpora e Aci, Galatea e Polifemo di Georg Friedrich Händel – e al dramma La Cassandra indovina di Nicola Fago).
Ancor più rilevante fu, a partire dall’anno 1700, l’attenzione rivoltagli dalla corte dell’erede al trono di Toscana, dapprima attraverso il castrato Francesco De Castris (fino al 1702) e altri intermediari, indi direttamente dal granprincipe Ferdinando de’ Medici (dal 1705 al 1710). Nel 1700 il compositore approntò forse per palazzo Pitti l’oratorio La lingua profetica del Taumaturgo di Paola (libretto attribuibile a Bergamori; musica attribuita: Lora, 2012a, pp. 27-32), e per il teatro della Villa medicea di Pratolino intonò gli atti II e III del Lucio Vero (libretto di Apostolo Zeno, revisionato forse da Antonio Salvi; Martino Bitti compose l’atto I). La commissione operistica gli fu rinnovata l’anno successivo per l’Astianatte (Salvi, dall’Andromaque di Jean Racine), mentre nel 1702 passò ad Alessandro Scarlatti (forse su consiglio di De Castris, interessato a preservare per sé la gestione dell’attività teatrale e dunque a ostacolare il radicamento di un solo compositore). Dopo l’allontanamento di De Castris dalla corte medicea, dal 1703 al 1706 l’incarico fu sempre rinnovato a Scarlatti, ma nell’interesse di Perti: da poco scomparsi Pietro Sanmartini e Giovanni Maria Pagliardi, maestri di cappella rispettivamente in duomo e a corte, il bolognese era divenuto il candidato ideale alla loro successione, sicché la sua militanza teatrale non andava incoraggiata. Nel luglio 1703, mentre ritornava a Bologna da un soggiorno presso la Sanseverino, Perti fu richiesto a Firenze dal granprincipe, che dopo aver ascoltato un suo madrigale gli donò un anello del valore di 100 scudi (K.44.1.88) e lo inseguì con lusinghiere proposte d’assunzione (P.144.56: il cantante Matteo Sassani assicura il musicista che egli «si affatigarà molto meno di quanto fa in Bologna, ma con doppio lucro»). Dal 1704 al 1709 Ferdinando gli commissionò colossali mottetti encomiastici a cinque o otto voci, da eseguire nel genetliaco del granduca Cosimo III (14 agosto): le sei partiture (Gaudeamus omnes, Date melos, date honores, Cantate laeta carmina, Cessate, mortis funera, Canite, cives e Alleluia) spiccano nella produzione sacra di Perti e costituiscono un fulgido esempio – oltre che un raro superstite – della musica sacra di Stato in Italia (ed. moderna: Integrale della musica sacra per Ferdinando de’ Medici, principe di Toscana (Firenze 1704-09), I-II, a cura di F. Lora, Bologna 2010-11). Poiché Perti non intendeva lasciare Bologna, nel 1705 il granprincipe gli affidò il giovane Francesco Maria Mannucci, nella vana speranza di vedersi formato un allievo degno del maestro (dopo lunga vacanza del ruolo, nel 1712 Mannucci divenne in effetti maestro di cappella in S. Maria del Fiore). Dal 1707 al 1710 gli commissionò poi tutte le nuove opere da dare annualmente a Pratolino in settembre-ottobre: Dionisio re di Portogallo (poi revisionata e ripresa a Livorno nel 1710), Ginevra principessa di Scozia (ben 300 scudi di compenso, più una guantiera d’argento: K.44.1.93), Berenice regina d’Egitto (menzionata anche con il titolo posticcio Demetrio; 100 doppie di compenso: K.44.1.98.1) e Rodelinda regina de’ Longobardi (ultima opera in assoluto data a Pratolino); i carteggi del compositore con il poeta Salvi, con il committente, con i musicisti e con i cortigiani danno conto della minuziosa messa a punto drammaturgico-musicale delle quattro partiture, andate perdute insieme con tutta la biblioteca musicale del granprincipe (morto nel 1713, prematuramente e dopo grave invalidità; Lora, 2012a).
Al periodo sanseveriniano-mediceo risalgono ulteriori strascichi della carriera teatrale: Il fratricida innocente (dal Venceslao di Zeno; Bologna, Malvezzi, 1708), l’atto II di un’opera per la corte spagnola del pretendente Carlo d’Asburgo (forse Scipione nelle Spagne; Zeno; Barcellona 1709; Riepe, 1993, p. 190) e il contributo ai lavori collettivi Il riso nato fra il pianto (adespoto; Bologna, Formagliari, 1710), Il più fedel fra’ vassalli e Faramondo (Silvani e Zeno, rispettivamente; Bologna, Malvezzi, 1710); più tarda e isolata è la compilazione del ‘pasticcio’ Lucio Vero, lavoro differente da quello per Pratolino (Bologna, Formagliari, 1717; Lora, 2012a, pp. 75-78). Pochi anche i nuovi oratorii: Cristo al Limbo (adespoto; Bologna, S. Maria della Morte, 1698), La morte del giusto overo Il transito di san Giuseppe (Bernardo Sandrinelli; Venezia, Madonna della Fava, 1700), due lavori entrambi intitolati La sepoltura di Cristo (adespoti; il primo a Bologna, S. Maria della Morte, 1704; il secondo forse Bologna, S. Maria della Morte, post 1704, rielaborazione d’una precedente partitura attribuibile a Giacomo Cesare Predieri: Riepe, 1993, pp. 196-198) e San Francesco (non datato, ma ascrivibile a tale periodo), più il contributo ai lavori collettivi La morte delusa (adespoto; Milano, S. Francesco, 1703) e I trionfi di Giosuè (Giovanni Pietro Berzini; Firenze, Compagnia della Purificazione, 1704).
