CESTARO, Giacomo (Iacopo)
Nacque nel 1718 a Bagnoli Irpino (Avellino; cfr. De Rogatis, Sanduzzi); nel 1743 era ancora un pittore sconosciuto se De Dominici non lo cita nelle sue Vite dei pittori... napoletani (Napoli 1742-43). Del 1772 e 1777 sono due suppliche, rimaste senza seguito, del C., allora maestro all'Accademia del disegno, rivolte al sovrano per ottenere la direzione della stessa accademia; il suo nome fu segnalato dallo stesso Vanvitelli, nel 1772, insieme con quelli di altri. Probabilmente l'artista morì fra il 1785 e il 1789 (Spinosa, 1970). Nel 1750 aveva sposato la napoletana Serafina de' Sio, da cui ebbe quattro figli, tra cui Gennaro e Giuseppe, che nelle loro opere a stampa appaiono col cognome Cestari.
Non si hanno notizie sulla formazione del C.: la sua prima opera nota, risalente al 1750, un'Apparizione della Vergine a s. Francesco di Paola, conservata nell'omonima chiesa di Ottaviano, fu distrutta da un'eruzione del Vesuvio. Per cui, per far luce sui primi anni dell'attività del pittore, bisognerà fare riferimento ad alcune ipotesi dello Spinosa (1970) che attribuisce al C. una Circoncisione (ill., in The Burlington Magazine, CXIV[1972], p. 41, ora nella Staatsgalerie di Stoccarda), una Cena di Baldassarre (nei depositi di Capodimonte; poi dallo stesso Spinosa, 1979, data a N.U. Rossi), una Cleopatra (in coll. privata; ill. 1, in Spinosa, 1970) e un Cristo e l'adultera (nel palazzo reale di Genova). Questi dipinti (di cui i due ultimi dati al De Mura) costituirebbero, insieme con l'Apparizione della Vergine a s. Giuseppe Calasanzio, conservata a Genova nella chiesa degli Scolopi (ill. 2, in Spinosa, 1970), il più antico nucleo di opere del Cestaro. Esso sarebbe di poco antecedente alle opere in SS. Filippo e Giacomo a Napoli, firmate e datate: gli affreschi con gli Evangelisti, nei peducci, l'Assunzione (datata 1759), S. Filippoche presenta Nataniele a Gesù,S. Giacomo che presiede il concilio di Gerusalemme e Cristo e la Samaritana nella volta della navata (due bozzetti nel museo Duca di Martina a Napoli; ill. in Soprintendenza alle gallerie per la Campania, Acquisizioni 1960-1975, Napoli 1976, p. 47) e le due tele nel presbiterio: S. Filippoche infrange l'idolo e Il martirio di s. Giacomo (datato 1757). In questo complesso di dipinti la cultura artistica del C. appare legata ai risultati del Solimena e a quelli del De Mura. Tuttavia il cedimento del C. alle istanze suscitate dagli esempi del De Mura nella Nunziatella e in SS. Severino e Sossio è più formale che sostanziale: di fatto l'atteggiamento di fondo del C. si ricollega alla lezione di Francesco Solimena che provoca un accostamento alla realtà, una naturalezza del gesto, quali non si trovano nell'opera del De Mura. Anche alcune impostazioni compositive e il rapporto forma-luce si rifanno ai modelli del Solimena sui primi decenni del sec. XVIII, allorché il maestro crea un diverso tipo di pittura di aspetto classicista, rallentando i ritmi, cercando effetti scenografici e di luce nuovi.
Comunque la cultura artistica del C., quale la definisce lo Spinosa (1970), appare ancor più complessa, poiché egli fonde e riduce a unità di linguaggio anche elementi della tradizione emiliana del secolo precedente visti sia attraverso le recenti esperienze del classicismo romano (Benefial) sia attraverso la conoscenza diretta dell'opera dei Lanfranco, l'artista che aveva dato l'avvio alla grande decorazione barocca e a cui tutti i grandi nopoletani mai avevano cessato di guardare. Infatti gli Evangelisti di SS. Filippo e Giacomo sembrano esemplati su quelli lanfranchiani del Gesù Nuovo, mentre è da credere che proprio la lezione di quel grande maestro consentisse al C. di evitare di cadere in quegli sterili accademismi cui si abbandonarono molti altri artisti legati al classicismo del Solimena.
