BADOER, Giacomo
Nacque a Venezia il 19 febbr. 1403 da Sebastiano (m. 1405) e da Agnesina, il cui casato è incerto (morta poco oltre il 1420). Fu l'ultimo di tre fratelli, dei quali Maffeo sembra scomparire ancor giovane (1422) e Gerolamo (nato nel 1398 e sposato nel 1421 con Isabetta "de Garzonibus" di Zuanne) ebbe una posizione perspicua nel mondo politico veneziano. Delle sorelle conosciamo Maria, che andò sposa a Pietro Giustinian di Giustinian (1412 o 1414). Iscritto il 4 luglio 1422 alla Balla d'Oro, il B. si accasava nel 1425 con Maria Grimani di ser Moisè (nel 1429 provveditore in campo in occasione della guerra contro il duca di Milano), e da lei ebbe Sebastiano (1427) e Gerolamo (30 sett. 1428). Al tempo del "viaggio di Costantinopoli" (1436-1440), Maria era già morta ed i figlioli affidati in Venezia allo zio paterno. Ritornato, il B. si riaccasava nel 1441 con una figlia di ser Antonio Moro, che gli diede, è da ritenere, Agnesina, nel 1479 vedova di Michele Malipiero di Alessandro. La carriera politica del B. fu molto modesta: nel 1433 fece parte del Consiglio dei Quaranta, l'anno seguente ebbe assegnata all'incanto una delle galee di Alessandria. Giunto a Costantinopoli il 2 sett. 1436, lo troviamo testimone della rinnovazione del trattato di tregua tra Venezia e l'Impero d'Oriente (30 nov. 1436). Rientrato, ottenne il 16 maggio 1441 la carica di podestà e capitanio di Bassano; lui vivente, fu eletto il suo successore il 22 maggio 1442. Non si rinviene il suo testamento e se ne ignora la precisa data di morte, certo anteriore al 10 dic. 1445, quando Gerolamo Badoer presentava all'Avogaria di comun il nipote Sebastiano, "qd. Iacobi" e della fu Maria Grimani. Ebbe sepoltura nella tomba di famiglia sita dinanzi alla chiesa di S. Francesco della Vigna, che andò dispersa nel cinquecentesco rifacimento della facciata su disegno del Palladio. Il ricordo dei Badoer rimase tuttavia custodito, nella stessa chiesa, dalla cappella in cornu Evangelii,nota attualmente col nome di Giustinian e riconosciuta quale delicata opera di Pietro Lombardo. L'altare fu eretto per testamento del suddetto Gerolamo figlio di Giacomo (m. 1497), che lasciò erede la figlia Agnesina, allora sposa di Benedetto Badoer e, successivamente, di Gerolamo Giustinian di Antonio.
Il Libro di conti dei viaggio di Costantinopoli del B. è nservato nell'Archivio di Stato di Venezia (arbitrariamente inserito nel fondo dei Cinque Savi alla Mercanzia). Sipuò escludere che il registro sia confluito in un pubblico archivio per ragioni di dissesto economico, in quanto non mancherebbe, in questo caso, documentazione al riguardo.
Detto Libro di conti è un grosso quaderno o mastro a partita doppia, autografo; originariamente constava di 418 carte; ne sono andate perdute alcune che, nell'edizione del testo, sono state in gran parte ricostruite da F. Melis in base alle carte esistenti.
Il B., partito da Venezia il 24 luglio 1436 e, dopo un viaggio di 40 giorni, arrivato a Costantinopoli il 2 settembre, iniziò immediatamente le sue operazioni che appaiono registrate fin dal 3 settembre. Seguono fitte le registrazioni delle operazioni quotidiane per circa tre anni e mezzo, fino al 26 febbr. 1440, data alla quale si imbarcò per fare ritorno in patria; il 13 apr. 1440 era già a Venezia.