Terminata la stagione dei grandi mecenatismi nonché quella dell’attività teatrale, Perti si dedicò perlopiù alle proprie cappelle musicali, non solo in S. Petronio ma anche in S. Maria di Galliera, in S. Lucia, nella cappella del Rosario di S. Domenico e nell’Arciconfraternita di S. Maria della Morte. Con tale cumulo di impieghi Perti esercitò un’informale ma effettiva sovrintendenza sulla vita musicale bolognese (nel 1752 Lodovico Preti lo definì «principe e duca di tutte le orchestre»; Tornielli, 1780), in modo tale che ogni celebrazione di rilievo fu marcata dal contributo suo o di suoi allievi e collaboratori. Compiuto il primo mezzo secolo, nella sua vita gli eventi si assestarono così su un livello di quotidiana ordinarietà, e i fatti notevoli, quali la preparazione di lavori di ampio respiro o l’aggiunta di nuovi titoli al cursus honorum, si fecero viepiù rari. Al terzo decennio del Settecento risalgono gli ultimi oratorii: San Petronio (Giovanni Battista Rampognani; Bologna, S. Maria di Galliera, 1720; in collaborazione con altri, anonimi), La Passione del Redentore (adespoto; Bologna, S. Maria della Morte, 1721) e I conforti di Maria Vergine addolorata per la morte del suo divin Figliuolo (Carlo Innocenzo Frugoni; Bologna, S. Maria della Morte, 1723). Del 1735 è la seconda e ultima opera a stampa, Messa e salmi concertati a quattro voci con strumenti e ripieni, edita a Bologna e dedicata all’imperatore Carlo VI d’Asburgo (già pretendente al trono di Spagna); come atto d’apprezzamento, il monarca elevò il compositore al rango di consigliere imperiale, inviandogli un diploma (11 febbraio 1740) che allude a un lavoro typis divulgatum «sub titulo Esemplare per li Giovani Compositori» (K.44.1.82-86, c. 3v; ed. in Pasquini, 2004, pp. 212-214); tale opera teorica sul contrappunto rimase in realtà allo stato d’abbozzo, ma già in questa forma fissò la formidabile erudizione dell’autore nonché il metodo dei successivi lavori analoghi di Giuseppe Paolucci e di Martini (Pasquini, 2004 e 2008). Solo nel 1740 l’anziano maestro di cappella chiese alla Fabbriceria di S. Petronio un coadiutore, nominato il 25 novembre in Giuseppe Maria Carretti (poi suo successore; M.51, c. 64r). Lo stesso anno salì al soglio pontificio, con il nome di Benedetto XIV, il cardinale Prospero Lambertini, arcivescovo di Bologna: nel 1747 Perti decise di rendergli visita a Roma, in nome della familiarità che li aveva legati.
Nell’occasione, i musicisti romani ammirarono il collega bolognese; in una lettera del 5 luglio a Girolamo Chiti, Martini scrive: «non ce lo dissi io, che bastava vederlo per inamorarsene? Confesso il vero che la nostra povera città di Bologna si può chiamar fortunata in questo genere degnandosi Iddio per sua infinita bontà conservarselo prospero e sano, benché in età di 87 anni cominciati. E che ne dice della sua saviezza, umiltà, maniera rispettosa et obbligante che egli ha con tutti?» (I.11.102).
Al viaggio a Roma e alla familiarità con il papa può essere ricondotta l’idea della Messa a quattro cori (Kyrie, Gloria e Credo), composta nel 1749 in forme monumentali ma aderendo ai dettami dell’enciclica Annus qui. Nel penultimo anno di vita, ancora in servizio e in perfetta salute, Perti «compose e batté una Messa nuova» in S. Petronio (necrologio nella Gazzetta di Bologna, 21 aprile 1756).
Morì il 10 aprile 1756, «doppo aver bevuto il cioccolato [...] improvisamente» (Galeati), e fu sepolto in S. Petronio.
