CAETANI, Giacomo (Iacobello, Bello)
Nacque intorno al 1320 da Roffredo (III) conte di Fondi e da Caterina della Ratta; suoi fratelli furono Giovanni - anche lui figlio di Caterina -, Nicola, Francesca, Cristoforo e Roffredo (IV), nati dalle precedenti nozze di Roffredo con Giovanna dell'Aquila. Le prime notizie pervenuteci sono del 1336: tra il 24 e il 30 novembre di quell'anno egli con Nicola e Giovanni, e insieme con le comunità di Sermoneta e Bassiano loro soggette e Terracina, approvavano i capitoli di pace presentati loro da Sezze, arresasi alle pretese dei Caetani, dopo che nell'agosto Nicola e Giovanni ne avevano invaso il territorio, facendo prigionieri circa centocinquanta uomini, per ottenere il possesso di Campolazzaro e di certe paludi, oggetto di una controversia che da tempo si andava dibattendo presso la curia del rettore della Campagna e Marittima.
Il 2 dic. 1336 si procedette alla divisione dell'eredità del conte di Fondi tra i suoi figli: il C. ricevette Filettino - del ramo dei Caetani, detti poi di Filettino, costituì il capostipite - Vallepietra, Torre di Trivigliano e alcuni beni in Anagni, dove risiedette normalmente, tanto da essere, frequentemente ricordato con l'appellativo di "domicellus Anagninus".
Il 12 ag. 1337 il C. e Nicola ricorrevano in appello contro la sentenza del rettore della Campagna e Marittima Ruggero de Vintron che li condannava alla restituzione alla Camera apostolica dei proventi derivati loro dall'eredità dello zio Francesco, tesoriere di York. Erano accusati, infatti, di non aver rispettato quanto dal parente disposto con testamento del 24 giugno 1326, vale a dire che gli eredi restituissero alla Camera apostolica, entro un anno dalla sua morte, certi benefici che egli dichiarava di aver percepito indebitamente, pena - se il termine non fosse stato rispettato la devoluzione, sempre alla Camera dei proventi di Sermoneta e Bassiano per un ventennio. La sentenza di Ruggero condannava il C. e Nicola al risarcimento di dodicimila fiorini d'oro o alla cessione dei due castelli protempore, fino ad esaurimento del debito. L'appello dei due fratelli fu però accolto, sia perché il processo non si era svolto regolarmente e quindi la sentenza di Ruggero non era valida, sia perché le disposizioni testamentarie di Francesco, redatte in stato di scomunica, risultavano comunque annullate da successivi codicilli: il 17 ag. 1338, perciò, il giudice Pietro di Guido, canonico anagnino, li assolveva da ogni condanna.
Intanto, stipulata insieme con i fratelli, il 3 ott. 1337, a Velletri, la pace con i Savelli, il C. - "dominus Sermineti et Bassiani" accanto a Nicola, in un documento del 14 marzo 1338 - partecipava ai contrasti della sua famiglia con quella dei Caetani palatini, dei signori di Ceccano e di Supino. Presente nel febbraio 1339 all'uccisione di Francesco da Ceccano e Rinaldo di Morolo, perpetrata a tradimento in Anagni dal fratello Giovanni, il 31 ottobre dello stesso anno egli riceveva da Benedetto XII il divieto di entrare in Anagni.
In questi anni il C. dové svolgere anche funzioni di amministratore locale in Città Sant'Angelo (presso Pescara), al servizio della regina Giovanna I, ma da tale ufficio venne allontanato il 18 sett. 1344 dal card. Aimery, vicario generale della Chiesa nel Regno, che andava ristrutturando l'amministrazione di Terra di Lavoro.
Nel 1346 il C. sposò, con una dote di 1450 fiorini d'oro, Maria di Tommaso da Ceccano, dalla quale ebbe quattro figli: Antonio, Nicola, Tuzio e Agnese.
In questo periodo il C. e il fratello Giovanni andarono compiendo numerose spedizioni e rapine nella Marsica e altrove, più grave fra tutte contro Rinaldo Orsini, che fecero prigioniero a Fondi e tennero a lungo segregato in un pozzo, liberandolo soltanto dietro ingente riscatto, nonostante i ripetuti interventi e le minacce di Clemente VI, del 27 gennaio, 8 febbraio e 1º luglio 1349. Alla morte di Nicola loro fratello (1348 circa), il C. e Giovanni, benché non figli di Giovanna dell'Aquila, avanzarono pretese su Fondi e Itri e per questo vennero a contrasto con gli eredi di Nicola, Onorato e Giacomo.
Una composizione fu possibile soltanto dopo che i due nipoti, costretta Anagni a piegarsi alla loro signoria, ebbero raggiunto una posizione di forza. I primi accordi cominciarono il 2 ott. 1358 e da quella data decorse il trattato stipulato tra i procuratori delle due parti in Anagni il 17 genn. 1360: si stabilì in quella occasione che il 15 agosto successivo il C. e Giovanni avrebbero definitivamente rinunciato alle pretese su Fondi e Itri ed Onorato avrebbe acquistato da Giovanni il castello di Falvaterra.
Nel frattempo, il 9 apr. 1359, i due fratelli conclusero la pace con Giovanni palatino, grazie anche all'intervento di Bongiovanni vescovo di Fermo, ma gli impegni presi con i nipoti non ebbero seguito. Qualcosa avvenne - e fu forse la spedizione compiuta dal C. e da Giovanni contro Ferentino nei primi mesi del 1360 - che scatenò la vendetta della nuova milizia instaurata in Roma a difesa del.regime popolare. I banderesi, infatti, prima del 15 ag. 1360, invasero le terre dei due fratelli e impiccarono il C., costringendo i suoi figli alla fuga. Le case in Anagni furono distrutte e le terre del C. e di Giovanni confiscate dalla Camera apostolica.
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