BELVISI, Giacomo
Nacque a Bologna non prima del 1270 da Guido e da Bartolomea Picciolpassi, in una famiglia di parte lambertazza, i cui atteggiamenti nelle lotte cittadine si distinguevano per la costante moderazione.
Il luogo in cui nacque non è sicuro presso i biografi antichi. Gli autori che lo vollero "Aquensem" (Panciroli, Fabrizi, Gravina, per fare qualche nome) si mostrano divisi fra loro: alcuni pensano alla città provenzale, altri a quella piemontese, ma senza fondamento evidente. L'equivoco è palese - al contrario - nella tesi di chi lo volle provenzale di nascita; e si tratta d'un errore non privo di serie giustificazioni, come si vedrà (già B. Legurani, presentando la sua edizione della Practica criminalis, gettava luce sulla genesi dell'equivoco). Il Diplovataccio diceva il B. "Bononiensem" e il Sarti poteva utilizzare quei documenti che promise di pubblicare, ma non pubblicò, per convalidare l'opinione del Corfiotto. Una critica puntigliosa potrebbe sostenere che i documenti oggi accessibili (A. Rossi, IV, doc. 6, p. 59; doc. 13, p. 92; doc. 25, p. 158; doc. 38, p. 283), pur presentandoci un tIacobus de belvisio de bononia", non consentono ancora conclusioni apodittiche, come del resto la professio che l'autore medesimo fa nella prefazione al commentario sull'Authenticum ("Iacobus de belviso iuris civilis professor civis bononiensis"); ma che il B. fosse e restasse per tutta la vita "civis bononiensis" non si può dubitare, giacché altrimenti non avrebbero senso episodi sicuramente provati della sua carriera di professore (Tiraboschi).
Nel 1293 il B. prese in moglie Lambertina Artenisi, e solo il 18 maggio 1294 venne emancipato dal nonno Benvenuto, insieme col padre, con lo zio Alberto e coi due fratelli. Nello Studio bolognese seguì l'insegnamento di Francesco d'Accorso e Dino Rossoni, esercitandosi quindi in lecturae extraordinariae, come baccelliere, nel 1296 e 1297 (documenti utilizzati, ma non editi, dal Sarti); in effetti lo troviamo fra i "bachalarii legentes extraordinarie" esentati il 21 giugno 1297, grazie a una deliberazione del Consiglio del popolo e delle masse del popolo, dagli "exercitus et cavalcate" insieme coi "doctores ordinarie legentes" (Sarti, I, p. 291; II, pp. 76 s.: documento ripreso da G. Zaccagnini, in Studi e memorie, XVII, p. 173).
I biografi (dal Sarti al Savigny e allo Schulte) hanno sfiorato le ragioni che impedirono al B. d'ottenere immediatamente il grado di "doctor": il venticinquenne baccelliere non era imparentato con alcun membro del Collegium dei dottori giudicanti, e per giunta la sua famiglia apparteneva alla fazione lambertazza (col Sarti, I, p. 291, si ripete che dal 1274 nessun lambertazzo era stato promosso "doctor" ). Ma questo dato di fatto, l'esistenza di "una vera e propria casta di eligendi" (Sorbelli), va qualificato per ciò che allora significava in concreto: una chiusura di quel Collegium, che sempre più scopertamente veniva assumendo i deteriori lineamenti d'una corporazione (e troppo si pretenderebbe, se ci si aspettassero dal monaco Sarti giudizi di tal fatta), rivelando una tendenza che il Comune bolognese dovette contrastare più volte. L'intera vicenda del dottorato del B. chiarirà sempre meglio che queste autonomie portavano in se stesse, fin dal loro nascere, i propri limiti funzionali.
All'inizio del 1298, o alla fine dell'anno precedente, il B. s'avvicinò a Carlo II, conte di Provenza e re di Sicilia, sostenitore in Italia dei guelfi. È questo uno dei momenti più importanti, ma più intricati, della sua vita: quelle tendenze contrastanti, in germe nell'insegnamento ricevuto da Francesco d'accorso e Dino Rossoni negli anni della preparazione scientifica, emergono ormai nella vita e nell'opera del B., caratterizzandola e determinandola per gli anni avvenire. Alla presenza di Carlo "in aula regia civitatis Aquensis" Pierre des Ferrières., cancelliere dello Studio napoletano, gli conferisce "doctoratus honorem" : sono parole del proemio alla Practica criminalis.