All'arrivo a Costantinopoli egli alloggiò provvisoriamente nelle vicinanze dei quartiere genovese di Pera, in una casa appartenente ad un genovese; ma poco dopo si trasferì a Costantinopoli, in una casa di proprietà di un greco, e lì rimase fino alla partenza. Organizzò rapidamente una rete di corrispondenti in varie città del Levante (Caffa e la Tana; Trebisonda; Adrianopoli e Brussa; Candia, Beirut ed Alessandria) e a Messina ai quali inviava merci (questi invii sono chiamati "viaggi") e dai quali ne riceveva; partecipò inoltre con partite di sua proprietà ad una spedizione di merci per Rodi e la Siria come pure, due volte, per Maiorca e la Catalogna. Per le località vicine (Gallipoli, Rodosto e loro retroterra, allora, come Adrianopoli, sotto il dominio turco) provvedeva ad inviare agenti da Costantinopoli. A Venezia, suoi corrispondenti e spessissimo soci furono specialmente il fratello Gerolamo, senatore molto in vista, ed i patrizi Pietro Michiel e Marino Barbo.
Il B., che ci appare uomo probo e di semplice tratto, raramente fece operazioni al minuto; disponeva di un segretario; si serviva di interpreti; aveva al suo servizio un paio di schiavi. È insomma il tipo di mercante medio che prevaleva a Costantinopoli in quell'epoca, modesto, prudente, ma non privo di iniziative ed attivissimo.
Egli si interessò alla vendita ed acquisto di svariate merci. Da Venezia ricevette, a mezzo del convoglio annuale di galee statali, soprattutto panni (di lana e di seta, di molte qualità e colori), veli, stagno e, in piccole quantità, caffettiere d'argento, fustagni, oro filato; con navi private, soprattutto panni di lana, veli e piccole quantità di biacca, canovacci, carta, fil di ferro, tavole di abete, vetri. Il valore totale delle merci ricevute da Venezia fu di circa 100.000 iperperi (di cui 85.000 con le galee e 15.000 con le navi); quasi due terzi fu rappresentato dai panni; dette merci furono quasi tutte vendute a Costantinopoli. A sua volta spedì a Venezia, con le galee, soprattutto cera (di Bulgaria e Valacchia, acquistata a Costantinopoli; altra fatta spedire da Trebisonda); pepe (acquistato a Costantinopoli ed in parte a Brussa ed anche a Caffa); chiodi di garofano, cremisi, indaco, incenso, zenzero (prodotti acquistati a Costantinopoli); seta (acquistata a Costantinopoli o fatta spedire da Trebisonda); in quantità minori e talvolta molto piccole, pelli di montone (provenienti da Adrianopoli e da Brussa); cordovani (provenienti da Adrianopoli); pelli di faina, rabarbaro, rame, scamonea, semenzina, zedoaria (prodotti acquistati a Costantinopoli); certa qualità di tela (proveniente da Caffa); cannella (fatta spedire da Alessandria); verzino (in parte acquistato ad Adrianopoli e Costantinopoli, in parte fatto spedire da Alessandria o da Beirut). Spedì inoltre con le navi (direttamente e talvolta per la via di Candia, Corone o Modone) cera acquistata a Costantinopoli, o ricevuta da Caffa e da Gallipoli); cuoi di bue (acquistati a Costantinopoli o ricevuti da Adrianopoli); pelli di montone (acquistate a Costantinopoli o ricevute da Adrianopoli e da Brussa); pelli di agnello (acquistate a Costantinopoli ed Adrianopoli); cordovani (provenienti da Adrianopoli); lane (acquistate a Costantinopoli o provenienti da Adrianopoli, Gallipoli, Rodosto e rispettivo retroterra); rame (acquistato a Costantinopoli); schiavi (acquistati a Costantinopoli e provenienti specialmente dalla Tana); in misura minore, talvolta assai piccola, allume,varie qualità di carni di storione, cremlsl, muschio, pelli di martora e di faina, seta (prodotti acquistati a Costantinopoli, eccetto una parte del cremisi, ricevuto invece da Trebisonda); spezie (fatte spedire da Alessandria); tuzia, verzino e capperi (fatti spedire da Caffa).
