BOSIO, Giacomo
Nacque a Chivasso da Gian Bartolomeo nell'anno 1544, in una famiglia che aveva già dato numerosi cavalieri all'Ordine gerosolimitano. Chiamato giovanissimo a Roma dallo zio paterno Giannotto, agente della religione gerosolimitana alla corte pontificia, insieme con il fratello maggiore Giovanni Ottone, anche lui destinato a servire tra i cavalieri di Malta, il B. collaborò con lo zio nel disbrigo degli interessi dell'Ordine; nel 1571, quando Giannotto decise di ritirarsi dall'ufficio, ottenne che Pio V intervenisse presso il gran maestro perché la carica di agente dell'Ordine a Roma venisse concessa al nipote, e il B. l'ottenne infatti nel 1574, con uno stipendio annuo di 200 scudi, su deliberazione del gran maestro e del Consiglio. Tre anni dopo, nell'agosto del 1577, il B. ebbe un importante incarico diplomatico alla corte di Francia: l'Ordine aveva infatti chiesto e ottenuto da papa Gregorio XIII l'invio a Enrico III e alla regina madre di due brevi per difendere l'Ordine dalle pretese del re sui tre priorati di Francia, di S. Egidio e di Champagne, che Enrico III intendeva attribuire al cognato Francesco di Lorena. Latori dei due brevi a Parigi furono il B. e il fratello Giovanni Ottone che nel frattempo era stato nominato ricevitore dell'Ordine per il priorato di Roma. Stabilito un accordo con la corte francese, esso venne festeggiato, secondo l'uso, da un torneo, in occasione del quale Giacomo e Giovanni Ottone collaborarono a una raccolta di sonetti celebrativi.
Tornati a Roma, i due fratelli ripresero i propri uffici, i quali dovevano permettere loro una larga disponibilità di mezzi economici, giacché pare che in poco tempo riuscissero a costituire una pinacoteca privata di notevole valore.
Nel 1581 il B. e il fratello furono i protagonisti di un gravissimo episodio che si concluse con un omicidio e li mise a rischio dell'impiccagione. In quell'anno le lingue italiana e spagnola dell'Ordine si sollevarono contro il gran maestro J. de La Cassière e Gregorio XIII si vide costretto a intervenire nel contrasto, affidando un tentativo di conciliazione al cardinale Guastavillani. A seguito dei contrasti emersi durante una riunione tenuta in Vaticano il 30 luglio, il B., insieme con il fratello tra i più accesi fautori del gran maestro, uccise a pugnalate un denigratore del La Cassière, Francesco de Guevara, fratello del duca di Bovino.
I due fratelli Bosio trovarono rifugio presso il capo del partito francese a Roma, il cardinale Luigi d'Este, che li salvò dall'impiccagione, subito dopo il fatto decretata contro di loro da Gregorio XIII. Il papa confiscò i loro beni, compresa la pinacoteca, e li privò di ogni beneficio e dell'abito gerosolimitano; come parziale compenso a queste misure il La Cassière, il quale morì poco dopo, nel dicembre del 1581 lasciò loro un legato di 500 scudi ciascuno.
La protezione però del partito francese a Roma, gli interventi presso il pontefice di Enrico III, del duca di Savoia Carlo, Emanuele I e del nuovo gran maestro dell'Ordine gerosolimitano, Ugo de Verdale, che aveva da parecchio tempo rapporti di amicizia con i Bosio, infine la proclamazione dell'innocenza del La Cassière contro le accuse mossegli dal Consiglio dell'Ordine, avvenuta con breve pontificio del 12 sett. 1582, finirono per far cadere le accuse contro i due fratelli e il B. poté riprendere, dal settembre 1586, il suo lucroso ufficio di agente di affari.
Egli poteva così dedicarsi a una tranquilla attività di studi cui rimase fedele finché visse, anche se forse non rinunziò del tutto a qualche ambizione di carriera ecclesiastica. L'interesse artistico che il B. aveva già dimostrato, raccogliendo col fratello l'ormai dispersa pinacoteca, riversò negli anni della maturità in un modesto ma intelligente mecenatismo che si esercitò nel restauro e nell'abbellimento della basilica Eleniana e della chiesa di S. Biagio in Montorio, e, soprattutto, nella protezione del nipote, Antonio Bosio, il celebre archeologo che certo il B., non privo di curiosità per le antichità cristiane, seguì nella prima formazione culturale, anche se mancano di ogni fondamento le notizie di una sua qualche partecipazione alla redazione della Roma sotterranea del nipote. Le ambizioni letterarie del B. si rivolgevano invece all'erudizione ecclesiastica, che il clima controriformistico della Roma del tardo Cinquecento largamente alimentava, ed egli venne maturando il progetto di una storia della religione gerosolimitana, la cui mancanza specialmente tra i cavalieri da gran tempo si lamentava.
