MESSEDAGLIA, Giacomo Bartolomeo
– Primo di sei figli, nacque a Venezia l’8 maggio 1846 da Giacomo e Santa Gardin.
Il nonno paterno era avvocato nella fortezza austriaca di Legnago e il padre, che nel registro di nascita del M. è indicato come «sensale», avrebbe avuto parte attiva nel 1848-49 veneziano; nel 1859 avrebbe lasciato il Lombardo-Veneto riparando in Piemonte e arruolandosi nei reparti garibaldini. Appartenente a una famiglia di «spiriti liberi», il padre sarebbe poi passato nell’esercito italiano come capitano. Da Torino fu trasferito a Cagliari, ma appena poté lasciò l’esercito.
Poco più che tredicenne, il M. fu inserito dal padre nel «battaglione adolescenti» dei Cacciatori delle Alpi, con cui fece la campagna del 1859. In seguito entrò nel collegio per figli di militari di Firenze, ove completò la sua formazione. Il 13 sett. 1864 il M. fu arruolato nell’esercito (16° reggimento di fanteria) come sottufficiale: dapprima quale semplice furiere, poi caporale maggiore e infine, a partire dal marzo 1865, con il grado di sergente. Nel 1866 prese parte alla terza guerra di indipendenza con le truppe di E. Cialdini.
Non gradendo, forse, la vita di oscuro sottufficiale, nell’aprile del 1869 il M. ottenne il congedo per postumi di febbri malariche. Il quinquennio 1864-69 aveva rappresentato per lui il periodo formativo e più stabile, in cui doveva avere appreso e praticato nozioni di contabilità e disegno topografico. Aveva anche sviluppato attitudini al comando che gli sarebbero tornate utili nell’arco di una vita irrequieta che lo avrebbe condotto a mutare circa ogni tre anni occupazione e prospettive: in questo spesso agevolato da reti di relazioni familiari e con ogni probabilità massoniche, certo è che il M. fu, tuttavia, costantemente guidato da un temperamento sempre intraprendente e coraggioso.
Lasciato l’esercito e raggiunto il padre a Cagliari, il M. si impiegò come contabile in una locale azienda mineraria. Passato poco tempo decise di cambiare. Colse l’occasione quando John Barker, marito della sorella Teresa e figlio del console generale britannico in Siria, fu chiamato dal governatore di Damasco quale ingegnere. Il M. lo accompagnò e, giunto sul posto, riuscì a farsi accettare dai governanti siriani come assistente ingegnere di Siria e, più specificamente, di quella regione compresa fra le montagne del Libano e dell’Antilibano allora chiamata Celesiria. Nel suo incarico il M. contribuì alla costruzione della strada carrozzabile della valle della Beqaa, tra Al Maalaka e Baàlbek, l’antica Eliopoli, per 39 km su 125.
La strada, di grande importanza strategica, fu messa al sicuro contro lo straripamento del fiume al-Līöānī. Di questa attività il giovane M. lasciò una descrizione geografica, corredata di una carta, poi pubblicata dal giugno al settembre 1879 in sei puntate nel periodico, L’Esploratore, fondato da M. Camperio ed espressione della milanese Società d’esplorazione economica in Africa e dei circoli colonialisti vicini a F. Crispi.
Nel marzo 1876 il M. lasciò la Siria e si recò in Egitto. Anche in questo caso si avvalse dell’appoggio familiare: Barker aveva madre e sorelle a Suez e una di queste era legata agli ambienti economici di questa città che aveva assunto grande sviluppo in seguito all’apertura del canale. Giunto al Cairo, fruendo della ventata di modernizzazione introdotta a suo tempo da Muḥāmmad ‘Alī e continuata in quegli anni dal chedivè Ismā ‘īl Pasciā, il M. venne assunto come ufficiale topografo alla terza sezione dello stato maggiore egiziano.
Dal 1876 al 1879 effettuò ricognizioni, studi e disegni per una moderna cartografia del Paese. Nel 1878 coordinò la redazione di una grande carta in quattro fogli dell’Egitto, collaborando in prima persona alla stesura, e di cui militarmente importante in quegli anni era la parte riguardante le province meridionali: strategiche per il controllo che dal Sudan si poteva effettuare delle acque del Nilo e decisive come argine ai fermenti locali che portarono nel 1882 alla creazione della Mahdiyyah, cioè di quella repubblica islamica guidata dal Mahdī che solo nel 1898 gli Inglesi (dal 1882 direttamente coinvolti nell’amministrazione dell’Egitto) riuscirono a piegare.
