CARACCIOLO, Giacomo
Nacque a Martina Franca (Taranto) il 6 sett. 1675, figlio cadetto di Petraccone (V), duca di Martina, e di Aurelia Maria Imperiali, che si divisero l'anno dopo la sua nascita. Intorno al 1688 il giovane si recò a Roma presso lo zio paterno Innico, in seguito vescovo di Aversa, che lo guidò negli studi: il 30 sett. 1698 si laureò alla Sapienza in utroque iure. Introdotto dallo zio negli ambienti della corte pontificia fu subito ben accolto, sia per la sua competenza giuridica sia per i suoi nobili natali. Divenne consultore della Congregazione dell'Indice; in seguito ebbe la carica di referendario delle due Segnature (8 luglio 1699) e ponente della Congregazione del Buon Governo. Dall'8 maggio 1703 al giugno 1706 fu a Bologna in qualità di vicelegato con una speciale "licentia immiscendi se criminalibus"; durante tale missione il C. visse assai dispendiosamente tanto che dovette ricorrere a un generoso prestito dell'ava Margherita Colonna; svolse il suo incarico con zelo cosicché venne nominato inquisitore a Malta il 30 giugno 1706.
Giunto nell'isola il 28 agosto, egli si rese subito conto della politica svolta dai cavalieri di Malta, che mentre palesavano una chiara simpatia nei riguardi del vicino viceregno spagnolo di Sicilia cercavano di rendersi autonomi da ogni ingerenza della S. Sede, non permettendo alcun controllo da parte dell'inquisitore sugli affari politici dell'isola. Anche formalmente il C. si vide negati quegli onori che, secondo il cerimoniale, si tributavano al ministro apostolico nelle pubbliche funzioni. Cominciò ben presto una sorta di braccio di ferro fra l'inquisitore, intransigente nell'esercizio delle sue prerogative, e le gelose autorità locali. Nel marzo del 1709 la situazione, già compromessa, precipitò: il C. chiese al gran maestro di poter controllare tutta la contabilità originale delle dogane e in particolare della gabella detta "cottonera" (imposta introdotta nel 1645, per soli tre anni, allo scopo di consentire la fortificazione dell'isola, e che continuava ad essere riscossa tuttora dal gran maestro senza alcun controllo). Vinte le forti resistenze dell'Ordine, infine poté consultare gli originali rilevando forti ammanchi e irregolarità rispetto alle copie che annualmente gli venivano consegnate. Le autorità di Malta reagirono inoltrando una protesta a Roma e chiedendo la sostituzione dell'inquisitore, accusato di aver oltrepassato ogni limite nell'esercizio delle sue funzioni. Richiesto di una giustificazione, il C. qualificò le accuse dell'Ordine "pretesti inconsistenti", "equivoci per allucinare" e coprire le loro malefatte: "qui si vorrebbe che a ministro di nostro Signore potesse convenire d'arrendersi con le rappresentanze di vani timori" (Arch. Segr. Vat., Malta, f 137r).
Divenuta ormai difficile la permanenza a Malta del C., il pontefice lo richiamò nel marzo del 1710, ma a conferma dell'alto apprezzamento per la sua fedeltà lo designò nunzio a Lucerna. A tale scopo egli era stato ordinato sacerdote il 23 febbr. 1710 e, rientrato a Roma, fu consacrato il 7 apr. 1710 arcivescovo di Efeso: il 20 aprile ebbe la dignità di assistente al soglio pontificio e infine il 2 maggio gli fu affidata ufficialmente la nunziatura di Svizzera. Giunto a Lucerna il 5 giugno 1710, il C. si dovette muovere fra problemi assai ardui che richiedevano fermezza e cautela.
Il contatto quotidiano con i protestanti rendeva i cattolici svizzeri assai vulnerabili sia sotto il profilo della purezza della fede sia dell'obbedienza ai vescovi e alla S. Sede. Il C. ben presto si rese conto che lo stesso clero era ostile nei confronti della nunziatura, cosicché egli era impotente a esercitare la sua giurisdizione e a riscuotere le decime che incessantemente Roma richiedeva. Inoltre in quegli anni sempre più numerosi erano i protestanti dei Grigioni che si sistemavano in Valtellina contravvenendo ai capitolati rinnovati ancora nel 1707. L'azione del C., oltre che a sostenere l'abate di San Gallo contro gli abitanti di Toggenburg, i quali sobillati da Berna e Zurigo rivendicavano il possesso dei beni dell'abbazia, fu volta con decisione a indurre, anche con copiosi sussidi, i Cantoni cattolici a riprender le armi e denunziare la pace di Aarau (del maggio 1712), ritenuta altamente lesiva degli interessi materiali e spirituali della Chiesa cattolica. Così sotto i suoi auspici si formò un esercito di 13.000 uomini, ma tale sobillazione gli alienò del tutto le simpatie delle autorità dei Cantoni cattolici che lo accusarono di essere un sollevatore di popoli e, a conclusione di un consiglio segreto tenuto a Lucerna (12 ag. 1712), chiesero il suo allontanamento. Tale richiesta fu però ignorata da Roma, poiché in realtà il C. nello svolgimento di tale politica seguiva fedelmente delle precise direttive di Roma, che, mentre agiva per via ufficiale inviando il Passionei al congresso di Baden (settembre 1714) a negoziare con i protestanti, contemporaneamente favoriva di nascosto un'azione armata.
Il C. pertanto rimase in quella ostile residenza "non meno disgustosa che se fosse nel Giappone" (Arch. Segr. Vat., Svizzera 107, f 626), fino al novembre 1716. Tornato finalmente a Roma, fu eletto uditore generale della Camera apostolica (5 apr. 1717). Morì improvvisamente, e in circostanze non del tutto chiare, a Martina Franca il 17 genn. 1718.
Fonti e Bibl.: Arc. Segr. Vat., Proc. Dat. 120, ff. 81r-83r; Ibid., Malta 58-61; Ibid., Svizzera 104-11; 249, ff. 116-144 ("Istruzioni per mons. Caracciolo destinato nunzio agli Svizzeri"); L. von Pastor, Storia dei papi, XV, Roma 1933, p. 81; F. Fabris, La geneal. della famiglia Caracciolo, a cura di A. Caracciolo, Napoli 1966, tav. XXV; G. Moroni, Dizionario di erudizione stor. ecclesiastica, LXXI, pp. 108 s.; R. Ritzler- P. Sefrin, Hierarchia catholica..., V, Patavii 1952, p. 196.