Il valore totale delle merci inviate a Venezia fu di circa 85.000 iperperi (di cui circa 61.000 con le galee e circa 24.000 con le navi); più della metà fu rappresentato da seta, cera e pepe.
Il B. ricevette molte e varie merci anche da altre località (specialmente da quelle in cui aveva dei corrispondenti), come frumento e miglio da Agatopoli; lini da Alessandria; vini da Candia; olio da Corone, Maiorca, Messina e dalla Puglia; panni da Maiorca; orpello, saponi, sughero, vini, tartaro da Messina; carni di maiale da Salonicco; pelli di martora e di faina da Simisso; cenere dalla Siria. Ad esse tra l'altro spedì: rame ad Alessandria, Candia, Maiorca, Sicilia, Siria ed alla Tana; piombo ad Alessandria; allume, cotone, noci di galla a Maiorca; schiavi a Maiorca e in Sicilia; cuoi di bue e di bufalo a Rodi; caviale a Salonicco; pepe in Sicilia; argento, frumento e miglio a Trebisonda; miglio alla Tana.
Anche alcune delle predette merci, ricevute da città varie o ad esse spedite, furono in tutto o in parte rispettivamente vendute a Costantinopoli (come i vini di Candia) od ivi acquistate (come il rame). Il B. inoltre acquistò a Costantinopoli e rivendette sul posto alcune merci di origine sia occidentale (panni) sia orientale (pepe). La maggior parte delle merci trattate dal B. formarono oggetto di molteplici operazioni di cui il Libro indica i caratteri diversi (per quantità, prezzo, termini di pagamento, ecc.) e fornisce i più minuti particolari. A tali operazioni si intrecciarono frequenti casi di baratto; ad essi si riferiscono numerosi cambi intercorsi fra Costantinopoli e varie città, specialmente Venezia. Vanno ricordati anche i conti delle spese personali del B., che sono ricchi di notizie sul costo della vita e di vari servizi a Costantinopoli.
In sintesi, si può calcolare sommariamente che nel suddetto periodo di tre anni e mezzo egli ricevette da Venezia e da altri luoghi merci (acquistate per conto suo o di soci o di corrispondenti) per un valore complessivo di circa 130.000 iperperi, equivalenti allora a circa 43.000 ducati d'oro veneziani (detti più tardi zecchini); egli vendette a Costantinopoli e fece vendere altrove tali merci con qualche guadagno; il ricavato fu investito nell'acquisto di prodotti d'origine orientale (eccetto qualche somma trasferita con lettere di cambio); tali prodotti furono spediti a Venezia ed in altre località per essere a loro volta colà venduti. Con queste quattro operazioni il suo giro d'affari è rappresentato da una cifra almeno quadrupla di quella originariamente investita. Per le merci di cui era proprietatio, in tutto od in parte, egli partecipava proporzionatamente ai guadagni od alle perdite; sia su queste merci che su tutte quelle che vendeva od acquistava, percepiva una commissione.
Tutti i conti sono espressi in monete bizantine, sia che le operazioni avvenissero in questa valuta sia che avvenissero in altra, trasformata poi in quella bizantina al variabile cambio del giorno. Le monete sulle quali è basato il Libro sono perciò iperperi e carati, che in quell'epoca erano ambedue astratte, ideali, ossia monete di conto corrispondenti a monete effettive, soprattutto d'argento, che avevano o dovevano avere propri nomi.
Il Libro fucitato nel 1880 da Fabio Besta in una prolusione tenuta a Venezia, e nel 1883 da B. Cecchetti in uno studio sulla storia della medicina a Venezia, a proposito di una breve malattia avuta dal B. a Costantinopoli nel 1437. Il predetto F. Besta, in una relazione fatta alla "Commissione per la pubblicazione dei documenti finanziari della Repubblica di Venezia", formulava voti nel 1898 che "specialmente il mastro dei Badoer e il giornale del Barbarigo" potessero essere pubblicati, perchè ciò "varrebbe non solamente a illustrare la storia del commercio in quel periodo di splendore ma anche a chiarire nel modo migliore quali dazi e quali gravezze e in quale misura i negozianti realmente pagassero". Lo stesso Besta, nella sua opera La Ragioneria,poneva in rilievo tra l'altro "un quaderno di singolare importanza", quello del B., "fonte assai copiosa di notizie sicure attinenti al commercio e ai cambi di Venezia coll'Oriente in quel periodo in cui essa era nella sua maggiore fioridezza".
