CAVEDONI (Cavedone), Giacomo
Figlio di Pellegrino, di Sassuolo, modesto decoratore garzone di Domenico Carnevale (Vedriani, p. 121), venne battezzato a Sassuolo il 14 apr. 1577. Appena quattordicenne fu inviato a studiare pittura a Bologna, a spese della Comunità di Sassuolo, alla quale il padre aveva rivolto una supplica, facendo presenti le attitudini del figlio, che prometteva "una buona riuscita" se avesse potuto studiare presso "qualche valentuomo" "per due o tre anni", e le proprie condizioni di povertà che non gli consentivano di "mantenerlo fuori di Sassuolo" (Bottari). L'11 ag. 1591i Reggenti gli concessero un sussidio di 1 scudo al mese per tre anni (Cionini, 1902).
Giunto a Bologna fornito probabilmente solo dei semplici rudimenti tecnici che aveva potuto dargli il padre, fu allievo secondo il Malvasia del Passarotti e del Baldi, frequentando contemporaneamente l'Accademia dei Carracci. Anche se non, è da prestare completamente fede allo storico bolognese, le sue indicazioni circa la frequentazione dell'Accademia degli Incamminati, come allievo prim a di Annibale, poi, dopo la partenza di questo per Roma (1595),di Ludovico, e gli studi "sui freschi del Tibaldi in casa Poggi ed in San Giacomo" (Malvasia) appaiono attendibili, poiché ampiamente testimoniate dalle opere.
Gli inizi del C. restano tuttavia piuttosto oscuri. Il primo saggio di attività potrebbe essere (Roli, 1956) il piccoloaffresco con Eolo che dischiude i venti nella saletta delle Storie d'Enea contigua a quella affrescata da Ludovico in pal. Fava (1598circa). In esso un'umanità seria e grave, di impronta ludovichiana, si accampa in un dinamico e complesso telaio tibaldesco.
Primo dipinto documentato è il S. Stefano in gloria (1600) giànella chiesa omonima di Sassuolo, ora nella Galleria Estense di Modena (Cionini, 1902),anch'esso di matrice ludovichiana. Fra i più attenti allievi e i più intelligenti interpreti del maestro il C. si rivela partecipando, fra il 1604 e il 1605, alla decorazione del celebre chiostro di S. Michele in Bosco con tre affreschi, ora quasi completamente perduti. Di questi anni è, molto probabilmente (Calvesi), la decorazione della cappella Orlandi in S. Benedetto (pala con S. Antonio battuto dai demoni e affreschi della volta); databile documentariamente al 1606-07 (Gualandi) è quella della volta della cappella dei Mercanti della seta in S. Maria dei Mendicanti (L'Eterno divide gli eletti dai reprobi) che dimostra l'adesione ai modi di Ludovico Carracci, interpretati secondo una rigorosa sintesi formale. Tipica del C. è la semplificazione delle forme, squadrate e schematizzate all'estremo ma riscattate dalla ricchezza dell'impasto cromatico. Gid il Tiraboschi (1786, p. 361)aveva fatto cenno a un suo viaggio a Venezia e non par dubbio che esso ci sia stato, anche se non è facile determinare quando. Nel 1610 fu sicuramente per breve tempo a Roma con Guido Reni, impegnato nella decorazione della cappella Paolina al Quirinale.
Questi viaggi ci forniscono valide indicazioni per intendere la cultura delle opere più mature del C., in cui esperienze neovenete, ideali classicistici e persino accenti di verità caravaggesca appaiono fusi e sottilmente filtrati in una visione originale, chenon fu probabilmente senza importanza per il Guercino e il Cantarini (Roli, 1956).