Per disposizione testamentaria, l’archivio musicale di Perti fu ripartito fra i Gesuiti di S. Lucia e la Fabbriceria di S. Petronio: questo secondo blocco del lascito – in esso confluì forse anche parte del primo, dopo la soppressione della Compagnia nel 1773 – è conservato nella basilica petroniana e contiene la maggior parte delle composizioni pertiane. Molte altre fonti di speciale importanza, tra le innumerevoli sparse nel mondo, sono conservate a Bologna, Museo della Musica, e a Modena, Biblioteca Estense Universitaria. Manca un catalogo delle opere, tramandate o quantomeno esistite, affiancate da rifacimenti e quasi tutte di genere vocale (il compositore delegò d’abitudine a collaboratori le sinfonie introduttive; Lora, 2012c); se si eccettua la dispersione di quasi tutti i drammi per musica, avvenuta ancor vivente l’autore, l’insieme delle opere sembra pervenuto in massima parte (Lora, 2008, pp. 69-74); la loro straordinaria abbondanza (oltre 500 numeri, a un primo e sommario conto) è dovuta più alla longevità dell’autore che ai suoi ritmi produttivi, rallentati da un maniacale perfezionismo e dalle molte incombenze. Tra queste rientrava l’amministrazione del patrimonio di famiglia, consistente in case e terreni, suppellettili di pregio e attività imprenditoriali: molti atti notarili, nell’Archivio di Stato di Bologna, danno conto dell’intraprendenza del compositore in questioni finanziarie e commerciali, e spiegano almeno in parte la ritrosia ad allontanarsi dalla città natale (centro d’accumulo del patrimonio). Erede dei beni fu il figlio Vincenzo, unico sopravvissuto tra la numerosa ma cagionevole prole nata nei matrimoni con Giulia Sgarzi (sposata nel 1688, morta nel 1713) e con Isabella Monica Salmenzi Bigatti (sposata nel 1713, morta nel 1740; un terzo matrimonio fu contratto nel 1742 con Maria Teresa Fogli; K.44.1.91.2).
Martini scrive di Perti: «sono così rare le prerogative che in esso si ritrovano nell’arte della musica, che non solo l’Italia, ma quasi tutta l’Europa ne è sparsa la fama. […] Fecero a gara molti cardinali, prencipi e signori per sentire le di lui composizioni; le opere in musica che egli fece sentire in varie città […] furono tanto gradite che nepur una, tra tante, ebbe stima ordinaria, non che bassa, cosa singolare accaduta in pochi. Egli si mostrò così fondato nell’arte, che anche nelle cose più ordinarie seppe farsi distinguere. L’espression delle parole, le cose più recondite dell’arte, le idee più maestose in ogni stile, la savia condotta, la profonda intelligenza non tanto in prattica che in teorica lo resero gradito agl’uditori e amato e stimato da’ professori» (K.44.1.98). Additato come «uomo instancabile alla fatica, stimato e amato da tutti» (M.51, c. 63v) e come «il più dotto» fra i maestri di cappella di S. Petronio (Martini, 1776, p. 142), era inoltre «di tal finezza di gusto e talmente inclinato alla chiarezza, che non soffriva nelle sue composizioni alcun passo che fosse forzato e non fosse naturale» (ibid., p. 44), e «nella sua età avanzata […] era disposto a comporre in uno stile non solo artificioso, ma vivace e grazioso e […] seppe (secondo le circostanze) uniformarsi moderatamente al buon gusto de’ giorni nostri» (ibid., p. 42).
Fonti e Bibl.: Bologna, Archivio dell’Accademia Filarmonica: O. Penna, Cronologia o sia Istoria generale di questa Accademia (1736), pp. 195-207; Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, B.88: D.M. Galeati, Diario… di Bologna, IX (post 1756), p. 59; Museo della Musica, C.55: G.C. Arresti, Dialogo fatto tra un Maestro ed un discepolo desideroso d’approfittare nel contrapunto; I.11: epistolario martiniano; K.44.1-2: documenti di famiglia, epistolario pertiano e appunti biografici martiniani; L.117: miscellanea di lettere; M.51: notizie martiniane e documenti sulle cappelle musicali di S. Petronio e S. Pietro; P.143-146: epistolario pertiano.
G.B. Martini, Esemplare, o sia Saggio fondamentale pratico di contrappunto fugato. Parte seconda, Bologna [1776], passim; I. Landosio (pseud. di L. Preti), In morte dell’autore (1752), appendice a G. Tornielli, Sette canzonette in aria marinaresca sopra le sette principali feste di Nostra Signora, Bologna 1780 (nuova ed.), p. 43; L. Busi, Il padre G.B. Martini: musicista-letterato del secolo XVIII, Bologna 1891, passim; A. Bonora - E. Giani, Catalogo delle opere musicali teoriche e pratiche … Città di Bologna: Biblioteca della R. Accademia Filarmonica, Biblioteca privata Ambrosini, Archivio e museo della Basilica di S. Petronio, Parma 1939, passim; J. Berger, Notes on some 17th-century compositions for trumpets and strings in Bologna, in Musical Quarterly, XXXVII (1951), pp. 354-367; L.F. Tagliavini, P., G.A., in Enciclopedia dello spettacolo, VIII, Roma 1961, coll. 25-27; J. Berger, The sacred works of G.A. 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