La sua recente pubblicazione (U. Dorini e T. Bertelè, IlLibro dei conti di G. B. [Costantinopoli, 1436-1440],Roma 1956) fu determinata dalla constatazione che l'importanza del codice era assai più grande di quella fino allora segnalata. Anzitutto, a quanto si sa, è il solo registro organico e di gran mole redatto interamente a Costantinopoli all'epoca bizantina, miracolosamente scampato dalla dispersione e distruzione di tutti i registri tenuti dai mercanti veneziani, e di altre nazionalità, che soggiornarono colà nel corso dei secoli. In pari tempo, data la personalità non eccezionale del B. ed i mezzi non cospicui che ebbe a sua disposizione, il Libro può costituire un metro per misurare l'attività della maggioranza di altri mercanti in quell'epoca, ed anche in epoche anteriori, attività di cui molto si parla, ma che purtroppo ci è poco nota nella sua effettiva consistenza.
Ma soprattutto il Libro del B., redatto a Costantinopoli, frammezzo alla popolazione bizantina (con la quale il mercante veneziano intrattenne continui rapporti e concluse molti affari), e basato, come si disse, sulla valuta colà in uso, viene a costituire, con la miriade dei suoi dati, attraverso le sue centinaia di pagine, una specie di enciclopedia della vita economica bizantina, nel suo aspetto più labile e mutevole, quello mercantile, che finora ci era quasi completamente ignoto. Infatti con la progressiva invasione e conquista turca dei territori bizantini ed infine della capitale dell'impero, carte e documenti esistenti colà andarono praticamente tutti distrutti; ci rimangono quei pochi custoditi in più o meno accessibili monasteri e relativi alle proprietà immobiliari dei monasteri stessi, e le informazioni, rare, sparse e saltuarie, che si possono ricavare da testi giuridici, vite di santi e altre fonti.
Questa vasta lacuna è in gran parte colmata dal Libro del B. con le informazioni, datate e precise, che ci offre e le deduzioni che ci permette di trarre anche dalle più minuscole operazioni.
Particolarmente notevole la constatazione della compenetrazione, nel campo degli affari, delle varie nazionalità che abitavano nella capitale dell'impero (Greci, Ebrei, come pure Armeni, Bulgari, Russi, Saraceni o Mori, Turchi, Valacchi, oltre ai Veneziani, Genovesi, ed anche Fiorentini, Anconitani, Catalani) e della loro pacifica e proficua collaborazione. Il B., ad esempio, aveva aperto un conto e depositato fondi non solo in un banco veneziano di Costantinopoli, ma anche in vari banchi greci della capitale ed in vari banchi genovesi di Pera. Dall'analisi di tali conti si può rilevare la varietà della clientela di detti banchi come pure i rapporti che si svolgevano fra i banchi stessi (vediamo per es. un turco depositare una somma in aspri turchi in un banco greco nel conto del veneziano B.; e parziali pagamenti fatti o versamenti ricevuti per una stessa operazione del B. da due o tre banchi di nazionalità diversa). Questa partecipazione negli affari è il sintomo di una situazione che dovette esistere anche nelle altre epoche, malgrado alcuni momenti di grande tensione per motivi politici. Può anche notarsi che i metodi usati dai Bizantini risultano analoghi a quelli occidentali. Per esempio, i banchieri greci (i cui nomi e la cui attività ci erano completamente sconosciuti) spesso accreditano o addebitano al B. delle somme col sistema del giro bancario, come facevano il banco veneziano di Costantinopoli e quelli genovesi di Pera, e come avveniva in Occidente. Anche queste rivelazioni dei codice B. (prescindendo qui dai riflessi che detti usi greci, venuti ora in luce e che appaiono in quest'epoca sviluppatissimi e generali, potrebbero avere sulle questioni relative all'origine degli usi stessi) ci mostrano in ogni caso gli effetti della convivenza tra Greci e Latini ed in generale degli stretti rapporti tra le varie parti dei Mediterraneo, di cui il codice ci fornisce abbondantissime prove.