Non erano mancati infatti i tentativi di colmare questa lacuna, ma Guglielmo di Cahors, Giacomo di Borbone, Giacomo Fontana, Nicola Durand de Villegagnon si erano preoccupati, nell'ultimo secolo, di illustrare episodi particolari, in genere contemporanei, riferiti sulla base di memorie personali e di documenti pubblicati. L'esigenza di una storia generale dell'Ordine che mettesse a partito la ricchissima documentazione custodita negli archivi dei cavalieri e delle corti europee rimaneva insoddisfatta e anzi era accresciuta dalla pubblicazione, a Basilea, nel 1581, di una breve Militaris Ordinis Iohannitarum... historia nova, di Enrico Pantaleone, troppo rapida, non priva di inesattezze e, a mortificazione dei cavalieri, scritta fuori di ogni intervento dell'Ordine. Questo aveva, in verità, affidato sin dal 1555 l'incarico ufficiale di scrivere la storia dei cavalieri di S. Giovanni al francese La Vinadière, il quale, durante un suo lungo soggiorno a Roma, aveva raccolto in codice numerosi documenti vaticani relativi all'Ordine; interrotta la fatica del La Vinadière dalla morte, il capitolo generale dell'Ordine affidò l'incarico allo spagnolo J. A. de Fojan, che scrisse in castigliano una Historia Hierosolimitana, ma la morte dell'autore anche in questo caso lasciò largamene incompleta l'opera. Così pure non avevano seguito analoghi tentativi intrapresi dai giovanniti Raffaele Silvago e Nicola Blancheleine.
A indurre il B. a continuare tutte queste inconcluse fatiche fu con ogni probabilità il fratello Giovanni Ottone, il quale, dopo essere stato assolto dalle accuse per l'omicidio del de Guevara, aveva ripreso una brillante carriera nell'Ordine sotto la protezione del gran maestro Vérdale e assicurava al B. ogni aiuto dei cavalieri se si fosse accinto all'opera.
Un primo avvicinamento all'argomento fu una raccolta di brevi biografie dei cavalieri gerosolimitani caduti in difesa della fede che il B. pubblicò a Roma nel 1588 col titolo La Corona del Cavaliere Gierosolimitano. Inoltre, l'anno successivo il B. pubblicò una raccolta dei privilegi concessi all'Ordine dal pontificato di Pio IV aggiungendovi la descrizione delle norme e dei riti richiesti per l'accettazione dei cavalieri: Li Privilegi della Sacra Religione di S. Gio Gerosolimitano, Roma 1589. Contemporaneamente il B. curava un'edizione in lingua italiana degli ordinamenti votati dal capitolo generale del 1583 per ristabilire la disciplina dell'Ordine, già pubblicati in latino dal Vérdale nel 1583.
La traduzione italiana del B. incontrò il generale favore dei cavalieri tra i quali la conoscenza della lingua latina era ormai tutt'altro che diffusa: esaminata a Malta da una commissione composta dal vescovo Tommaso Gargallo, dal vicecancelliere fra' Diego de Onando e dallo stesso Giovanni Ottone Bosio, essa fu non soltanto autorizzata ma dichiarata versione ufficiale dell'Ordine, a parità di valore legale con l'edizione latina e con esclusione di qualsiasi altra traduzione. Il gran maestro stabilì il 28 nov. 1588 che la pubblicazione dovesse avvenire a spese dell'Ordine e la affidò alle cure dell'ambasciatore ordinario a Roma fra' Giovanni Battista Rondinelli.
Guadagnatosi così, con questi lavori preliminari, una investitura di fatto di scrittore ufficiale dell'Ordine, il B. non ebbe difficoltà a ottenere dal gran maestro l'8 marzo del 1589 l'incarico di riprendere la storia generale interrotta per la morte del Fojan: nella medesima data gli fu assegnato a questo fine uno stipendio annuo di 300 scudi.
La protezione del fratello, già collaboratore del cancellierato dell'Ordine e poi vicecancelliere dal 1593, fu decisiva così per l'attribuzione dell'opera, la cui redazione in lingua italiana pare costituisse una vittoria dei cavalieri italiani sugli spagnoli, come pure per la sua realizzazione. Il B. infatti disponeva di numerosi materiali per il proprio lavoro: sicuramente i manoscritti del Fojan, del Fontana, del Silvago e del Blancheleine, le carte numerose della rappresentanza di Malta a Roma e le sue raccolte di privilegi e degli ordinamenti dell'Ordine: ma il B. aveva maggiori ambizioni che il fratello soddisfece ottenendogli le copie dei più importanti documenti custoditi a Malta negli archivi della Cancelleria e dell'Erario e facendo anche una diligente ricerca di memorie e documenti privati.
