CAPOCCI, Giacomo
Discendente dalla nota famiglia romana dei Capocci dei Monti, il C. era figlio di Giovanni, senatore di Roma negli anni 1195-1196.
Il nome della sua consorte, Vinia, ci è pervenuto tramite l'iscrizione coeva scolpita nel ciborio dell'altare delle reliquie di S. Maria Maggiore, fatto costruire dagli anziani sposi nel 1256.Tra i loro figli emergono per importanza politico-ecclesiastica il futuro cardinale di S. Giorgio al Velabro, Pietro (morto nel 1259), il futuro podestà di Osimo, Arcione e un Giovanni, forse identico all'omonimo cappellano di Onorio III (Pressutti, nn. 5626, 5627, 5638, 6232).Queste affermazioni contrastano con quanto viene tramandato nelle genealogie della famiglia Capocci e nella bibliografia specifica più recente, che nel ricostituire l'albero genealogico dei Capocci saltano una generazione, attribuiscono al senatore Giovanni la paternità non solo di Giacomo, ma anche di Pietro, Arcione e Giovanni. Un'attenta lettura dei documenti a nostra disposizione mostra invece il contrario: Pietro, Arcione e Giovanni sono detti nelle fonti figli di "Iacobus Iohannis [Caputii], civis Romanus" (Pressutti, n. 4078;Matthaeus Paris, p. 250;Bartoloni, I, p. 176 n. 107;Berger, n. 5847, e Fanciulli, II, pp. 752 s.). Il senatore Giovanni, in un certo qualmodo capostipite della famiglia Capocci di Roma per averla imposta tra le più autorevoli casate dell'Urbe, fu dunque nonno paterno di Pietro, Arcione e Giovanni, e non loro padre. Così ristabilita, la genealogia dei Capocci della prima metà del sec. XIII appare più lineare, mentre l'iter biografico e politico del C. diventa più preciso.
Il C. si presenta sulla scena politica per la prima volta all'inizio degli anni venti del secolo XIII: Onorio III confermava il 20 dic. 1223 lo statutum che Giacomo di Giovanni Capocci aveva accordato alla collegiata di S. Paolo di Tivoli, "tempore quo Tiburtinae regimen obtinuit civitatis" (Pressutti, n. 4627). Purtroppo questa laconica e breve notizia non ci permette di fissare la cronologia e la natura del suo governo podestatario (?) a Tivoli. Nel 1237 la figura del C. si presenta allo storico in una veste più chiara: nell'ottobre di quell'anno egli fu inviato dai Romani a Viterbo, dove risiedeva Gregorio IX, perché lo invitasse a tornare a Roma, dato che la fazione imperiale condotta dal senatore Giovanni Cenci, che aveva fino allora impedito un pronto ritorno del pontefice richiesto dalla maggior parte della popolazione, era stata completamente debellata. La frase dell'anonima Vita Gregorii IX relativa a questo avvenimento è alquanto significativa per il preminente ruolo da lui esplicato (Liber Censuum, II, p. 28). Nel 1237 il C. è giunto quindi al culmine della sua notorietà politica e pubblica; la sua posizione tra le famiglie romane si è ancora rafforzata e consolidata: "...nobilem virum Iacobum Caputium et alios de potentioribus Urbis..." dice espressamente l'anonimo cronista.
L'ultima vicenda politica del C. viene attestata dal documento del 1254 relativo al figlio Arcione podestà di Osimo, nel quale il C. viene designato "Romanorum Proconsul" (Fanciulli, II, pp. 752 s.; si notino inoltre le frasi relative ai legami che univano Arcione al C. e le implicazioni giuridiche che ne derivavano. Sul significato da dare al titolo di proconsul da identificare cioè con consul, cfr. L. Halphen, Etudes sur l'adminisration de Rome au Moyen Age [751-1252], Paris 1907, p. 36 n. 5). Per il resto le notizie scarseggiano.
