BUSSOLARI, Giacomo (Iacopo)
Nacque a Pavia da umile famiglia agli inizi del sec. XIV. Intorno al 1328 - stando a quanto si può desumere dal Villani - entrò nel convento cittadino degli agostiniani, ove rimase fino a quando fu ordinato sacerdote. Si recò, poi, a quanto pare, ad Alessandria e qui proseguì gli studi conseguendo il titolo di lettore.
Mancano notizie sicure su di lui fino al 1355, quando rientrò a Pavia, il cui governo proprio in quell'anno era stato affidato al marchese del Monferrato Giovanni II Paleologo a titolo di vicariato imperiale. Il B. iniziò subito un'ampia attività di predicatore, acquistando in breve tempo fama di rigoroso riformatore di costumi e di strenuo difensore delle libertà comunali. La sua attività di predicatore venne in un primo momento incoraggiata dalla più potente famiglia pavese, i Beccaria, che speravano di potersene servire a scopi politici. Ma il B., che doveva aver conosciuto il marchese del Monferrato durante il soggiorno ad Alessandria, si schierò a favore di quest'ultimo. E i suoi rapporti con il marchese si consolidarono quando Giovanni II si recò a Pavia, all'inizio del 1356, per farsi riconoscere vicario dalla cittadinanza: nel lasciare la città, infatti, il marchese ordinava al podestà da lui nominato, Antonio di San Giorgio conte di Biandrate, "che in ogni occorrenza dovessi governarsi secondo il parere e deliberazione di un frate, Giacomo Bussolaro..." (Sangiorgio, p. 180).
Messo, dunque, dal marchese in posizione preminente nella città, il B. dette subito prova di grande capacità, organizzando nell'aprile dello stesso 1356 la resistenza dei Pavesi all'assedio posto alla città dall'esercito visconteo. Per circa due mesi il Comune seppe resistere all'attacco nemico: il 28 maggio, infine, con una improvvisa sortita i Pavesi, guidati dal B., riuscirono a cogliere di sorpresa i Milanesi e a metterli in rotta.
La vittoria consolidava e accresceva l'autorità del B. a Pavia. Egli rivolse la sua predicazione contro i Beccaria, accusandoli di essere i maggiori responsabili della corruzione pubblica e di tramare contro le libertà cittadine. Dopo aver tentato senza successo di farlo uccidere da un sicario, i Beccaria furono costretti ad abbandonare la città e a rifugiarsi presso i Visconti. I Pavesi, esortati dal B., condannarono a morte molti dei loro sostenitori, e rasero al suolo le loro abitazioni.
Sbarazzatosi dell'opposizione interna e vittorioso sui nemici esterni della città, il B. poté dedicarsi per quasi due anni a un'intensa attività di predicatore.
È di questo periodo la corrispondenza tra lui e il priore generale dell'Ordine agostiniano, Gregorio da Rimini, corrispondenza che ci è pervenuta in massima parte e che è fonte di primaria importanza per ricostruire la vita del B. in questi anni e per comprendere l'autorità di cui egli godeva non solo nell'amministrazione del Comune, ma anche nella direzione del convento agostiniano, del quale, peraltro, non era priore.
NeTaprile 1358 Galeazzo Visconti mosse nuovamente all'attacco di Pavia e, dopp aver ottenuto una vittoria campale, cinse la città d'assedio. Ma la necessità di spostare le truppe assedianti in altre zone del suo Stato, minacciate dagli eserciti della lega antiviscontea, lo indussero a cercare un accordo con Pavia: il trattato concluso a Milano l'8 giugno lasciava ancora la città lombarda nelle mani del marchese del Monferrato. Si trattava, però, soltanto di una tregua: nel marzo dell'anno successivo Galeazzo sferrò un nuovo attacco a Pavia. Toccò ancora al B. allestire la difesa della città. Questa volta le forze milanesi erano troppo ingenti per sperare in una vittoriosa resistenza. Tuttavia egli non cedette: non prestò ascolto alla lettera indirizzatagli dal Petrarca il 25 marzo (Maiocchi-Casacca, I, pp. 110-117), con la quale il poeta lo invitava in termini duri ad abbandonare la difesa; né si arrese quando anche i rifornimenti del marchese del Monferrato vennero a mancare (agosto 1359). Organizzò la città in modo da poter far fronte all'assedio al più a lungo possibile, ricorrendo a tutta quella serie di espedienti che ci è stata raccontata dall'Azario. A novembre, però, la città era sfinita e il B., dopo aver consultato l'assemblea cittadina, decise di iniziare le trattative per la resa. Il 13 novembre Galeazzo diventava signore di Pavia e due giorni dopo i suoi delegati entravano nella città per prenderne possesso.
