CARNARIO (Carnarius, Carnari), Giacomo
Figlio di Pietro e di Rufina, nacque a Trino Vercellese forse intorno al 1180. Qualche incertezza esiste anche relativamente al casato del C., in quanto la lapide apposta al suo sepolcro nel monastero di Lucedio è stata intestata a G. Vialardi Carnario. Questo ha fatto pensare a qualche storico che il C. fosse in realtà un Vialardi, poi indicato come Carnario per una parentela con quest'ultima famiglia. Tuttavia nel suo testamento del 1234 il C. si presenta chiaramente e semplicemente come figlio di Pietro de Carnario, il che dovrebbe togliere ogni dubbio al riguardo.
Secondo gli storici locali fin dalla giovinezza il C. sarebbe stato auditore del card. Leone Brancaleoni, che avrebbe accompagnato nelle sue legazioni in Germania, Ungheria e Bulgaria, passando poi con lo stesso incarico al servizio del concittadino card. Guala Bicchieri. Dato che nel 1204 il card. Brancaleoni fu legato alatere in Ungheria, Serbia e Bulgaria, mentre nel 1207 e poi nel 1209 fu legato in Germania, a questi anni dovrebbero riferirsi i primi impegni all'estero del C.: va per altro sottolineato il fatto che di questi viaggi non troviamo nelle fonti a noi note alcuna conferma, se si esclude la prova indiretta costituita dall'accenno al card. Brancaleoni contenuto nel testamento steso dal C. nel 1234 (Irico, pp. 84 ss.).
Durante gli anni in cui fu al servizio del Brancaleoni, il C. avrebbe anche conosciuto, probabilmente a Roma, in occasione dell'approvazione della regola nel giugno 1210, s. Francesco, che avrebbe poi ospitato a Vercelli al momento del suo passaggio per la città nel 1213; la tradizione locale accenna anche ad una analoga ospitalità concessa a s. Domenico nel 1220.
Non sappiamo in quale anno sia passato al servizio del card. Bicchieri, né quando e dove abbia conseguito il titolo dottorale; è invece accertata la notizia che egli accompagnò il card. Bicchieri nella sua importante missione in Inghilterra, dove il prelato risiedette dal 1216 al 1218, nei tempi turbinosi della lotta tra Luigi VIII di Francia e le forze fedeli ad Enrico III. Possiamo infatti collegare questi suoi viaggi con i benefici a lui conferiti in Inghilterra, di cui godette per il resto della sua vita, benefici ai quali fa cenno nel testamento del 19 nov. 1234. Questo documento, che è stato steso dal C. quando era ancora diacono e preposito della chiesa di Vercelli, è del massimo interesse per la biografia del C. stesso soprattutto ove si tenga presente la consuetudine, caratteristica dell'epoca, di istituire lasciti nei luoghi in cui si era soggiornato per qualche tempo.
Dopo aver stabilito messe di suffragio da celebrarsi negli anniversari suoi e dei cardinali Guala Bicchieri e Leone Brancalconi, che aveva accompagnato nelle loro legazioni, e dopo aver lasciato tutti i suoi beni all'ospedale S. Andrea di Vercelli, il C., nel suo testamento, legava al capitolo della chiesa di S. Croce di Liegi "quidquid mihi debetur de scholastica ipsius Ecclesiae pro meo anniversario"; per la fabbrica nuova della cattedrale di Salisbury, di cui era canonico, lasciava "firmam unius anni praebendae meae de Prestorio" ed una marca di sterline a Pietro, suo vicario in quella chiesa. Istituiva inoltre legati in favore della chiesa di S. Pietro de Oximana in diocesi di Lincoln, lasciava due marche di sterline alla chiesa di S. Croce de Alliverlis ed una alla cappella di Salgariot per l'acquisto di libri e ornamenti. Cinque marche di moneta liegese lasciava alla chiesa di S. Pietro di Liegi e 10 libre di soldi pavesi alla chiesa di S. Pietro di Romanisio in diocesi di Torino, della quale pure era canonico.