Già nel 1594 il B. poté pubblicare a Roma le prime due parti della Historia della Religione et Ill.ma Militia di S. Giovanni Gerosolimitano dedicandole al gran maestro Vérdale e ottenendo da Clemente VIII che ne fosse proibita per un decennio ogni ristampa non autorizzata dal gran maestro o dall'autore. In questa prima redazione dell'opera il B. si limitò a inquadrare storicamente la ricchissima documentazione di cui disponeva, ampliando e correggendo in numerosi punti la Historia Hierosolimitana del Fojan. La pubblicazione della terza parte dell'opera fu invece ritardata da vari contrasti sorti nell'Ordine, dalla morte del Vérdale, avvenuta nel 1595, e dalla diminuita influenza di Giovanni Ottone, che si vide anche costretto dall'inimicizia dei cavalieri spagnoli e portoghesi ad abbandonare per qualche tempo il vicecancellierato; non c'è dubbio, del resto, che con l'avvicinarsi della trattazione ai tempi contemporanei aumentassero per il B. anche le difficoltà di redazione, sia per il moltiplicarsi delle testimonianze, sia per le pressioni dei protagonisti in gran parte ancora viventi. Così la pubblicazione della terza parte dell'opera - interrotta anche dalla traduzione che in occasione del giubileo del 1600 il B. compì del Trattato del giubileo dell'anno santo dello spagnolo G. Gracián (Roma 1599) - fu ritardata sino al 1602: anche questa parte, che si spingeva sino agli avvenimenti dell'anno 1571, fu pubblicata a Roma e il B. la dedicò al gran maestro A. de Wignacourt. Anche in questo caso l'aiuto di Giovanni Ottone, che agli ultimi avvenimenti narrati, come l'assedio di Malta del 1565, aveva personalmente partecipato, fu decisivo, poiché tra le altre fonti mise a disposizione del B. il ricchissimo diario dello scrivano del Tesoro Agostino Santa Maura; del resto per l'ultimo periodo della storia dei cavalieri erano ormai tutt'altro che scarse le memorie a stampa, sicché la terza parte dell'opera era indubbiamente di un valore documentario maggiore delle prime due.
Non pare che il compimento della Historia suscitasse un particolare compiacimento nelle gerarchie dell'Ordine, forse distratte dalle interminabili contese tra i cavalieri: in ogni modo il B. non ne ebbe particolari lodi né, pare, speciali emolumenti. La delusione dovette essere grande e certo influì non poco nella decisione di indirizzarsi a un altro ordine di studi. Già da tempo egli era divenuto intimo del cardinale Gregorio Petrocchini, per incoraggiamento del quale, forse, o comunque per compiacerlo, il B. si rivolse all'erudizione devota, pubblicando a Roma nel 1610 e dedicando al suo protettore La trionfante croce, ricca silloge di memorie storiche ed ascetiche sull'argomento, sull'esempio del De cruce romana di Giusto Lipsio, dell'Opera della croce di Cipriano Uberti e del Triumphum crucis del Panigarola.
Ma fu questo, in definitiva, soltanto un episodio nell'attività del B., al quale proprio nel 1610 il Wignacourt confermava la stima dell'Ordine affidandogli interinalmente l'ambasciata di Roma. Il B. finiva presto per tornare agli studi prediletti, preparando una nuova edizione della sua Historia che in effetti costituiva una revisione radicale.
Il B. infatti condusse una più accurata ricerca di documenti, particolarmente negli archivi romani; a differenza della prima edizione non tradusse in italiano le fonti utilizzate, ma le diede nell'originale latino; soprattutto però compì una notevole revisione critica del suo primo lavoro, correggendo spesso non soltanto le inesattezze, ma gli stessi giudizi storici, sicché la seconda edizione risultò non soltanto più accurata, ma anche criticamente assai più valida della precedente.
Il B. poté però curare solo la ristampa della prima parte dell'opera, avvenuta in Roma nel 1621 e dedicata al pontefice appena eletto, Gregorio XV. La morte, avvenuta a Roma il 2 febbr. 1627, gli impedì infatti di portare a compimento il lavoro. Il nipote, ed erede Antonio se ne assunse il compito, ma anch'egli morì prima che l'edizione fosse completata. Se ne incaricò nel 1630 l'ambasciatore ordinario dell'Ordine di Malta, Carlo Aldobrandini, esecutore testamentario di Antonio Bosio: la seconda parte apparve però con la data del 1629, giacché in quest'anno essa era già tutta in stampa, recando una prefazione dell'Aldobrandini. La terza parte fu ristampata soltanto nelle successive, numerose edizioni dell'opera.
Fonti eBibl.: Iani Nicii Eritrei Pinacotheca Imaginum Illustrium..., Coloniae Agrippinae 1645, pp. 232 s.; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 3, Brescia 1762, pp. 1840 ss.; F. de Hellwald, Bibliographie méthodique de l'ordre Souverain de St. Jean de Jérusalem, Romae 1885, p. 28; A. Valeri, Cenni biografici di A. Bosio con doc. ined., Roma 1900, passim;C. Vittone, Casa Savoia,il Piemonte e Chivasso, I, Torino 1904, p. 554; Ch. Hirschauer, Recherches sur la déposition et la mort de Jean Levesque de La Cassière,grand maître de l'Ordre de Malte, in Mélanges d'archéologie et d'histoire, XXXI (1911), pp. 75-141; P. Falcone, La Nunziatura di Malta nell'Archivio Segreto della S. Sede, I, Roma 1936, passim; Id., Il valore documentario della Storia dell'Ordine gerosolimitano di G. B., in Arch. stor. di Malta, X (1939), pp. 93-135; Id., La patria di G. B.,ibid., pp. 239-243.