In Egitto il 25 apr. 1878 si era unito in matrimonio con Caterina Brignoli, nata ad Algeri e dimorante al Cairo, ma di famiglia italiana). Sempre nel 1878 il M. decise di tentare la sorte con una nuova attività: fu un’esperienza di breve durata ma straordinaria e destinata, indipendentemente dalla sua sfortunata e brusca conclusione, a segnare la sua vita e a dargli la fama. Nel maggio del 1879 fu infatti nominato mudir (approssimativamente l’equivalente di governatore) di una provincia del Sudan, il Dār Fūr, carica che gli era stata procurata da precedenti contatti avuti a Kḥartūm con Ch.G. Gordon, governatore britannico del Sudan, e che tenne per poco più di un semestre. Il compito affidatogli era stato quello di stabilizzare il dominio egiziano e di combattere lo schiavismo.
Un importante promemoria di Gordon del 22 maggio 1879 (Messedaglia 1934-35, pp. 99-101) era a tale proposito assai chiaro. Il M. non doveva ricorrere a mezzi militari, occuparsi dei briganti, pagare (cioè non requisire arbitrariamente) i cammelli che gli fossero serviti, pensare a nominare una nuova amministrazione fra i commercianti e i notabili locali, tassare soprattutto i più ricchi dei commercianti e gli stranieri. Insomma, una penetrazione non oppressiva.
Il M. prese molto sul serio il suo compito. Attorno a el-Fāsher, capoluogo della regione, si mosse con armati, cercò e sconfisse schiavisti, tentò di instaurare un’amministrazione di tipo più occidentale. Egli «in breve tempo percor[se] con fulminea rapidità regioni inospitali e pressoché sconosciute, fra genti infide», incontrò varie difficoltà «a cominciare dal problema dei rifornimenti», e svolse «una vigorosa azione contro i negrieri» in accordo con Ismail in quanto «costante fautore di politica imperialista» (ibid., p. 44).
In questo contesto nacque l’episodio, o la serie di episodi, che alla fine costò al M. il posto di mudir.
Gordon gli aveva chiesto di soccorrere R. Gessi, cosa che il M. fece ma non senza destare qualche perplessità. Inoltre, forse nella sua ansia civilizzatrice, destituì e umiliò un notabile egiziano, Amzi effèndi, molto radicato nell’area, il quale colse l’occasione di un allontanamento del M. dalla capitale del Dār Fūr per accusarlo al Cairo di malversazione di fondi e per eroderne il potere localmente. A ciò si aggiunse l’ira di Gordon, che già da tempo aveva vietato al M. di intraprendere spedizioni militari. Nel frattempo, al Cairo, Ismā ‘īl Pasciā venne deposto e sostituito da Taufīq (giugno 1879) il cui governo fu caratterizzato dal ritorno a una politica dai tratti più nazionalistici (che gli Inglesi e gli storici coloniali non esitarono a definire xenofobi) e da una generale insofferenza verso la presenza europea.
Di tutto questo insieme scontò le conseguenze il M. che il 17 dic. 1879 fu destituito da Gordon.
Non è facile seguire e per molti versi anche giudicare tali vicende del M., all’epoca lontano e dimenticato dall’Italia, più tardi invece – soprattutto sotto il fascismo – esageratamente glorificato e annoverato financo tra i precursori dell’Impero. Lui stesso provò a tutelarsi, pubblicando dapprima ad Alessandria d’Egitto un breve Diario storico militare delle rivolte al Sudan (1886) e più tardi, negli anni di inattività, attendendo a una più diffusa memoria, affidata poi per la pubblicazione a Gabriele Casati ma rimasta inedita e oggi irreperibile. Per comprensibili scopi familiari e con uno sforzo d’erudizione, senza aver sondato tutte le fonti italiane e in ultima analisi senza metodo storico, ma puntando sul clima imperiale del regime, Luigi Messedaglia, suo lontano parente, scrisse un saggio che considerava «di rivendicazione», senza però convincere storici come C. Zaghi e L. Penta; quest’ultimo in particolare vide nel M. un «uomo d’azione», dalla vita movimentata e dagli incarichi non comuni, «ma fare di lui un eroe da paragonare a Gessi o addirittura al Gordon è un’esagerazione» (Penta, p. 563).
