CIESA, Giacomo
Nato a Vicenza il 21 febbr. 1733 da Camillo e Rosa Olivari e ivi abitante in parrocchia di S. Faustino, contrada di Santa Corona, viene detto (Bertotti-Scamozzi, 1780; Alverà, Indice ragionato ... ) "scolaro di Giambettino Cignaroli": un'osservazione confortata, almeno in parte, da alcuni dei più importanti esiti dell'artista. Secondo il Rigon (pp. 25 s., 52), i primi avvii sarebbero da cogliere nella pala con il Martirio di s. Eurosia della parrocchiale di Bagnolo (Lonigo), assegnatagli per intero dalle fonti (Maccà, 1813, III, p. 226), ma dove al C. spetterebbero (1753 circa) solo le due figure collaterali delle sante Apollonia e Lucia: quelle della protagonista e del carnefice assieme con la intelaiatura generale del dipinto essendo attribuibili, appunto, al Cignaroli. Seguiva forse di appena qualche anno (1756 circa) l'affresco perduto (Elia rapito sul carro di fuoco) nel soffitto della parrocchiale di Bolzano Vicentino (ricostruita 1924-1926); e press'a poco contemporanea doveva essere la tela dell'altar maggiore della chiesa di Villabalzana (Arcugnano), "innalzata ed allargata" nel 1754 (Maccà, 1811, V, p. 225), opera non più reperibile dopo la ricostruzione dell'edificio nel 1890. Se il piccolo ritratto del Beato Paolo d'Arezzo nella sacrestia di S. Gaetano a. Vicenza (1750-1760 circa) è cosa veramente di "mediocre qualità" (Arslan, 1956) piuttosto importanti risultano invece le illustrazioni dei volume Poesie italiane sopra l'ultima guerra consecrate alla S. R. M. di Federico il Grande Re di Prussia da Giulio Ferrari patrizio vicentino, Vicenza 1766, (il C. ne preparò. i disegni per i ritratti. del re e dei Ferrari, le ventisette illustrazioni e le nove lettere iniziali delle singole odi, incisi da Cristoforo Dall'Acqua). Vi si colgono agevolmente alcuni elementi che rimarranno tipici del pittore: figurine un po' leziose, di snervato ascendente cignarolesco, si muovono con grazia in paesaggi d'Arcadia o rievocano pompose, in accampamenti di classica reminiscenza, fasti militari di collaudati ascendenti letterari. Simili caratteristiche, anche nella più puntuale iconografia dei piccoli volti bamboccianti dai lunghi nasi affilati e dalle boccucce arcuate, si ritrovano nelle due pale della parrocchiale di Toara (forse proprio alla seconda metà del settimo decennio): il S. Giorgio sull'altar maggiore (purtroppo sciaguratamente ridipinto) e S. Elena che scopre la croce, sull'altare nel setto tra il presbiterio e la navata destra. Del 1769 è segnato l'altare dei Rosario nella chiesa di Gambugliano: a quella data risalirà la relativa tela del C. (Maccà, 184, IX, p. 133), disgraziatamente scomparsa "nonostante ogni ricerca", sebbene fosse rimasta in loco "sino alla fine del secondo conIlitto mondiale" (G. Mazzarol-L. Garbin, Gambugliano..., Vicenza 1979, p. 74)Pure perduti sono gli affreschi nel soffitto e nel coro della chiesa di Carmignano di Brenta, demolita nel 1946, forse fissabili ad un momento intorno o di poco posteriore al 1769, quando l'edificio era stato rinnovato in "forma magnifica" così da fame "un[o] dei più bell[i]" della diocesi vicentina (Maccà, 1813, VI, p. 88); e la Madonna con il Bambino, s. Giorgio e s. Filippo Neri, ricordata dal Moschini (1817) sull'altar maggiore della parrocchiale di S. Giorgio in Brenta, firmata e datata 1774, Dopo, e fino all'agosto, 1776, il C. era impegnato nella decorazione della chiesa di villa Da Porto (ora Casarotti) ai Pilastroni di Vivaro (Dueville), dedicata alla Madonna di Monte Berico: con lui facevano parte dell'équipe, diretta dal progettista Ottone Calderari, il quadraturista Paolo Guidolini, Francesco Lorenzi e lo scultore Francesco Leoni. Sappiamo anzi da un contemporaneo (G. T. Faccioli, Dichiarazione sulla chiesa..., ms., entro cornice nel coretto a destra della chiesa stessa) che i temi delle statue e. dei bassorilievi eseguiti dal Leoni erano stati qui tratti da una "scrittura" dello stesso C. responsabile della tela sull'altare con la Apparizione della Madonna a Vincenza Pasini; gli episodi affrescati all'interno della volta sono del Lorenzi. Nella pala, frizzante imprevisto tocco di colore entro la estrema, calcolata raffinatezza delle chiare superfici architettoniche, si associano alle consuete reminiscenze cignarolesche impasti più accesi e robusti, che possono ricordare il De' Pieri; ma, certo, il diretto contatto con il Lorenzi favorirà, per altro verso, nel pittore l'accostamento a quel tanto di "tiepolismo riformato" che, d'ora in avanti, egli si mostrerà capace di accogliere.