Sembra che nei primi tempi i nuovi signori di Pavia trattassero con riguardo il B., tanto da avvalersi dei suoi consigli. Il 12 dicembre Galeazzo, in una lettera a Ugolino Gonzaga, parlava della sua probità e del suo valore (Maiocchi-Casacca, I, pp. 117 s.), e il 5 dicembre il priore generale degli agostiniani, Matteo d'Ascoli, decideva di non attuare i provvedimenti che il capitolo generale dell'Ordine, riunitosi a Padova all'inizio del mese di settembre, aveva minacciato di adottare contro il B. (il capitolo lo aveva invitato, pena la scomunica, ad abbandonare subito ogni attività temporale e spirituale, compresa la predicazione). Non siamo ben informati sul susseguirsi degli avvenimenti: sappiamo soltanto che alla fine del gennaio 1360 il B. si trovava nella prigione del convento agostiniano di Vercelli.
Con la lettera da Avignone del 31 gennaio, infatti, Matteo d'Ascoli dava precise istruzioni al priore di detto convento, Giovanni da Bobbio, circa la custodia del frate. L'Azario racconta che Galeazzo Visconti, con un falso pretesto e con finta cortesia, lo aveva chiamato a Milano e lì lo aveva imprigionato e inviato poi a Vercelli. In realtà, responsabili della prigionia del B. furono sia il priore generale sia il Visconti: lo indicano apertamente le bolle del gennaio e del marzo 1373 con cui Gregorio XI scomunicò Galeazzo Visconti (Maiocchi-Casacca, I, pp. 123s.) e la più tarda bolla dello stesso pontefice del 26 maggio 1374.
Il B. pagò la sua coraggiosa difesa di Pavia con quattordici anni di carcere a Vercelli; una prigionia crudele, da quel che si può dedurre dal testo delle bolle papali e dalle espressioni dei cronisti contemporanei. Di tutto questo periodo non ci è stato tramandato alcun particolare e sappiamo soltanto che egli venne liberato dopo il 17 ott. 1373, quando le forze del conte di Savoia, in lega con quelle del siniscalco regio N. Spinelli e del legato pontificio, il vescovo di Arezzo, si impadronirono di Vercelli, sottraendola al dominio visconteo. Dopo la liberazione il B. non si recò subito dal fratello Bartolomeo, vescovo di Ischia, come si è ritenuto per molto tempo e come è stato scritto anche di recente (G. Vanzini), ma andò ad Avignone, ove chiarì a Gregorio XI, mediante uno scritto apologetico, la propria condotta nel triennio 1356-59. E il pontefice dichiarò ingiusta con bolla del 26 maggio 1374 la condanna e la prigione inflitta al B. da Matteo dAscoli (Maiocchi-Casacca, IV, p. XXXIII).
Della presenza del B. ad Avignone per quasi due anni abbiamo altre testimonianze nei regesti papali. Con una bolla del 9 dic. 1374Gregorio XI comandava al fratello del B., Bartolomeo, di provvedere alle spese del B. stesso, il quale "in Curia Romana de nostro beneplacito moram trahit" (Arch. Vat., Reg. Vat. 270, f. 185r). Che il frate godesse della fiducia del pontefice e che svolgesse una certa attività politica alla corte avignonese lodice l'agente di Ludovico Gonzaga, il quale in data 11 febbr. 1375da Avignone inviava al suo signore notizie riguardanti il conflitto papale-visconteo, che aveva appreso "a Fratre Iacobo Bussulario, de quo papa multum confidit". Un altro dispaccio diceva che Galeazzo aveva scritto al B. una lettera contenente cose "quae nullus potuit adhuc scire praeter papam" (Azario, p. 127n. 1).