Il M. mudir coltivò i propri sogni: pensò a una carovaniera di 600 km, scrisse delle possibilità commerciali della regione, ne ritoccò l’amministrazione. Nel far questo però entrò inevitabilmente in conflitto con gli interessi economici dei mercanti e quelli amministrativo-politici dei funzionari locali, alcuni dei quali semplicemente concussi e collusi con i commercianti, altri invece sinceramente compresi delle spinte modernizzanti provenienti dal Cairo. Il M. non colse la contraddizione di fondo dell’opera di Gordon, e sua propria, né riuscì a battere definitivamente i ribelli (come invece fece Gessi), e finì per rimanere schiacciato fra pulsioni civilizzatrici e il protonazionalismo egiziano dei funzionari e del chedivè. Al Cairo lo attendeva un processo che si svolse solo nel 1882, dopo che in Egitto era stato instaurato il protettorato inglese. Il M. ne uscì assolto, ma non fu sufficiente per riottenere il suo posto di mudir.
Rimase comunque, in quanto già collaboratore di Gordon, fedele amico del governo britannico, cosa che dopo il 1882 contava addirittura più di prima. Aveva, inoltre, una invidiabile conoscenza diretta delle province meridionali egiziane. Per questo fra il novembre del 1882 e il febbraio del 1884 accompagnò le forze impegnate contro i mahdisti lungo il Nilo Azzurro e nell’allora incerto confine fra Egitto, Sudan ed Etiopia. In questo frangente, a Ender teb, il M. subì una brutta ferita con rescissione dei tendini della mano sinistra, che lo costrinse a far ritorno al Cairo; ma fu proprio questo episodio, verificatosi tra l’altro nel contesto di una sconfitta, a fruttargli, in un’Italia che quasi lo ignorava, la prima pagina de L’Illustrazione italiana (13apr. 1884), un ricevimento dal re (15genn. 1885) e – nei mesi della prima spedizione coloniale italiana, quella per Massaua – una serie di richieste di informazioni, consigli, pareri ecc. da parte di governanti, militari e diplomatici. Al Cairo lo considerarono persino investito di suggestive quanto inesistenti segrete missioni diplomatiche e di spionaggio. Purtroppo il primo a credere a questa fama imprevista forse fu proprio lo stesso M., considerato, come in effetti era, alla stregua di un sostenitore dell’espansione coloniale e del collegamento degli scacchieri eritreo (dove l’Italia si era appena affacciata, tra Massaua e Dogali), sudanese, egiziano e persino etiopico. Nel frattempo al Cairo il M. aveva ricevuto qualche ulteriore se pur minore incarico dall’esercito egiziano, mentre l’avvento di F. Crispi al governo gli procurò una piccola pensione mensile (annullata però con la salita al governo di A. Starabba di Rudinì).
Forse in assoluto le informazioni e le competenze del M. non erano così straordinarie, e sarebbe difficile negare che tanta parte della sua vita era stata al fondo un’improvvisazione: questo spiegherebbe perché la classe dirigente liberale rifiutò sostanzialmente di servirsene. D’altro canto, comparativamente alla disinformazione e all’incompetenza generalmente diffuse nei circoli decisionali del tempo (tanto politici quanto diplomatici e militari) relativamente alla frontiera coloniale, il M. almeno poteva vantare positive esperienze sul campo.
Ma la spiegazione per cui «Messedaglia bey», come cominciarono a chiamarlo in patria, rimase inoperoso e inutilizzato stava forse nella sommatoria di tante chiusure tipiche dell’Italia del tempo. I politici non crispini vedevano con sospetto in lui il collaboratore di Crispi, della Riforma e di Camperio; i diplomatici temevano l’uomo d’azione dal dubbio passato; i generali dello stato maggiore e del ministero della Guerra mal tolleravano consigli da un vecchio sergente ex garibaldino balzato a colonnello nell’esercito egiziano: il ministro della Guerra fece addirittura pubblicare una ufficiosa smentita della ventilata possibilità di nominarlo generale «essendo un precedente illegale, spiacentissimo per l’esercito, e appena giustificabile in momenti di rivoluzione» (Corriere della sera, 6-7 marzo 1885).
