CALCO, Giacomo
Nato a Lodi, "familia non incelebri oriundus", nella seconda metà del sec. XV ed entrato giovanissimo tra i carmelitani, "qui illum erudiebant", concluse i suoi studi religiosi a Pavia conseguendo l'aggregazione al collegio teologico. Più tardi, secondo alcuni biografi, fu nominato professore nell'"academia Ticinensis" (ma nelle Memorie e documenti per la storia dell'università di Pavia, I, Pavia 1878, non si fa menzione del suo nome); secondo altri, "cum ille post longa studia praeceptores ferme omnes ingenio et doctrina superaret", fu chiamato a Roma da Bernardino da Siena (tredicesimo maestro generale dell'Ordine) e fu nominato "praeses" a S. Martino ai Monti "ut et illic probatae cruditionis nervos extenderet". Mandato a Parigi, "scholasticos gradus assecuturus", e ottenuto alla Sorbona il "magisterium theologicum", prese parte alle discussioni che si erano accese a proposito della causa di divorzio tra Enrico VIII e Caterina d'Aragona. Inaspettatamente, "cum Parisiensibus magistris in arenam descendens", si schierò tra i partigiani del sovrano inglese che, in quel momento, erano favoriti da Francesco I (1530). Il risultato di questa scelta (che collocava il carmelitano lombardo tra quei gruppi di intellettuali di varie università europee che avevano aderito alle proposte di Thomas Cromwell e Thomas Cranmer di elaborare corrette motivazioni dottrinali del disegno di Enrico VIII) restò affidato al libro De divortio Henrici VIII regis Angliae, in cui si cercava di dare una risposta "ortodossa" al seguente quesito di diritto canonico: "An potest superstes frater fratris relictam absque liberis uxorem ducere". Il manoscritto dell'opera, che non venne mai pubblicata, così come tanti altri pamphlets coevi di argomento analogo, si trovava nel Settecento in una biblioteca irlandese, secondo la testimonianza di B. De Montfaucon, Bibliotheca bibliothecarum manuscriptarum nova, Parisiis 1739, I, p. 689. A causa di questo intervento le autorità religiose francesi - nella persona del generale dell'Ordine carmelitano Nicholas Audet - decisero di relegarlo "pro carcere" nel convento di Rouen, donde tuttavia riuscì ad uscire, per incamminarsi alla volta dell'Inghilterra, attraverso pesanti pressioni esercitate dal sovrano francese che nel 1530 era stato personalmente investito di una missione di mediazione e che era particolarmente interessato a sostenere il progetto inglese. Ricevuto da Enrico VIII con tutti gli onori che meritava come "autonomo" sostenitore della sua tesi durante il dibattito parigino, favorito da molti nobili del regno e appoggiato dall'ambasciatore veneziano (che sembra essere stato colui che lo introdusse presso il sovrano), il C. vedeva aprirsi un brillante avvenire di teologo sul suolo inglese. Ma la sua carriera fu improvvisamente interrotta dalla morte, a Londra, durante la peste, il 19 ag. 1533. Cioè appena qualche anno dopo il suo insediamento, probabilmente mentre andava preparando per le stampe i risultati dei suoi studi. Fu sepolto nella chiesa londinese dei carmelitani. Un anno prima della sua morte, e cioè nel 1532, il capitolo generale dell'Ordine carmelitano, riunito a Padova, aveva discusso il suo "grave" caso di abbandono della "religione". Venne presa la decisione di espellerlo e di condannarlo al carcere perpetuo nel caso in cui fosse stato preso.
Il problema degli scritti del C. è assai complesso. Non risulta infatti che egli abbia mai pubblicato nulla durante la sua vita, né in Italia né in Francia né in Inghilterra, nonostante la notorietà di cui godeva. E tuttavia la tradizione erudita gli assegna molte opere che alcuni bibliografi videro manoscritte e sparse in varie raccolte europee. Di argomento cristologico si occupò scrivendo il De genealogia Christi e il De Filio hominis.Altre opere di cui si ha notizia sono: De spiritus impunitate e De incerto purgatorio loco;una raccolta di Orationes elegantes e di Lecturae theologiae.L'ultimo suo lavoro dovrebbe essere il De primatu Romani pontificis (di cui si conserva l'incipit: "Rationi plane consentaneum est") che potrebbe segnare, dopo il De divortio, il perfetto allineamento con le tesi "anglicane" elaborate nel corso del 1532-1533 (le leggi cromwelliane Submission of the clergy e Act in restraint of appeals to Rome).Non per nulla si rammenta che "ex primis hic erat qui a Romani pontificis tyrannide defectionem regi ipsi persuaserunt". Ancora più complesso di quello degli scritti è il problema della collocazione dottrinale del Calco. La mancata pubblicazione delle opere e divulgazione di sommari dei loro contenuti non ci permettono infatti di affermare se egli si sia fermato alla fase scismatica anglicana (in cui si colloca cronologicamente la sua ultima esistenza) o se si sia inoltrato nella critica protestante alla Chiesa romana, magari da posizioni criptoluterane data la difficoltà di farla passare in quel periodo, come si potrebbe presupporre dal titolo del suo libro sul purgatorio (De incerto loco)anticipatore di una tendenza che prevarrà in Inghilterra solo dopo il 1536. Stando alla (parziale) documentazione raccolta dal capitolo generale carmelitano che lo espulse, non sembra che il C. sostenesse una vera e propria posizione "ereticale". Si può dunque ipotizzare che le sue dottrine abbiano ufficialmente rispecchiato la particolare evoluzione della Chiesa d'Inghilterra prima della scomunica di Enrico VIII (11 luglio 1533) avendo però in sé la tendenza criptoluterana ad anticipare le soluzioni protestanti dello scisma.
Fonti e Bibl.: J. Baleus, Script. illustr. maioris Brytanniae catalogus, II, Basileae 1559, p. 140; Acta capitulorum generalium Ordinis framon B. V. Mariae de Monte Carmelo, a cura di G. Wessels, I, Romae 1912, pp. 355-398;F.Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, Mediolani 1745, I, coll. 422 s.; II, col. 1977;C. De Villiers, Bibliotheca carmelitana, I, Aurelianis 1752, coll. 679-680;L.Einstein, The Italian Renaissance in England, New York 1903, p. 212; Dict. de théol. catholique, II, coll. 1331-1332; Encicl. catt., III, col. 329.