Alcuni autori, fondandosi sulla considerazione che nel sec. XIV Aix-en-Provence non ebbe uno Studium generale, negavano ogni attendibilità alle parole del proemio e volevano che il B. avesse conseguito la laurea soltanto all'arrivo a Napoli (così già l'Origlia, citato anche dal Monti, L'età angioina, p. 73, n. 8).
Una residenza del B. giovane in Provenza sembra, dunque, certa; ma l'ipotesi affacciata dal Fantuzzi e ripresa dal Fiorelli, che vorrebbe la Practica criminalis composta lì, per esser plausibile dovrebbe venir circoscritta. Gli indizi raccolti nella Practica dal Fantuzzi non sono stati resi più persuasivi nemmeno dall'osservazione, peraltro acuta, d'una significativa variante che il testo di Pract. crim., 3, 8, 9 presenta rispetto alla fonte da cui attinge (la si veda in Fiorelli, I, p. 144, n. 57): bisogna infatti ricordare che non di rado, ancora nel Duecento, la voce "Italia" designa le regioni a nord della linea Garigliano-Pescara, sicché il brano citato potrebbe esser stato scritto anche a Napoli. Resta comunque da valutare il peso dell'ambiente. francese, o almeno angioino, nell'opera del Belvisi.
Nel febbraio 1298 il B. era di nuovo (e per pochi mesi, secondo la congettura del Cavazza, p. 92) a Bologna, dove continuava a tenere i suoi corsi di baccelliere nella casa di Bonaccorso de' Carbonesi: è di quel febbraio un episodio, avvenuto nelle scholae "in quibus legit Iacobus de Belviso, et ipso domino Iacobo legente scolaribus suis" e ricordato in una querela (denunciatio et accusatio) sporta al podestà di Bologna (ed. in Cavazza, pp. XV s., doc. 22). Combinando questa con la testimonianza napoletana dell'anno seguente (Camera, pp. 69 s.), si può credere che il B. non'sia partito immediatamente da Aix-en-Provence per Napoli (come ritennero alcuni biografi antichi), ma abbia sostato nella sua città, per lasciarla - di lì a poco - su invito di Carlo.
Negli anni 1298-1302 è certo che il B. insegnò nello Studio napoletano, dove trovava già consolidate la fama e l'influenza del maestro Dino Rossoni (come ha dimostrato, contro l'ipotesi del Bargioni, l'ampia ricerca promossa dal Meijers). La sua era lectura ordinaria nel 1301-1302, anno in cui appunto spiegò ai giovani napoletani il Digestum Vetus.
Un'antica testimonianza indiretta ascrive al 1301 un intervento epistolare di Carlo presso le magistrature cittadine di Bologna, perché s'adoperino a che il Collegium dei dottori conferisca al B. la licentia in quello Studio. A Napoli il B. poté servire gli Angioini anche nelle funzioni di consigliere del re ed in quelle di giudice della Gran Corte.
Verso la fine del 1304 il B. era di nuovo a. Bologna, fiducioso forse nel riavvicinamento delle due fazioni cittadine. Ma la "serrata" del Collegium continuava; fu l'universitas scholarium, colpita dalle dannose conseguenze che direttamente su essa ricadevano da un tal funzionamento dello Studio, a chiedere "summa consensione a publico civitatis Consilio" l'applicazione rigorosa di quelle norme che già il Comune aveva emanate a tutela delle ragionevoli aspettative di chi fosse "satis iuris scientia decoratus" (Sarti, I, p. 293): come s'è detto, da anni il Collegium le violava, chiudendosi in se stesso per conferire la "licentia" ai soli figli o nipoti di "doctores" - L'assemblea cittadina accolse la richiesta e ingiunse ai membri del consesso di "pro more de ipsorum doctrina cognoscere", irrogando sanzioni pecuniarie a carico di ciascun dottore, se il Collegium si fosse ostinato nella vecchia politica. Giunse così il B. al dottorato nell'università in cui aveva già insegnato come baccelliere (Sarti, I, pp. 293, 304, che rinvia ai documenti dell'Appendice); e di fatto in quell'anno 1304 figura con la qualifica di "legum doctor" nel catalogo dei "Consultores Sancti Officii Bononiae" (Sarti, II, p. 303).