Cercò di consolarsi accontentandosi di quanto la vita gli aveva offerto: «nell’esercito egiziano sono il solo ufficiale europeo, non inglese, iscritto nei quadri. Col grado che ho già faccio ombra a molti, se fossi promosso diventerei addirittura uno spauracchio». Il tempo passava e alla fine anche al Cairo decisero di disfarsi di lui. Crispi, intervenendo presso lord Th.G. Baring, riuscì a procrastinare la misura di un anno. Ma con il 1° genn. 1889 il M. fu collocato in pensione. Dopo un paio d’anni decise di rimpatriare e si stabilì a Pisa, attendendo ai suoi ricordi. Partecipò a un congresso geografico, ma ormai nessuno lo ricordava più.
Il M. morì a Pisa il 2 giugno 1893.
Fonti e Bibl.: L’opera degli Italiani per la conoscenza dell’Egitto e per il suo risorgimento civile ed economico, a cura di R. Almagià, Roma 1926, p. 178; L. Messedaglia, Lettere ed altri scritti inediti di Carlo Giorgio Gordon a G.B. M., in Atti del R. Ist. veneto di scienze, lettere ed arti, XCIII (1934-35), pp. 37-111; Id., Bibliografia di G.B. M.: soldato, viaggiatore e cartografo, in Atti dell’Acc. di agricoltura, scienze e lettere di Verona, s. 5, XII (1934), pp. 117-144; Id., Due pionieri italiani in Africa: G.B. M. e F. Emiliani (luglio-dicembre 1879), in Nuova Antologia, 1° marzo 1935, pp. 54-77; Id., Uomini d’Africa: M. bey e gli altri collaboratori italiani di Gordon pascia, Bologna 1935; R. Ciasca, Storia coloniale dell’Italia contemporanea. Da Assab all’Impero, Milano 1938, p. 56; C. Zaghi, Vita di Romolo Gessi, Milano 1939, pp. 224, 255, 368-373; A. Angelini, M. bey governatore del Darfur, in Rivista coloniale, XV (1941), pp. 361-367; L. Penta, B. M. governatore del Darfur, in Annali dell’Africa italiana, IV (1941), pp. 558-577; C. Zaghi, Gordon, Gessi e la riconquista del Sudan (1874-1881). Documenti inediti e sconosciuti degli archivi italiani e stranieri raccolti ed illustrati…, Firenze 1947, ad ind.; R. Battaglia, La prima guerra d’Africa, Torino 1958, ad ind.; A. Milanini Kemény, La Società d’esplorazione commerciale in Africa e la politica coloniale, Firenze 1973, pp. 205-214; A. Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale. Dall’Unità alla marcia su Roma, Roma-Bari 1976, p. 42; N. Labanca, In marcia verso Adua, Torino 1993, ad ind.; E. Casti Moreschi - G. Margini, Una geografia dell’altrove. L’Atlante d’Africa di Arcangelo Ghisleri, Cremona 1997, p. 124; N. Labanca, Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana, Bologna 2002, ad ind.; C. Gallo, I Messedaglia e la presenza italiana in Africa. Gli scritti africani di Luigi Messedaglia, in Luigi Messedaglia tra cultura e impegno politico nel Novecento veneto. Atti del Convegno… 1999, Verona 2003, pp. 161-188; S. Vantini, La Coele Siria di G.B. M.: un luogo mitico nella relazione storico-amministrativa di un militare, in Geotema, IX (2005) pp. 227-237; C. Gallo, Il veronese B. M. e gli echi delle vicende africane nell’opera di Emilio Salgari, in Giovanni Miani e il contributo veneto alla conoscenza dell’Africa: esploratori, missionari, imprenditori, scienziati, avventurieri, giornalisti. Atti del XXVII Convegno di studi storici… 2003, Rovigo 2006, pp. 59-77; Diz. del Risorgimento nazionale, III, s.v.; Enc. Italiana, XXII, sub voce.
N. Labanca