Un bozzetto per il S. Giacomo che presiede il concilio di Gerusalemme, in collezione privata a Firenze (ill. 6, in Spinosa, 1970, mostra inattese vivacità cromatiche e libertà di tocco, quali non si riscontrano nelle opere finite e che lasciano intravedere una relazione col contemporaneo Domenico Mondo, riscontrabile anche nella Morte di s. Elena nella chiesa della Disciplina della Croce (ill. 8, in Spinosa, 1970), nella Nascita di Maria e nel Sacramento mostrato ai ss. Francesco,Antonio e Bonaventura in un deposito adiacente la sacrestia della chiesa di Donnalbina. I rapporti del C. con l'ambiente non sono mai passivi: così l'influsso del De Mura, che diviene più forte nel settimo decennio del secolo, viene accompagnato da una maggiore semplificazione compositiva, da raffinatezze coloristiche e formali. Come nell'Annunziata e nella Madonna del Rosario con santi, nella chiesa dell'Annunziata di Angri (1764), o nelle due tele della Congregazione del Salvatore, in Napoli.
La trasformazione del gusto in senso illuministico e preneoclassico, la ricerca di chiarezza compositiva e di "sublimazione formale", propugnate a Napoli dal Vanvitelli e appoggiate dall'opera del Mengs o del Batoni, non lasciano insensibile il Cestaro.
Infatti nel 1770, negli affreschi della cappella Berio in S. Giorgio dei Genovesi (S. Camillo, firmato e datato, S. Caterina di Genova,Trinità,Fede,Carità) perviene a una espressione plastica più chiara e immediata, pur non la sensibile definizione coloristica di cieli e spazi aperti, sulla scia della locale tradizione decorativa. Così pure negli affreschi della Villa Campolieto di Ercolano, pure del 1770: volte di tre saloni con Apollo,Diana cacciatrice,L'Aurorae puttiin volo; pareti con Apollo e Minerva (Fiengo, 1974; Spinosa, 1972, ha avanzato, l'ipotesi che gli affreschi siano stati eseguiti su disegno del Vanvitelli).
Altre opere del C. sono a Bagnoli Irpino nella chiesa dell'Assunta (tra le altre una Madanna in gloria, firmata e datata 1761) e in quella di S. Domenico (Spinosa, 1970, pp. 86 s. n. 38); a Napoli in SS. Bernardo e Margherita (SS. Agostinoe Monica), e nel palazzo vescovile; a Portici in S. Maria delle Grazie (pittura firmata e datata 1770) ed in molte raccolte private (Spinosa, 1970, p. 87 n. 47). Sono stati distrutti i suoi affreschi nel palazzo reale e nel palazzo Gravina, a Napoli.
Fonti e Bibl.: P. Napoli-Signorelli, Gli artisti napoletani della seconda metà del XVIII sec. [sec. XVIII], a cura di G. Ceci, in Napoli nobilissima, n. s., III (1923), p. 26; G.Sigismondo, Descriz. della città di Napoli e suoi borghi, Napoli 1788-89, I, p. 36; II, pp. 47, 85, 322, 356, 360; III, p. 82;L. Catalani, Le chiese di Napoli, Napoli 1845, p. 112;G. Chiarini, in C. Celano, Notizie del bello,dell'antico e del curioso della città di Napoli, a cura di G. Chiarini, III, Napoli 1860, p. 235;G. Alizeri, Notizie dei profess. del dis. in Liguria, II, Genova 1865, p. 355; Le op. d'arte a Bagnoli Irpino, in Arte e storia, XIII (1894), p. 87;G. Ceci, Il pal. Gravina, in Napoli nobilissima, VI (1897), pp. 3 s.;G. Borzelli, L'Accad. del disegno a Napoli nella II metà del sec. XVIII,ibid., IX (1900), pp. 72, 110 s.; C. De Rogatis, Cenni biogr. degli uomini illustri di Bagnoli Irpino, Avellino 1914, p. 134;A. Sanduzzi, Mem. stor. di Bagnoli Irpino..., Melfi 1924, pp. 560-62;C. Lorenzetti, L'Accad. di Belle Arti in Napoli, Firenze 1952, p. 42; R. Causa, La pittura napoletana dal XV al XIX sec., Bergamo 1957, p. 68;E De Filippis, Il palazzo reale di Napoli, Napoli 1960, p. 56; N. Spinosa, Pittori napol. del secolo Settecento: J. C., in Napoli nobilissima, s. 3, IX (1970), pp. 73-87; Id., La pittura napol. da Carlo a Ferdinando di Borbone, in St. di Napoli, VIII, Napoli 1971, pp. 501-4, 538 s.; Id., L. Vanvitelli e i pittori attivi a Napoli nella seconda metà del Settecento, in Storia dell'arte, IV (1972), p. 202;G. Fiengo, Vanvitelli e Gioffredo nella villa Campolieto di Ercolano, Napoli 1974, p. 74;N. Spinosa, in Civiltà del 1700 a Napoli (cat.), Firenze 1979, pp. 254, 256, figg. 127, 128; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VI, p. 317; Dizion. Encicl. Bolaffi dei pittori..., III, Torino 1972, pp. 286-88.