Tuttavia verso i primi dì marzo del 1306 i Geremei, forti dell'appoggio di Azzone d'Este, ruppero la tregua: stragi, bandi d'esilio (Sarti, I, p. 293). 1 Belvisi cercarono vie di scampo diverse: il padre, Guido, trovò riparo tra i frati gaudenti della Militia B.M.V., Alberto, zio del B., si rinchiuse fra i Penitenti; il B. lasciò Bologna, mentre il legato Napoleone Orsini, costretto a riparar fuori della città, la fulminava con l'interdetto (Sarti, I, p. 294).
Alcuni autori riferiscono a quest'anno 1306 e al successivo l'insegnamento del B, a Padova (ad es. Sarti, I, p. 294 e - fra gli ultimi - Gloria, Monumenti... 1222-1318, p. 258). Baldo, nel perduto De commemoratione famosissimorum doctorum in utroque iure, utilizzato ancora dal Diplovataccio, attestava che il B. "legit Senis et concurrebat cum Oldrado de Laude, et inimici facti sunt ita taliter quod praedictus Dns. Iacobus fecit bandire dominum Oldradum de Senis, et tunc Oldradus ivit ad Montem pessulanum secundum Baldum in tractatum[!] de commemoratione" (ed. in Anfosso, p. 102); il Sarti (I, p. 294) pone congetturalmente questa fase senese dell'attività del B. intomo al 1307-1308.
In questi anni il B. iniziò la sua attività a Perugia: quando il podestà di Perugia e il capitano del popolo convocarono a Palazzo, il 3 luglio 1308, ventuno "sapientes", perché esprimessero il loro parere intorno a una controversia insorta fra il Comune e l'ex podestà Tolomeo Cortesi da Cremona., due fra essi erano "doctores legum" : il B. e Giovanni da Calcina (Rossi, V, pp. 54, n. 1, 63).
Nell'estate del 1308 il Comune di Bologna intimò al B. di tomare nella città natale. Il B. stesso, legato allo Studium umbro da un contratto che l'obbligava a "moram tra(h)ere et legere in civitate Perusii" (Rossi, IV, doc. 5, pp. 57 s.), chiese ai Priori delle Arti di Perugia l'invio d'una "ambasiata solenpnis" a Bologna, col compito di persuadere quel Comune a concedergli il permesso di risiedere e insegnare nella città umbra (Rossi, IV, doc. 6, p. 59). Il B. di fatto rimase a Perugia, cosicché il 14 ag. 1309 il vicario del podestà di Bologna, gli Anziani, i consoli e una speciale commissione di Savi spedirono al professore bolognese una nuova iussio, nella quale gli intimavano di trovarsi a Bologna "ante inceptionem studii in proximo incoandi", pena il bando e la confisca dei beni (Rossi, IV, doc. 11, p. 88). Comunicata anche a loro l'ingiunzione, i Priori perugini si riunirono il 25 agosto e decisero di proporre al B. una condotta a vita, col salario di duecento fiorini d'oro; d'offrirgli la cittadinanza perugina e di suggerirgli l'espediente di acquistare immobili nel territorio di Perugia, "ut appareret civis": rimedi, che avrebbero tolto al professore ogni "causam recedendi", ponendolo nella necessità di "servare quod promisisset".
Ma cosa abbia deciso il B. in questo frangente non si riesce a sapere: il Sarti annotava che il 19 ott. 1309 il B. condusse in Bologna delle aedes da Filippo Pepoli, per tenervi lezione (I, p. 295), mentre le fonti perugine tacciono. Comunque siano andate le cose nel settembre-ottobre 1309, il B. nell'estate del Uio dovette lasciar Perugia, se il 15 novembre di quell'anno i Priori decisero, sentita ancora una volta una commissione di "sapientes", di sostituirlo (allontanatosi "nuper" ) con Ranieri da Monte Vibiano (Rossi, IV, doc. 12, pp. 90 s.).
Al 1311 appartiene una petitio degli scolari bolognesi, conservata nel Liber Reformationum (e utilizzata dal Sarti, I, p. 295), nella quale si lamenta il danno arrecato all'universitas scholarium dall'assenza del Belvisi.
