CAVALCABÒ (de Cavalcabobus), Giacomo
Nacque dopo il 1275, secondogenito di Cavalcabò, marchese di Viadana, e fratello di Guglielmo. La prima notizia sicura su di lui risale al 18 febbr. 1312, quando entrò a Piacenza insieme con Giberto da Correggio e Simone Della Torre per trattare la resa della città, al partito guelfo e per porre fine alle lotte delle fazioni.
Dopo la morte a Soncino del fratello Guglielmo (16 marzo 1312) tentò di impadronirsi del governo di Cremona, ma fu ostacolato dal maggior esponente del partito guelfa cittadino, Ponzino Ponzoni. La lotta personale tra i due (tra gli episodi che la caratterizzarono è da ricordare quello del 28 marzo 1312, quando il Ponzoni tentò di uccidere sulla piazza maggiore di Cremona il C. e il nipote Luigi, primogenito di Guglielmo) ebbe termine poco dopo, quando Giberto da Correggio, temendo l’occupazione di Cremona da parte dei Visconti, giunse in città con i suoi cavalieri e ne ricevette la signoria per cinque anni. Nella nuova situazione politica venutasi a creare a Cremona, comunque, il C. riuscì a trovare lo spazio necessario per accrescere la sua autorità sia nell’ambito del partito guelfo, sia anche nella direzione politica cittadina. Il 20 luglio del 1313 i Priori delle arti di Firenze, per esempio, si rivolsero a lui perché il Consiglio di credenza cremonese decidesse la fine delle rappresaglie disposte contro i Fiorentini che avevano assassinato il cremonese Ponzino Picenardi mentre ritornava da Firenze. Dopo la morte di Arrigo VII il C. riuscì a prevalere in modo definitivo nel partito guelfo su Ponzino Ponzoni e ad esautorare Giberto da Correggio nel governo della città.
Già il 2 ottobre 1313 il C. era in grado di dominare la politica di Cremona, poiché faceva approvare un’ampia amnistia a favore dei ghibellini, che in cambio dovevano cedere alla città la rocca di Robecco. Due anni dopo, il 2 ott. 1315, fu costretto a subire l’iniziativa delle congiunte forze ghibelline dei Bonacolsi di Mantova e degli Scaligeri di Verona che occuparono il ponte di Dosolo sul Po, Piadena, Sabbioneta e la stessa Viadana, rocca avita del C., strenuamente difesa da suo nipote Ottaviano Cavalcabò. Prima che la fortezza capitolasse, tutti i membri della famiglia ivi presenti, compresi la moglie ed i quattro figli del C., riuscirono a porsi in salvo riparando a Cremona. La situazione era indubbiamente drammatica, e Cremona pensò di ovviare ad essa chiedendo rinforzi a Bologna e proclamando signore della città il C., che dopo anni di esercizio indiretto del potere giungeva finalmente a esercitare la signoria senza alcun ostacolo.
Appena riconosciuto signore di Cremona, il C. iniziò a contrastare validamente gli Scaligeri, che occupavano Brescia, e nel gennaio 1316, attaccata la città, espulse tutti i ghibellini, liberandola dal dominio scaligero. La vittoria sulla famiglia Della Scala gli permise di rafforzare il proprio potere a Cremona, sbarazzandosi delle consorterie guelfe rivali, che nell’aprile 1316, dopo una sanguinosa opposizione, furono costrette a rifugiarsi a Soncino e a Pizzighettone. Ma il potere del C. a Cremona durò poco: i suoi oppositori si rivolsero a Giberto da Correggio, il quale rientrò a Cremona ove fu subito proclamato signore perpetuo della città. La crisi sembrava conclusa: ma gli Amati e i Ponzoni erano ormai entrati nell’area politica dei Visconti; durante l’agosto 1316, forse segretamente appoggiati dai ghibellini, i Ponzoni riuscirono finalmente a prevalere in Cremona e subito fu conclusa una pace con i fautori dei Visconti, da anni banditi dalla città.