Verso la fine dell'estate del 1375 il B. era in partenza per l'Italia con una missione segreta del pontefice a diversi personaggi della penisola. In data 6 settembre Gregorio XI metteva nelle sue mani tre bolle dirette rispettivamente all'arcivescovo di Genova Andrea, al doge genovese Domenico Campofregoso ed all'abate di S. Siro, Lanfranco. Il tenore delle bolle non rivela il contenuto dell'ambasceria, limitandosi ad accennare a "quaedam tangentia Romanam Ecclesiam et prosperitatem ac securitatem status civitatis Ianuensis" (Arch. Segr. Vat., Reg. Vat. 271, ff. 54v-55r). Il B. dovette essere latore di messaggi papali anche per altri uomini politici: una bolla di Gregorio XI del 28 ottobre 1375 a Ottone di Brunswick, reggente nel Monferrato e protettore del giovane Secondotto, figlio di Giovanni II Paleologo affidato anche alla alta protezione del pontefice, parla di messaggi precedenti a lui affidati (ibid., f. 199v).
Compiute queste missioni, in data non precisabile, il B. si recò dal fratello Bartolomeo a Ischia, dove condusse vita ritirata fino alla morte.
Secondo alcuni autori avrebbe scritto allora il Liber excusatorius (o excusationis) de gestis per eum de tota vita sua, l'opera ricordata nell'iscrizione del suo sepolcro che altri autori dicono compiuta ad Avignone. Il Liber non è giunto a noi: secondo il Romano (Nuovidocumenti) "dovette essere una vera e propria autobiografia" del B., il quale avrebbe preso lo spunto dall'autodifesa presentata a Gregorio XI ad Avignone, per comprendervi, poi, anche avvenimenti diversi da quelli occorsigli a Pavia.
Il B. morì a Ischia nel 1380, poco prima del 16 agosto, data in cui il suo corpo fu trasferito nella chiesa di S. Domenico d'Ischia.
Fonti e Bibl.: Petri Azarii Liber gestorum in Lombardia, in Rerum Italic. Script., 2 ediz., XVI, 4, a cura di F. Cognasso, pp. 118-127; M. Villani, Istorie, Firenze 1825, 111, pp. 152-154; IV, pp. 7-13, 78, 239-241; B. Sangiorgio, Cronaca, Torino 1708, p. 180; R. Maiocchi-N. Casacca, Codex diplomaticus Ordinis eremitarum sancti Augustini Papiae, I, Pavia 1905, pp. 97 s.,110-118, 123 s., 126, 130; IV, ibid. 1913, pp. XXXIII, 289; G. Mollat, Lettres secrètes et curiales du pape Grégoire XI (1370-1378), interessant les pays autres que la France, II, Paris 1962, pp. 86, 146, 165; G. Romano, Delle relazioni tra Pavia e Milano nella formazione della Signoria Viscontea..., in Archivio storico lombardo, s. 2, IX (1892), pp. 549-589; Id., Eremitani e canonici regolari in Pavia nel sec. XIV e loro attinenze con la storia cittadina, in Boll.d. Soc. pav. di storia, s. 3, IV (1895), pp. 5-42; Id., Dove morìilfrate G. B.?,ibid., n.s., V (1905), pp. 385-392; Id., Nuovi documenti intorno al frate G. B., ibid., n.s., XVII (1917), pp. 73-80; V. Rossi, Il Petrarca a Pavia,ibid., n.s., IV (1904), pp. 369-374; D. Migliazza, Matteo Villani nel racconto delle gesta di I. B., Pavia 1907; A. Segre, I dispacci di Cristoforo di Piacenza, in Arch. stor. ital., XLIII (1909), p. 69; C. Milani, Due documenti inediti sul frate I. B., in Boll. della Soc. pav. di storia patria, n.s., I (1936), pp. 73-80; G. Vanzini, I. B., pavese,e frate eremitano di S. Agostino, Firenze 1942; F. Cognasso, L'unificazione della Lombardia sotto Milano, in Storia di Milano, V, Milano 1955, pp. 383 s., 392, 402 s.; A. Viscardi, La cultura milanese nel sec. XIV,ibid., p. 595; U. Mariani, Il Petrarca e gli agostiniani, Roma 1959, pp. 40-50; R. Arbesmann, Andrea Biglia Augustinian Friar and Humanist († 1435), in Analecta augustiniana, XXVIII (1965), pp. 215 s.