A Perugia il 10 ott. 1311 il Consiglio dei Priori accettò la proposta, fatta pervenire dal B., d'una nuova condotta ed impegnò il giurista bolognese a insegnare per un anno col solito salario di duecento fiorini d'oro (Rossi, IV, doc. 13, pp. 91 s.).
Sembra certo che nel 1313 il B. non si trovasse a Perugia (Ermini, p. 105): il Colle diceva che passò gli anni 1311-1316 a Napoli, ma sembra più opportuno seguire qui, con qualche correzione, il Monti (p. 97), accettando almeno l'esistenza d'una "lacuna di notizie biografiche" .
Al soggiorno napoletano (propriamente a questo secondo soggiorno) del B. il Chiappelli aveva collegata un'ipotesi stimolante, finita presto in mano a qualche ardimentoso costruttore di "novellé" : la corrispondenza fra un brano della Practica criminalis e certe affermazioni contenute in una delle epistole angioine anti-imperiali (edita prima negli Acta Henrici VII, Firenze 1877, pp. 233 ss., dal Bonaini, poi da J. Schwalm nei Mon. Germ. Hist., Leges, IV, 2, pp. 1362 ss.) aveva suggerito al Chiappelli, sulla base del generico indizio offerto dalle notizie - non controllate - attestanti che fra il 1311 e il 1313 il B. sarebbe stato "doctor in Curia regis Roberti", l'ipotesi d'una partecipazione del B. alla stesura, o alla concezione, di quel libello. Il discorso del Chiappelli s'inseriva in una ricerca volta a chiarire l'ambiente in cui era sorto la Monarchia dantesca, e per ciò stesso l'ipotesi avrebbe potuto e dovuto stimolare gli studiosi a un approfondimento dei pensiero del B.; divenne, al contrario, una "ipotesi fondata" nelle pagine del Solmi, fungendo anzi da 'fatto provato'. Di questo passo si giunse a fare del B. l'autore anche d'altre scritture polemiche angioine (il frammento edito dal Kern negli Acta Imperii, n. 295, pp. 244 ss. e rivendicato dal Solini al giurista bolognese).
Ancora a Perugia, il 27 maggio 1316 i Priori delle Arti, riunitisi insieme con ventisette Savi e col rettore dell'universitas scholarium, decisero di affidare al B. per tre anni, sempre col salario di duecento fiorini d'oro, la "lectura ordinaria in iure civili" (Rossi, IV, doc. 25, pp. 157 s.). Il giurista bolognese dovette adempiere ai suoi obblighi contrattuali, se un documento del marzo 1319 lo pone fra i giureconsulti cui il Comune di Perugia chiedeva, una seconda volta, consiglio sulla controversia relativa a Tolomeo Cortesi (Rossi, IV, p. 54); e se un documento del settembre di quell'anno (edito dal Colle e ricordato poi più volte) lo dice "morans Perusii" (cfr., da ultimo, Ermini, p. 105, n. 6). Se poi, estinto il contratto a termine del 1316, il B. l'abbia rinnovato per altri due anni non è dato oggi sapere, ma è certo che ancora nel 1321 egli si trovava a Perugia (Rossi, IV, doc. 38, pp. 282 s.; doc. 34, p. 255: documenti dai quali si dovrebbe indurre, d'accordo con l'Ermini, pp. 105 s., l'esistenza d'una nuova condotta).
È ricordata dal Ghirardacci (II, pp. 10 s.) un'altra petizione dell'universitas scholarium bolognese al Senato cittadino, nella quale si rilevava che, "si D(ominus) Iacobus de Belvisio leguin professor eximius cuius fama ac scientia gubernatur totum studium Perusinum, revocaretur ad legendum in Civitate Bonon(ie) ipsum sequerentur omnes scolares Perusii existentes". La richiesta degli scolari mosse le autorità del Comune bolognese ad intimare nuovamente il ritorno del B.: lo sappiamo anche dalle fonti perugine del 1321 inoltrato. L'intera assemblea delle Arti si riunì a Perugia il 25 settembre e la riunione si chiuse formalmente col rinvio dell'intera questione al Maggior Consiglio; ma voci si levarono dai capi delle corporazioni, a sottolineare la gravità dell'onere cui il Comune avrebbe dovuto far fronte, se il B. fosse rimasto a Perugia e il Comune l'avesse indennizzato (com'era obbligato ormai a fare).