Sulla sua data di nascita possediamo un solo indizio: nel 1222 suo figlio Pietro è già canonico di S. Pietro in Vaticano (Pressutti, n. 4078). È dunque certo che il C. è nato negli ultimi decenni del secolo XII. In tal caso, l'altare delle reliquie di S. Maria Maggiore fu offerto dai coniugi Capocci in età assai avanzata: forse negli ultimi anni della loro vita. Notiamo a questo proposito che il cardinale Pietro morì solo tre anni dopo (1259). Secondo la tradizione familiare, fissatasi nella Historia de gente Capoccina di G. V. Capocci (morto nel 1623; Vat. lat. 7934), la moglie del C., Vinia, sarebbe stata un'Orsini e forse nipote del futuro Niccolò III (morì nel 1276). Manca qualsiasi base documentaria a questa affermazione, che appare del resto alquanto inverosimile per ovvie ragioni cronologiche.
Fonti e Bibl.: Per le lettere papali concernenti il C. cfr. Regesta Honorii Papae III, a cura di P. Pressutti, Romae 1888-1895, nn. 4078, 6427; Les registres d'Innocent IV, a cura di E. Berger, Paris 1884-1921, n. 5847; L. Fanciulli, Osserv. critiche sopra le antichità cristiane di Cingoli, II, Osimo 1769, pp. 752 s. (lettera registrata anche da G. Cecconi, Carte diplom. osimane, Ancona 1878, p. 6, dove però il cardinale viene detto fratello di "Giorgio", invece che di "Archio"). La lettera dei cardinali riuniti in conclave fu probabilmente scritta nel 1243. È stata tramandata dal cronista inglese Matthaeus Paris, Chronica Majora, a cura di H. R. Luard, IV, London 1877, p. 250(cfr. J. F. Böhmer, Regesta Imperii, a cura di J. Ficker-E. Winkelmann, V, Innsbruck 1881-1882, n. 7381). L'anonima Vita Gregorii IX, inserita nel Liber Censuum, èstata ripubblicata, dopo il Muratori, Rerum Italic. Script., III, 1, Mediolani 1723, p. 582, da P. Fabre-L. Duchesne, Le Liber Censuum de l'Eglise romaine, II, Paris 1952, p. 28. Per il doc. del 20 apr. 1244 cfr. F. Bartoloni, Codice diplom. del Senato romano, I, Roma 1948, p. 116 n. 107. Per il ciborio dell'altare delle reliquie di S. Maria Maggiore, smantellato all'epoca di Ferdinando Fuga (1699-1781) e trafugato in parte in Inghilterra nel 1768, dove è stato felicemente ritrovato, si vedano gli articoli di G. Biasiotti, La basilica di S. Maria Maggiore di Roma prima delle innovazioni del sec. XVI, in Mélanges d'arch. et d'histoire, XXXV (1915), p. 24, e Le basiliche romane di S. Maria Maggiore e S. Martino ai Monti nei disegni degli Uffizi di Firenze, in Dissert. della Pontificia Accademia romana di archeologia, s. 2, XIII (1918), pp. 250-261, e il recente esauriente tentativo di ricostr. di J. Gardner, The Capocci Tabernacle in S. Maria Maggiore, in Papers of the British School at Rome, XXXVIII(1970), pp. 220-230 etavv. XXXIV-XXXIX. Sul lato del ciborio che dava sulla navata centrale era posto un mosaico nel quale erano raffigurati i donatori genuflessi. Il mosaico fu ritrovato dal Biasiotti (Le basiliche romane, pp. 257-260) nella chiesa di S. Michele Arcangelo di Vico nel Lazio, dove viene tuttora utilizzato come paliotto di un altare (riprod. in Biasiotti, tav. XLVI, fig. 3). Sull'iscrizione che ornava il ciborio cfr. Biasiotti, Le basiliche romane, p. 257. L'antica bibliografia èin gran parte citata da F. Reh, Kardinal Peter Capocci, Berlin 1933, pp. 10-12.