Per tutto questo il Libro del B. non è solo un importante esempio di antica contabilità commerciale, non solo un prezioso registro che, come per altre località, viene ad aggiungersi ad altri per illuminare la storia economica di una città o regione, ma un documento in sé "di incalcolabile valore storico", come fu detto, data la completezza e mole di dati, per la conoscenza della vita economica di Costantinopoli e regioni vicine, all'epoca bizantina; dietro merci e cifre si vede poi il lato umano, cioè una folla di personaggi, piccoli e grandi, dediti ad una attività intensa e continua che si svolgeva senza gravi controversie ed incidenti. Tutto ciò giustifica le cure dedicate all'edizione del primo volume (testo) ed alla preparazione - già avanzata - del secondo, che conterrà un commento nonché documenti illustrativi e complementari, un glossario ed amplissimi indici, indicatori e chiarificatori del folto materiale contenuto nel testo: tutto ciò potrà facilitare la comprensione e l'apprezzamento del codice, che è semplice e chiaro, ma che si presenta, a chi non è familiare con la ragioneria antica, ostico ed oscuro a causa del metodo contabile, di formule antiche, di voci dialettali e di una estrema concisione.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Barbaro,I,p. 743; Avogaria di Comun: Balla d'Oro,reg. 177 rosso, c. 49r; Cronaca matrimoni. Senato Misti,reg. 59, c. 57; Sezione notarile, Testamenti,busta 1255, n. 211; busta 1237, n. 270; Cinque Savi alla Mercanzia,busta 958; Diplomatarium Veneto-Levantinum,II,Venetiis 1899, p. 347; F. Besta, La ragioneria (prolusione), Venezia 1880, p. 41 n.; B. Cecchetti, Per la storia della medicina in Venezia, in Arch. veneto,XXV (1883), p. 372; V. Alfieri, La partita doppia applicata alle scritture delle antiche aziende veneziane,Torino 1891, pp. 28, 29, 45, 56, 82-101; R. Commissione per la pubblicazione dei documenti finanziari della Repubblica di Venezia, Relazione di F. Besta, Venezia 25 giugno 1898 (opuscolo litografato di pp. 48); H. Sieveking, Aus venetianischen Handlungsbüchern,in Schmollers Jahrbuch,XXV(1901), pp. 1490, 1491, 1505; XXVI (1902), pp. 194, 196, 197, 198, 205, 206, 207, 209; F. Besta, La ragioneria,parte I, vol. III, Ragioneria gen.,Milano 1916, pp. 310-313; F. C. Lane, Andrea Barbarigo, merchant of Venice,Baltimore 1944, p. 146; F. Melis, Storia della ragioneria,Bologna 1950, pp. 534 s.; T. Zerbi, Le origini della partita doppia,Milano 1952, pp. 396-412; T. Bertelè, Il libro dei conti di G. B. ed il problema dell'iperpero bizantino nella prima metà del Quattrocento,in Oriente e occidente nel Medio Evo: Atti del XII Convegno Volta [1956], Roma 1957, pp. 242-263 (la parte di tale relazione relativa all'iperpero [pp. 249-263] fu ripubblicata, con l'aggiunta di una tav. di monete, nella Riv. ital. di numismatica,LIX [1957], pp. 70-89); Id., Ilgiro d'affari di G. B.: precisazioni e deduzioni,in Akten des XI. Internationalen Byzantinisten Kongresses [1958], München 1960, pp. 48-57; G. Luzzatto, Storia economica di Venezia dall'XI al XVI secolo,Venezia s. d. [ma 1961], pp. 172-179.