Nel verbale della riunione dei Priori delle Arti, che il giorno 26 precedette e preparò quella del Maggior Consiglio, non si fa parola della questione di sostanza che preoccupava i camerari delle Arti: si prende semplicemente atto della circostanza che "lacobus de Belvisio leguin doctor se a Civitate perusii absentat tali de causa quod domini priores artium eidem contradicere non possunt" e si procede alla nomina di chi lo sostituirà (Andrea Ciaffi da Pisa; cfr. Rossi, IV, doc. 39, p. 284).
Il B. ritornò, dunque, a Bologna. I concittadini lo accolsero con una deliberazione, il cui dettato non può, certo, dirsi limpido: "... dominus Iacobus de Belvixo legum doctor qui ad requisitionem Communis Bononiae a Studio civitatis Perusii dimissis honoribus et lucris, quae in ipsa civitate habebat, nuper venit, et Franciscus eius filius et Guido et Martinus filii quondam magistri Benvenuti et Iohannes quondam domini Benvenuti de Belvixo, qui nec banniti nec confinati exularunt et eorum descendentes sint et esse intelliguntur, de parte Ecclesiae seu Ieremiensium"; e sta bene a suggello della parte più movimentata della vita del B. (lo trascrive il Sarti, I, p. 297), chiarendo - se di esso è sufficiente una interpretazione letterale - che l'ultimo abbandono di Bologna da parte del B. era stato volontario e aveva prevenuto i provvedimenti presi dai Geremei contro gli avversari. E se la citata petitio dell'universitas scholarium auspicava che il B. "a diuturno exilio revocaretur" (così - almeno - la parafrasa il Sarti, I, p. 296), nel silenzio d'altre fonti non sarà necessario pensare a un bando personale irrogato contro quei Belvisi: potrebb'esser stata appunto un'espressione enfatica quella degli scolari bolognesi.
D'ora innanzi la sede abituale del B. rimane Bologna, dalla quale lo vedremo allontanarsi unicamente per missioni affidategli dal Comune.
Nel 1326 il B. venne mandato, insieme con Alberto Panzoni, a Venezia, per definire una controversia in materia doganale e commerciale. La soluzione raggiunta dai due bolognesi coi Veneziani, ratificata dal Consiglio, si struttura come atto complesso o "procediinento", articolato in un accordo e in una ratifica. Pare che al B. spetti dunque buona parte del merito d'aver instaurato una sorta d'unione doganale fra Bologna e Venezia: "Veneti Bononiae tamquam Bononienses, Venetiis Bononienses taniquani Veneti haberentur" (così parafrasa il Sarti, I, p. 297), secondo uno schema di rigorosa reciprocità. Si ha notizia, poi, dell'atto con cui il Comune di Bologna liquidava nel 1327 le spese sostenute dal B. nel corso dell'ambasceria (Sarti, I, p. 297).
Nel 1328 Bertrando del Poggetto, rìentrato a Bologna, affidò al B. ed a tre altri illustri cittadini l'espletamento delle difficili procedure intese a restituire a quei Geremei, che fin dal 1306 erano stati banditi dagli avversari, i beni già colpiti dai provvedimenti di confisca (Sarti, I, p. 298); il Sarti (ibid.) dà notizia anche d'un lodo arbitrale pronunciato dal B. nella controversia fra il Comune di Bagnacavallo e il vescovo di Ravenna nel 1331. Nel 1332 Bertrando affidò al B., a Francesco Liazari, Iacopo Tederisi e Giovanni Barattieri la redazione di nuovi statuti cittadini (caduti, poi, con la cacciata di Bertrando nel 1334).
Il Dipiovataccio vuole che sia stato il B. ad assegnare al giovane Bartolo, fra i puncta delle prove di dottorato, la l. illud, ff. quod metus causa [D. 4, 2, 10] (G. Rossi, p. 469 per la recensione oliveriana [dalla quale non si distacca su questo punto la Bartoli Vita a stampa]; cfr. il brano della vita del B., parzialmente edito dal Rossi, n. 93); ed è forse l'ultima apparizione del B. questa del settembre 1334: ai primi di gennaio dell'anno seguente moriva, lasciando in Bologna largo rimpianto di sé (questo - forse - potrà concedersi all'autore del Memoriale historicum, checché pensi il Sarti dell'attendibilità di Matteo).