Entro, questi limiti, la pressoché coeva pala nell'altar maggiore della arcipretale di S. Clementea Valdagno -commissionata nel 1776 e collocata in situ, dietro pagamento di 30 zecchini, nel dicembre 1778 (Mantese, 1966, p. 487) - resta, con quella di Vivaro, nonostante il restauro condotto nel 1883 da A. Muller, uno dei massimi raggiungimenti della "prima maniera" del C., sospesa tra enfasi "barocca. e grazia rococò" in un'aura deliziosamente démodée, quasi insensibile ai nuovi richiami della raison così diffusi nell'ambiente dell'illuminismo vicentino. Solo verso la fine dell'ottavo decennio assistiamo a una conversione dell'artista verso più "moderni" richiami. Non più controllabile nei perduti affreschi (1775 circa) del soffitto della chiesa di Velo d'Astico, totalmente rifatta dopo la distruzione della guerra 1915-18, la svolta è già avvertibile negli affreschi sulle paT reti del salone di palazzo Thiene, sul corso di Vicenza: edificio detto dal Baldarini nel 1779 (11, p. 94) "recentemente" sistemato. Il C. tra le nitide e "razionali" inquadrature del Guidolini introduce adesso gruppi statuari monocromi di vigoroso piasticismo, ben consapevoli degli insegnamenti maturati nella di poco prece, dente lezione offerta dal Lorenzi negli affreschi, sempre condotti assieme al Guidolini, della sala della musica nel vicentino palazzo Godi-Nievo. Frutto della "conversione" sarà l'incarico pubblico, affidato al C., di adomare, in collaborazione con Michelangelo Uliaco (Leoneda), l'arco trionfale provvisorio eretto a Vicenza, in piazza dell'Isola, per l'ingresso del podestà Giovanni Pindemonte, nel maggio 1778, su disegno di Ottavio Bertotti-Scamozzi (Maccà, Annali, alla data); seguono immediatamente il luminoso soffitto, firmato e.datato 1780, nella scala di casa Savi Paulotto in contrà Fontanelle e la tela, stilisticamente molto affine (1780 circa), dell'altare di S. Valentino nella parrocchiale di Piana, restando -invece disperse quella forse coeva della Concezione gia nella chiesa di Pojana di Granfion e quella dell'altar maggiore della parrocchiale di Enna (1782-1787 circa). Nel 1783 si comincia a pensare alla decorazione del palazzo vicentino eretto dal Calderari in contrà Riale per Carlo Cordellina; la prima sala a destra dell'atrio, verso strada, è compiuta nel 1784 (Saccardo, 1976, p. 152) e tutto il ciclo sarà ultimato verso il 1790. Vi partecipano, oltre al C., il Guidolini, probabilmente il Lorenzi e qualche altro frescante non identificato.
Capolavori sicuri del C. erano le Allegorie nel soffitto del salone (distrutte dal bombardamento del 18 marzo 1945), dove, sui consueti sedimenti del Cignaroli, tramite la mediazione del miglior Pasqualotto, riappariva dopo più di un secolo il "classicismo" del vecchio Carpioni. A questo si ricollegano le figure, inserite nelle pareti quali fulve statue monocrome tra gli intercolunini del Guidolini; addirittura a una tradizione locale frequente tra Cinquecento e Seicento si rifanno i "quadri storici" del fregio sotto il soffitto, dalle figure staccate sul fondo neutro come scolpite in una lucentezza metallica. Più difficile è discernere la mano del C. nelle altre stanze ad oriente del salone: quasi certamente suoi sono i vasi. monocromi con scene di baccanale, in tal caso, uno dei livelli più alti da riconoscere all'artista, dove la "filologia" carpionesca "si accresce delle esperienze vicentine tardo-seicentesche del Ghisolfi, ma non dimentica esiti collaterali nella scultura ornamentale del medio e secondo Settecento", dai Marinali al Cassetti, ad un Antonio Bonazza (Barbieri, 1972, pp. 133-134). Meno sicuri altri vasi con fiori e putti e improvvise visioni di Paesaggio: si colgono, viceversa, agganci alla grande pittura veneziana coeva, da un piglio quasi guardesco all'apporto delle, esperienze riccesche. Eppure, in mancanza di precisazioni documentarie, non sarà da escludere, nel C., questa possibilità di "polivalenze culturali" proprie di una fase di trapasso, con risultati, in fondo, non lontani da quelli raggiunti in ambiente più evoluto da A. Urbani, da P. A. Novelli, dal Bison.