Il C., ormai sconfitto politicamente, si ritirò nei suoi domini feudali di Viadana; il forzato esilio si protrasse sino al maggio del 1317, quando egli, ricevuti ingenti aiuti finanziari dal Comune di Firenze e rafforzatosi militarmente con contingenti guelfi venuti da Brescia, tentò nuovamente la conquista del potere. Il 26 maggio era sotto le mura di Cremona e, senza trovare alcuna resistenza, entrò in città, dove avvenne una sanguinosa lotta, al termine della quale cacciò i ghibellini e i Ponzoni fuori dalle mura. La sanguinosa lotta indusse il pontefice ad inviare da Avignone due legati che tentarono di ricomporre la pace tra le fazioni. Il C. accettò di riappacificarsi con il partito visconteo, ma i Ponzoni e il vescovo della città rifiutarono di venire a patti con lui, sicuri del sostegno dei Visconti e dei ghibellini lombardi. In effetti nel settembre 1317 Cangrande Della Scala, a capo di una lega ghibellina, pose l’assedio a Cremona.
Le ostilità durarono circa un mese, poi nell’ottobre Cangrande fu costretto dalle avverse condizioni climatiche a ritirarsi. La vittoria rimase pertanto al C.; ma la città e i suoi alleati si trovavano allo stremo delle loro forze militari ed economiche. Di tale critica situazione si avvalsero i ghibellini lombardi i quali nel dicembre 1317 si riunirono nella rocca di Soncino per riorganizzare la lotta contro il C. e, nella primavera successiva, mossero contro Cremona che in breve venne conquistata. Il Ponzoni entrava di nuovo in città e il C. era costretto a rifugiarsi a Viadana. Ma ancora una volta Bologna seppe risollevare le sorti del guelfismo cremonese: il C., ricevuti i rinforzi militari, si stanziò a Pieve Ottoville ove attese di unire le proprie forze con l’esercito guelfo di Lombardia capitanato da Giberto da Correggio.
La riscossa guelfa iniziò nell’autunno del 1319 con la conquista di Brescia; successivamente Giberto e il C. mossero su Cremona e la occuparono il 23 nov. 1319, cacciandone per l’ennesima volta i Ponzoni ed i ghibellini, molti dei quali erano stati inviati dai Bonacolsi di Mantova. Il C. venne nuovamente dichiarato signore della città: ma gli impegni militari non erano finiti poiché Galeazzo Visconti premeva con un esercito nel territorio cremonese per riconquistare Cremona. Il C. seppe più volte respingere gli attacchi dei Milanesi, finché Galeazzo fu costretto a ritirarsi.
Per tutto il 1320 il C. resse la città, resa ormai sicura anche dalla presenza delle truppe del cardinal Bertrando del Poggetto. Solo nel settembre 1321 i Visconti riuscirono a riprendere le ostilità contro Cremona: Galeazzo inviò da Piacenza una flotta sul Po sin sotto le mura della città, da cui sbarcarono 400 cavalieri, che tuttavia non riuscirono a piegare la resistenza del C., che nel novembre passò al contrattacco per sgominare i ghibellini. A Bardi, nel corso di una piccola scaramuccia, il C. venne ucciso il 29 novembre del 1321.
I suoi quattro figli, Cavalcabò, Marsilio, Guglielmo e Guberto, non seppero mantenere il potere del padre sulla città e pertanto nel gennaio 1322 Cremona si arrese a Galeazzo Visconti. I Cavalcabò superstiti si rinchiusero nel loro possesso feudale di Viadana.
Fonti e Bibl.: Chronicon Parmense, in Rerum Italic. Scriptores, 2 ed., IX, 9, a cura di G. Bonazzi, p. 125; A. Cavalcabò, Le ultime lotte del Comune di Cremona per l’autonomia, Cremona 1937, pp. 78-124; F. Cognasso, L’unificaz. della Lombardia sotto Milano, in Storia di Milano, V, Milano 1955, pp. 102, 157; A. Cavalcabò, I rettori di Cremona, in Boll. stor. cremonese, XXI (1958-1960), pp. 87 ss.