Il B. lasciava agli eredi una fortuna cospicua nella sua abitazione bolognese e nei fondi rustici: l'inventario dei suoi beni, redatto il 20 febbr. 1335, conta fondi rustici per un'estensione complessiva di 360 tornature, arricchiti da case coloniche. Con gli altri mobili, passavano agli eredi anche i libri appartenuti al B., che si vogliono qui ricordare, perché nel loro insieme costituiscono una delle pochissime biblioteche giuridiche trecentesche di cui sia rimasta notizia: "Unum Digestum vetus, unum codicem, unum Infortiatum, Digestum novum cum apparatu d(omini) Atarsii [!] ad modum antiquum, qui reperti fuerunt in camera dicti cond(am) d(omini) Iacobi" (Frati, p. 233): il professore li teneva, dunque, a portata di mano. E ancora: "Decretum et Decretalium cum apparato [1] Innocentii, sextuni librum. Decretaliuni sine apparatu, glossas domini Iohannis Andree super sexto libro Decretalium in petiis omnes in uno volumine. Item apparatum Accursii. super Digesto veteri, item apparatum Accursii super digesto novo. Item solutiones contrariorum et brochardorum super corpore iuris. Item Summa Acconis. Item plura scripta in quibusdam quaternis. Item Summa notarie. Item quamplures impetrationes, etc." (ibid.).
Alle lecturae (ordinariae ed extraordinariae) tenute dal B. in luoghi e anni diversi potrebbero risalire le molte additiones alla giossa accursiana del Corpus Iuris Civilis che recano in calce il suo nome, se non si trattasse piuttosto (cosa ben verosimile, che soltanto uno studio particolare potrebbe accertare caso per caso) di semplici estratti da altre opere del B., o comunque di riferimenti ad opinioni del doctor, aggiunti in margine da uditori o da amanuensi: troppo oscura èancor oggi l'attività dei post-accursiani, perché sia dato procedere altrimenti che a tentoni in questa materia.
Basterà indicare, a titolo d'esempio, alcuni manoscritti (non tutti controllati direttamente):
Additiones alla glossa ordinaria super Digesto Veteri si trovano a Venezia (Bibl. Naz. Marc., Z.L.CC, secondo I. Valentinelli, Bibliotheca manuscripta s. Marci Venetiarum, III, Venetiis 1870, p. 1) e nella Città del Vaticano (Bibl. Apost. Vaticana, Pal. lat. 732, Pal. lat. 733, Pal. lat. 735). Gli anni ai quali potrebbero risalire questi gruppi di additiones sono, ovviamente, quelli (ricordati sopra) nei quali il B. spiegò il Vetus (cfr. di nuovo, ad es., A. Rossi, IV, post doc. 13, p. 92). Additiones alla glossa ordinaria super Digesto Infortiato si possono leggere nei mss. Burgh. 375 ed Urb. lat. 166 della Bibl. Vaticana. Additiones alla glossa ordinaria super Digesto Novo si trovano nel ms. Z. L. CCV della Marciana (secondo Valentinelli, p. 7) e in tre della Vaticana (Burgh. 223, Burgh. 373, Ross. 586). Additiones alla glossa ordinaria super Codice sono conservate in alcuni mss. della Vaticana (Barb. lat. 1462, Pal. lat. 758, Pal. lat. 760, Pal. lat. 762).
Le additiones alla glossa ordinaria super Volumine richiederebbero un'analisi ancora più accurata, che portasse in luce - ad esempio - i nessi che verosimilmente legano questi singoli brani staccati alle lecturae di cui si farà cenno più avanti. Alcune di tali additiones si trovano in un ms. parigino (Bibi. Nat., Lat. 4437, segnalato da L. Volpicella, p. 76, che genericamente parla di additiones alla glossa ordinaria sul Volumen) e in qualche ms. vaticano (Bibl. Vaticana, Barb. lat. 1463 sull'Authenticum, Burgh. 374 sulle Institutiones, sull'Authenticum e sui Libri Feudorum; Pal. lat. 766 sull'Authenticum; Ross. 584 sulle Institutiones).