Ancora a Valdagno il C. ritorna nel novembre-dicembre 1789 (Mantese, 1966, p. 490) per affrescare l'Assunzione della Vergine e altre figure nel soffitto del distrutto oratorio del Rosario; poco pri a (1787-1789 circa) aveva lavorato per il coro ed il soffit to nella chiesa del vicino borgo di San Quirico e contemporaneamente, con ogni probabilità, era intervenuto per i Quattro Evangelisti sul soffitto del coro della parrocchiale di Recoaro. Scomparso tutto ciò assieme al ciclo di affreschi (1788 circa) nella specola del nuovo Osservatorio astronomico di Padova con I segni dello Zodidco, il sistema copernicano e otto ritratti dei più celebri astronomi, bisogna arrivare alla villa Franceschini-Canera di Salasco (Arcugnano) per ritrovare il C. impegnato con il Guidolini, di cui divenne dopo la morte del Lorenzi (1787) collaboratore assiduo, in una decorazione giudicata "uno degli esiti [veneti] di maggiore qualità nell'ambito di... un gusto neoclassico di transizione, con l'uso di soluzioni nel genere del classicismo dei cammei, dal medaglione ai fregi ercolanesi, ai motivi di grottesca" e qualche raro, improvviso "sfondamento" scenografico in amabili scenette di fanciulli, "ispirate a stampe contemporanee, di un genere assai diffuso alla fine del Settecento, specie in Inghilterra" (Pavanello, in Gli affreschi nelle ville venete..., 1978, p. 126). Con l'identico binomio C.-Guidolini tale repertorio e timbro di gusto ritornano, sempre circa il 1790, negli affreschi del vestibolo e del salone di villa Capra a Sarcedo (dove è del C. anche la pala della cappella); al solo C. possono ragionevolmente spettare gli episodi della Gerusalemme liberata nel ciclo decorativo della non lontana villa Franzan a Barcon. Il momento culminante del nuovo corso si avrà nella tela del soffitto e negli affreschi parietali del salone in palazzo Thiene-Bonin Longare sul corso di Vicenza: entro le architetture del Guidolini il C. appare (1790 circa) del tutto staccato dai tiepolismi del Lorenzi e pienamente inserito nel giro della problematica dell'acerbo neoclassicismo locale.
Assistiamo però, a partire dagli anni '90, a una progressiva involuzione dell'artista, che sembra spesso ripiegare nell'enfasi di formule tiepolesche di seconda mano: ancora sostenute con relativo vigore negli affleschi (1790 circa) del coro di S. Rocco a Tretto (Schio), ma trascinate con ben scarso entusiasmo - anche tenuto conto delle ridipinture - in quelli del coro della parrocchiale di Piana, firmati e datati 1793.
In merito nulla possono più dirci la dispersa pala della cappella di villa Tomi, ora dei padri giuseppini, ad Arcugnano (1791 circa), il troppo manomesso capitello di S. Teobaldo a Saianica di Sossano (1791) od i perduti affreschi, condotti con il Guidolini, nella terza cappella destra di S. Corona a Vicenza, nel 1795; ed al Rigon (pp. 57-58) non riesce più di identificare la pala di S. Martino nella arcipretale di Montebello (1791-1798 c.). Del resto, "la stanchezza" del C. "non è neppure più dissimulata" (Rigon, p. 45) nei monocromi della chiesa di Longare (1800 circa) per cui, se appartengono al C. le quattro tele di ben più alta qualità nel presbiterio della stessa (Cevese, 1969), queste saranno da spostare più indietro, a più felice periodo del pittore. Ma resta qualche dubbio sulla paternità, molto meno discutibili i due quadretti della sacrestia di S. Stefano di Vicenza (forse intorno al 1800), nei quali, tuttavia, sono sensibili echi dei modi del Buffetti. