BADOER (Badouère nella forma francesizzata), Giacomo
Nacque a Parigi fra il 1570 e il 1580. Suo padre, un ricco commerciante di origine veneziana, passato in Francia, vi aveva abbracciato la Riforma, e in seguito ai furori della notte di S. Bartolomeo aveva perduto la maggior parte dei suoi averi. Il B., educato nella religione riformata, era venuto a studiare a Padova e a Venezia tra il 1597 e il 1599. Il 21 giugno di quest'anno egli doveva trovarsi ancora a Padova, come è dato desumere da alcune righe stilate da lui nell'Album amicorum di Tommaso Segett (Bibl. Vaticana, cod. Vat. Lat. 9385, f. 74). Al periodo di permanenza del B. a Padova e a Venezia risale la sua amicizia con il Sarpi. Il servita veneto, riandando a questi tempi in una lettera al giurista gallicano Jacques Gillot, ricorda come il B. fosse dedito "reformatae religioni usque ad superstitionem".
A Padova il B. aveva appreso "le scienze matematiche" dall'allora "Lettore delle matematiche" Galileo Galilei. E come egli stesso testimonierà in una dichiarazione del 13maggio 1607,inserita poi dal Galilei nella Difesa... contro alle calunnie et imposture di Baldassar Capra Milanese, ebbe modo di vedere allora "diversi de' suoi Compassi Geometrici e Militari". Di più, il Galilei gliene aveva donato un esemplare e gli aveva anche spiegato "le regole che teneva intorno al modo del comporlo et segnare le sue divisioni, intorno alle quali in quel tempo era occupato".
Il B. rimase sempre, come afferma Elia Diodati in una lettera del 27 ag. 1620, "devotissimo" del Galilei, con cui intrattenne una buona corrispondenza. Fu il B. ad es. a comunicare al Galilei - come questi afferma nelle prime pagine del Sidereus Nuncius - l'avvenuta costruzione del cannocchiale da parte di un belga, e ciò in modo da togliergli ogni dubbio. E d'altra parte il B. dovette esser tenuto al corrente dal Galilei stesso, come si può ricavare dalla lettera già ricordata del Diodati, circa le sue ricerche e scoperte.
Verso la fine dei 1599, terminato il soggiorno di studio in Italia, il B. ritornò in Francia. Dopo un periodo di profonda crisi interiore, in seguito alle sollecitazioni del gesuita p. Coton, poi confessore di Enrico IV, abbandonò la religione riformata per il cattolicesimo.
La sua conversione dovrebbe collocarsi al più tardi entro il 1603.Tale affermazione può essere convalidata da una lettera scritta dal B. il 13 febbr. 1604 e pubblicata da A. Favaro. In essa appare evidente l'ardore del neofita. Fra l'altro il B. vi confessa la sua gioia per esser "reduict par la grace de Dieu et l'illumination de son S.t Esprit au giron de sa S.te et Catholique Eglise et a l'ancienne et bienheureuse croyance de (ses) peres" e scongiura ardentemente il destinatario ad abbracciare anch'esso la fede cattolica. Tenendo presente il tono dei pensieri e dei sentimenti esposti in questa missiva, riteniamo non si possa dubitare della schiettezza almeno iniziale della sua conversione.
Per i suoi rapporti intimi con il p. Coton, il B. poté entrare nelle grazie di Enrico IV che di lui si servì per talune missioni diplomatiche. Sceso in Italia a più riprese fra il 1607 e il 1609, si trattenne a Padova e a Venezia. Durante questo periodo si rafforzò ancora l'amicizia e la stima che legava il B. e il Sarpi.
È, così che il Sarpi poteva rallegrarsi con l'ambasciatore veneto a Parigi, Antonio Foscarini, per esser entrato in contatto con il Badoer. E in una lettera al burgravio Christoph von Dolina affermava esplicitamente: "Monsignor Badovere è amico mio e molto conosciuto da me". Aggiungeva peraltro quanto alla sua religione: "Fu ortodosso, passò cattolico, non è né nuovo né vecchio".
Il Sarpi, pur nella sua più che viva amicizia con il B., usò tuttavia con lui sempre di una certa cautela e prudenza. Atteggiamento questo chiaramente riscontrabile anche nell'unica lettera che ci è rimasta - stando almeno ai risultati sinora acquisiti dalla ricerca - indirizzata dal Sarpi al Badoer.
Nell'agosto 1609 il B. fu inviato da Enrico IV a Clèves. In una istruzione, che reca la data del 6 agosto, il B. è designato come "secretaire de chambre" del re.
Tale istruzione, concernente la missione da svolgere presso il marchese di Brandeburgo e il conte di Neuburg, è conservata nella Bibl. Nat. di Parigi (ms. 927della coll. Dupuy, ff. 104-108;cfr. però anche la Instruction au S. Badouere s'en allant en Allemagne le six.e Aoust 1609 che si trova nella Städt. Bibl. di Berna - ms. A. 42, III, ff. 91-97). Il B. avrebbe dovuto riferire al suo ritorno - vi si legge - circa "la deliberation d'union des dicts Princes et des moiens qu'ils preparent et ont presens pour conserver leur possession; secondement de l'inclination et disposition des habitans et estats du dict pays en leur endroit et quels sont ceux qui se sont separez d'eux depuis la publication du ban de l'Empire". E, naturalmente, il B. avrebbe dovuto anche riferire "de touttes choses qui seront dignes d'estre rapportées a Sa Majesté et sceues...". Il Sarpi, appena appresa la notizia della missione diplomatica del B., non poteva far a meno di scrivere all'ugonotto Francesco Castrino: "Mi son molto rallegrato del carico dato dal re a monsignor Badovere; egli è di valore: Dio li doni grazia di far il servizio di chi lo manda, bene".
Ma, in effetti, il B. non poté condurre a termine la sua ambasceria. Il Villeroy e il duca di Sully, che gli erano profondamente, avversi. ne ottennero ben presto da Enrico IV il richiamo a Parigi. E il B. dovette restituire, su esplicita richiesta del Sully, i 600 scudi che gli eran stati anticipati alla partenza. L'offensiva iniziata dal Villeroy e dal Sully fu proseguita con estrema acredine da parte di alcuni suoi ex correligionari.
Il Castrino lo attaccava ferocemente in alcuni versi latini che ci son rimasti nella trascrizione fattane da Pierre de l'Estoile nel suo Journal sotto la data del 21genn. 1610: "Badoerus iste, cui super iam nil erat Infame praeter nomen et animam impiam Tali patrono (il p. Coton) dignus in primis Cliens...". L'Estoile aggiungeva a questi versi un suo giudizio molto crudo: "faciendaire et espion des Jésuites - lo definiva - homme (au dire d'un chacun) méchant tout autre"; ma riconosceva tuttavia come il B. fosse "de grande menée, esprit et savoir". Poco dopo questo periodo era ancora il Castrino ad attaccare il B. in dodici distici latini - riportati anche questi da L'Estoile - in cui venivano lanciate contro il B. le accuse più infami di corruzione e immoralità.
Quanto si può affermare in sede di giudizio storico è che i sospetti e le accuse di connivenza del B. con i gesuiti e, ben più, con lo stesso nunzio a Parigi, non sono prive di fondamento. È certo che, a partire almeno dal 1609, il B. entrò in stretti rapporti con mons. Ubaldini. In un avviso del luglio 1609 il nunzio trasmetteva a Roma notizie comunicategli dal B. e concernenti lettere inviate allo stesso B. da Paolo Sarpi (Arch. Segr. Vaticano, F. Borghese,11, 48, f. 417). Ma se è vero che con i massicci attacchi diretti al B. si voleva impedire che una creatura dei gesuiti, un uomo di valore, come son concordi nell'affermare testimonianze diverse, potesse affermarsi nell'entourage diEnrico IV ed essere impiegato in missioni di estrema delicatezza, occorre tener presente che essi miravano a colpire ben più il suo protettore, il p. Coton, il gesuita la cui influenza diveniva a corte sempre più potente.
Il B. discese ancora spesso in Italia per l'espletamento di negozi segreti. Il Sarpi dal canto suo riteneva che il B. attendesse in questi "a fare qualche male ad istanza de' gesuiti".
Non si sa con precisione quando il B. morisse. Tale data va tuttavia collocata prima del 20 ag. 1620, giorno in cui Elia Diodati, scrivendo al Galilei, usa espressioni che implicano la già avvenuta morte.
Quella del B. è in complesso una figura che rimane per molti aspetti sfocata a causa della scarsità di materiale documentario relativo ad essa. Quanto tuttavia del B. sappiamo è sufficiente per concludere che egli si inserì attivamente - pur senza svolgere un ruolo di primo piano e rimanendone vittima - nella lotta combattuta in Francia con estrema decisione fra coloro che erano gelosi custodi delle "libertà gallicane" e tenaci propugnatori della assoluta indipendenza del potere politico e i gesuiti i quali miravano invece a rafforzare il loro influsso per sgretolare dall'interno il fronte dell'opposizione al papato della Controriforma. Il B. scelse il suo posto accanto ai gesuiti.
Fonti e Bibl.: Oltre quanto citato, cfr.: G. Galilei, Opere, Ediz. naz., II, pp. 534-535; III, p. 60; XI, p. 321; XIII, p. 48; XX, p. 378; M. D. Busnelli, Un carteggio inedito di fra Paolo Sarpi con l'ugonotto Francesco Castrino, in Atti d. R. Ist. veneto di scienze, lettere ed arti, LXXXVII (1928), pp. 1159-1163; P. Sarpi, Lettere ai protestanti, a cura di M. D. Busnelli, Bari 1931, I, pp. 100, 101, 103, 145, 200, 202, 211, 233; II, pp. 49, ss, 63, iio, 158; P. Savio, Per l'epistolario di Paolo Sarpi, in Aevum, XI(1937), pp. 29, 33 s., 292, 309; P. Sarpi, Lettere ai Gallicani, a cura di B. Ulianich, Wiesbaden 1961, pp. XLIV, CX-CXIII, CXV s., 163, 179 s., 203, 204; Journal de l'Estoile pour le règne de Henry IV et le début du règne de Louis XIII (1610-1611), a cura di A. Martin, Paris 1960, p. 10; A. Favaro, Amici e corrispondenti di Galileo Galilei, in Atti d. R. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, LXV (1906), pp. 193-201.