Una particolare forma d'integrazione della glossa ordinaria rappresentano le Solutiones contrariorum insolutorum a glossatore. Il Savigny ne indicava un esemplare nel ms. Lat. 4598 della Bibl. Nat. di Parigi, cui può aggiungersi ora quello contenuto nel ms. 29, ff. 36r-48r della Nazionale di Madrid (a f. 48r si legge l'explic.: "... soluciones conimunium delictorum [!] in giossis ordinaris [!] digesti veteris in solutoruni [!] compilati per dominuin Iacobum de Belvisio legum doctorem de Bononia. Scripte hic secunda vice que [!] ipse legit Perusio". E non è detto che lo scrivano intenda - così datare l'opera: dall'indicazione, però, si deve indurre almeno un terminus ante quem per la composizione di essa).
Estratti dalle lecturae del B. sarebbero, secondo alcuni (che si richiamano al parere del Savigny), i Casus summarii del ms. 909 della Bibl. Universitaria di Lipsia (ff. 1-233r): opinione che sembra verosimile a chi non ha visto l'opera, almeno per quanto riguarda i casus Authenticorum e i casus Consuetudinum Feudorum. Per ciò che attiene ai casus summarii del Codex sarà meglio riservare il giudizio.
La lectura Authenticorum fu edita a Lione nel 1511, negli anni in cui venne formandosi l'equivoco della nascita provenzale del Belvisi. Opera di formazione alluvionale, "composta o ritoccata" dopo il 1325 (Savigny, Maffei), raccoglieva materiale di provenienza diversa (la quaestio, della quale già il Savigny notava l'inserzione nella stampa lionese, può vedersi trascritta al luogo corrispondente nell'Ott. lat. 1307, ff. 130vb-132vb). Chi voglia risalire dall'edizione lionese a qualche manoscritto dovrà contentarsi per ora del frammento contenuto nei fogli 130v e ss. del citato Ott. lat. 1307 e dell'esemplare torinese (Bibl. Naz., H.I. 17, che pare mutilo in fine).
Sull'importanza dell'opera hanno già richiamato l'attenzione alcuni autori (Savigny, Landsberg, ecc.) da punti di vista differenti.
Il commento ai Libri Feudorum si trova manoscritto a Basilea (Oeffentiiche Bibl., C. II. 15), Berlino (già Königliche Bibl., 892 [lat. f0l. 209], ff. 3-48), Cues (Hospitalsbibliothek, 264, ff. 119-143), Madrid (Bibl. Nacíonal, 825, ff. 1r-30v), San Gallo (Stiftsbibi., 748, ff. 60-100); fu edito per la prima volta a Lione nel 1511, insieme con il commento all'Autentico. Il Savigny lo riteneva composto prima del 1310 e già osservava che esso adotta l'ordine e la recensione della glossa ordinaria.
La Practica criminalis, insieme con le due lecturae la più fortunata delle opere dei B., fu edita per la prima volta a Lione (nel 1511; altre stampe sono elencate dal Savigny).
La quaestio de excommunicato (Vat. lat. 2660, ff. 272v-274r: "... disputata fuit hec questio per Ia[cobum] de belviso de bon[onia] egregium legum doctorem et in orbe famosissimum)" si può veder edita nei Tractatus Universi Iuris, XIV, Venetiis 1584, ff. 387ra-388ra (con qualche rimaneggiamento); una quaestio de percussione... ex qua signum remanserit (Torino, Bibl. Naz., H.I.8) è pure attribuita al Belvisi. A queste si deve aggiungere almeno la quaestio inserita nel commento all'Autentico, già ricordata.
Consilia attribuiti al B. sono quelli dell'Ottob. lat. 1726, ff. 43v-47v (inc.: "Cavetur lege municipali quod qui aliqueni percusserit, cum sanguinis effusione...". Questo cons. si dovrà forse studiare anche in rapporto alla citata quaestio dee prcussione), del Vat. lat. 8069, f. 310v (datato 1330: cfr. A. Campitelli-F. Liotta, p. 398) e i due conservatiin mss. veneziani (Bibl. Marciana, L.V.II; L. V.III: cfr. I. Valentinelli, pp. 9 s., 13). Un consilium fu pubblicato da Giambattista Ziletti nel primo volume della sua raccolta di Responsa, quae vulgo Consilia vocantur ad causas ultimarum voluntatum (Venetiis 1568, cotis. IX, ff. 10v-11r).