Il C., il quale era anche possessore di una biblioteca di notevole importanza, disponeva che i suoi libri di arti e di fisica fossero donati agli studenti poveri di Vercelli, quelli di teologia ai domenicani. Istituiva infine legati anche a favore degli studenti di teologia presso lo studium vercellese, in favore dei francescani presso la chiesa di S. Matteo e della chiesa di Betlemme di Vercelli.
Nel maggio del 1227 il C. era presente alla stesura del testamento del card. Bicchieri, che lo nominò suo esecutore testamentario insieme con Stefano di Fossanova cardinale dei SS. Apostoli e l'abate di S. Andrea: il maestro Giacomo risulta in tale occasione suddiacono apostolico.
Dopo la morte del Bicchieri (30 maggio 1227), il C. fece ritorno a Vercelli soprattutto per dare esecuzione alle volontà del suo protettore; e da allora la sua vita fu strettamente legata a quella della città.
Canonico di S. Maria Maggiore di Vercelli, dal 1228 risulta prevosto di S. Eusebio, finché nel 1236 venne elevato alla cattedra episcopale della città. In un atto del 6 marzo di quell'anno risulta infatti vescovo eletto. è difficile pensare ad una nomina nell'anno precedente, come vorrebbero alcuni storici, dato che il suo predecessore, Ugo da Sesso, morì nel novembre 12-35. Il 10 sett. 1236 Ardicio di Crevacuore gli prestava giuramento di fedeltà ancora come a vescovo eletto.
I contrasti tra il nuovo presule e il Comune furono subito aspri, sia per la politica decisamente filoimperiale seguita da Vercelli, sia per i tentativi del potere politico locale di esautorare la giurisdizione comitale del vescovo. Già nel 1235 Gregorio IX aveva confermato una scomunica lanciata da Ugo da Sesso contro il podestà di Vercelli; all'inizio del 1237 ci fu contro i Vercellesi una nuova scomunica con interdetto comminata dall'arcivescovo di Milano. Alcuni autori locali affermano che, data questa situazione, il C. non dovette in pratica risiedere mai nella sua città, preferendo la più sicura e fedele Santhià. Verso la fine del 1237 Vercelli giurava fedeltà all'imperatore: quasi certamente il C. non era in città l'11 febbr. 1238, allorché Federico II vi fece il suo ingresso, mentre con una certa sorpresa lo troviamo presente come teste ad un diploma dell'imperatore datato da Torino nell'aprile di quello stesso anno. A meno di non spiegare tale presenza con la momentanea assoluzione dei Vercellesi da parte del papa, naturalmente con l'impegno di reintegrare il vescovo nei suoi diritti, del resto più volte riconosciuti dallo stesso Federico. Pare comunque che sia da riconoscere nel C. l'anonimo vescovo di Vercelli che in questi anni si unì ai vescovi di Würzburg, di Worms e di Parma nel rivolgere una protesta al papa contro le continue usurpazioni compiute dall'imperatore. Certamente dopo la scomunica di Federico, nella Pasqua del 1239, il C. dovette considerare la città anch'essa scomunicata in quanto fautrice dell'imperatore; e da allora forse data la sua rottura completa con il potere politico locale ed il definitivo trasferimento a Santhià.
Per quanto riguarda l'attività pastorale del C. dobbiamo ricordare che appoggiò e beneficò i francescani, le umiliate ed i domenicani (in particolare questi ultimi, data l'amicizia che lo legò a Giordano di Sassonia, successore di s. Domenico come maestro generale dell'Ordine). Non può essere invece accettata la notizia che egli abbia introdotto in città gli eremitani di S. Agostino, dato che questa congregazione ebbe inizio solo nel 1256: si può pensare si trattasse di qualche altro gruppo di eremiti.
A Santhià, dove cadde ammalato il 13 febbr. 1241, come risulta da un codicillo al testamento, il C. morì il giorno 15 (erroneamente diversi autori parlano del 14). Le sue spoglie furono inumate nella chiesa di S. Maria di Lucedio, davanti all'altare di S. Maria Maddalena.
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