Nel decennio successivo si collocano le opere più felici del pittore. Databile fra il 1612e il '14 in base ad elementi documentari è la decorazione della cappella Arrighi in S. Paolo Maggiore a Bologna: se negli affreschi della volta le rigorose geometrie si sciolgono in ritmi più distesi per l'influenza reniana, nelle due tele laterali con l'Adorazione dei pastori e l'Adorazione dei magi (datata 1614) il luminismo di origine caravaggesca concorre a sottolineare le semplificate squadrature dei volumi, di una ricchezza cromatica alla veneta. Del 1614 è anche la grande pala con La Madonna e i ss. Alò e Petronio, oggi in Pinacoteca, dipinta su commissione della Compagnia dei fabbri per la chiesa di S. Maria dei Mendicanti, dove ancora si trovano i due laterali con i miracoli di s. Alò (S. Alò riattacca il piede al cavallo, S. Alò mozza il naso al diavolo).
Neoveneto, neotizianesco anzi, come è stato detto, il dipinto "ammirato e sterminatamente lodato" secondo la testimonianza del Malvasia (1678) è forse il massimo raggiungimento del C., che lo elaborò lungamente in una serie di disegni (conservati al Louvre, degli Uffizi, a Brera, al castello di Windsor e in alcune collezioni private).
Seguono probabilmente la decorazione della cappella Bavosi in S. Giacomo a Bologna, il Battesimo di Cristo in S. Pietro a Modena, gli affreschi dell'oratorio di S. Rocco a Bologna (Pazienza, S. Rocco e s. Gottardo), l'Ascensione ora nell'oratorio di S. Martino, Cristo che appare al beato Giovanni da San Facondo (1620)e il Beato Giovanni che resuscita un fanciullo in S. Giacomo Maggiore, il Miracolo della cena in S. Salvatore (1621),tutte a Bologna. È anche il tempo più sereno della vita del C., che nel 1613 si sposa, nel '14 compera una casa nella contrada Mirasol Grande, l'anno dopo chiede ed ottiene la cittadinanza bolognese, nel 1618 fa parte del Consiglio dell'arte dei pittori e alla morte di Ludovico Carracci (1619) è nominato caposindaco dell'Accademia degli Incamminati.
Una serie di dolorose vicende colpisce in seguito l'artista, che già in una lettera del 20 marzo 1622 si lamenta delle sue condizioni economiche, ricusandosi di aiutare un giovane pittore, raccomandatogli dalla Comunità di Sassuolo (Cionini, 1888). Una caduta dai ponti di S. Salvatore, dove stava dipingendo (1623) i Quattro dottoridella chiesa, la malattia della moglie "affatturatagli... da un'invida comare" (Malvasia, 1678), la morte dei figli nella terribile pestilenza del 1630, unite a un sempre più accentuato inaridimento della sua vena poetica, irretita dalle sue stesse ricerche formali, lo costringono a rinunciare innanzitempo all'arte.
Il C. morì a Bologna nel 1660.
Fra le altre opere del C. ricordiamo a Bologna, casa Donzelli: Profeta Geremia; casa Giovagnoni (oggi Monte del Matrimonio): Ercole sul rogo, Madonna col Bambino, S. Francesco; già coll.Dal Turco: Cattura di Cristo; chiesa di S. Giacomo, capp. Fabretti: Nascita del Battista, Battesimo di Cristo, Sepoltura del Battista; chiesa di S. Maria Labarum Coeli: S. Stefano; chiesa di S. Paolo in Monte (Osservanza): S. Francesco orante; chiesa di S. Salvatore: Salvatore (1614), Profeta Davide, Gli infedeli disputano sopra il Crocifisso di Soria (1622); Galleria Davia Bargellini: Negazione di Pietro, Maddalena, Apostolo; Oratorio di S. Maria della Vita: Ilbeato Riniero sana gli appestati; Pinacoteca: Martirio di s. Pietro. Siricordano inoltre, a Caravaggio, queste opere: santuario: Deposizione; a Imola, chiesa di S. Agata: S. Francesco Saverio predicante; a Lione, Museo: Battesimo di Cristo; a Madrid, Prado: Adorazione dei pastori; a Medicina (Bologna), chiesa di S. Mamante: Transito di s. Giuseppe; a Modena, Galleria Estense: Maddalena, Re David; a Ponce (Portorico), Museo de arte: Martirio di s. Bartolomeo; a Selva Malvezzi (Bologna), chiesa parrocchiale: S. Elena e l'invenzione della croce.
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