Una repetitio del B. ad can. Romana, contrahentes, de foro competenti, in Sexto [VI. 2, 2, 1, 3] veniva ricordata dallo Schulte (p. 233) come edita nel quinto volume delle Repetitiones in Iure Canonico (Venezia 1587, ff. 153-165); ma altri pensa che l'attribuzione di quello scritto al B. sia affatto erronea.
Il Savigny toglieva al B., per darlo al Baldovini, uno scritto de primo et secundo decreto (ed. nei Tractatus Universi Iuris, III, 2, Venetiis 1584, ff. 136vb-139ra).
Fonti e Bibl.: A. Rossi, Doc. per la storia della Univ. di Perugia... Sec. XIV, in Giorn. di erudiz. art., IV (1875), pp. 57 s. (doc. 5), 59-61 (doc. 6), 88 s. (doc. 11), 90 s. (doc. 12), 91 s. (doc. 13), 157-159 (doc. 25), 255 (doc. 34), 282 s. (doc. 38), 284 (doc. 39). 319 (doc. 45); Baldi de Perusio Super Feudis, proh., n. 4, Lugduni 1536, f. 2va; Matthaei de Griffonibus Memoriale historicum. ad a. MCCCXXXV, in Rer. Ital. Script., XVIII, Mediolani 1731, col. 154; I. B. de Caccialupis, Tractatus de modo studendi in utroque iure, doc. V, ed. col Vocabularius utriusque iuris, Venetiis 1564, f. 239va (ed anche, sotto il titolo di Historiae Interpr. et Glossat. Iuris, con G. Panciroli, De claris..., p. 503); C. Cottae Tractatio de jurisperitis, ed. con G. Panciroli, De claris..., p. 522; Th. Diplovatacci De claris iuris consultis, a cura di H. Kantorowicz e F. Schulz, I, Berlin 1919, pp. 352, 353, 354 (nella Vita di Giustiniano), e particolarmente il capitolo dedicato al B. nella parte inedita della medesima opera (Pesaro, Bibl. Oliveriana, ms. 203, pubblicato parzialmente da G. Rossi, La "Bartoli Vita" di Tommaso Diplovataccio secondo il cod. Oliveriano 203, in B. da Sassoferrato. Studi e doc. per il VI cent., II, Milano 1962, p. 469, n. 93; e cfr. L. Anfosso, Oldrado..., p. 102) nonché quello dedicato a Bartolo (in G. Rossi. pp. 469, 482; la redazione già nota può vedersi in Bartoli a Saxoferrato... Omnia, quae extant, Opera, I, in Primam Digesti Veteris partem, Venetiis 1615, p. 8); B. Legurani, dedica della sua ed. della Practica criminalis, nel Volumen IIII Tractatuum ex Variis Interpretum collectorum, Lugduni 1549, f. 33va; I. Fichardi Vitae Iureconsultorum recentiorum, ed. con G. Panciroli, p. 406; I. B. Zileti Index librorum iuris pontificii et civilis, Venetiis 1566, ff. 7, 14r, 30r, 37v, 47v; G. Panciroli, De claris legum i. nterpretibus, lib. II, c. LV, Lipsiae 1721, pp. 141, 142; G. N. Pasquali Alidosi, I dottori bolognesi di legge can. e civile..., Bologna 1620, pp. 98 ss.; C. Ghirardacci, Della historia di Bologna, II, Bologna 1657, pp. 9 s., 18, 73, 98, 117; I. V. Gravinae De origine Romani Iuris, lib. I, cap. CLXI Lipsiae M7, p. III; P. Giannone, Istoria civile del regno di Napoli, Napoli 1865, IV, p. 129; A. Fontana, Amphitheatrum legale... seu Bibliotheca legalis amplissima, I, Parmae 1688, col. 90; G. Grimaldi, Istoria delle leggi e magistrati del regno di Napoli, II, lib. XI, 58, Lucca 1733, p. 282; I. A. Fabrici Bibliotheca Latina mediae et infimae latinitatis, IV, Patavii 1754, pp. 6 ss.; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 2. Brescia 1760, pp. 722-724; M. Sarti-M. Fattorini, De claris archigynmasii Bononiensis Professoribus, Bologna 1888, I, pp. 177, 290-299, 304; II, ibid. 1896, pp. 77, 303> 324, 346, 355; G. 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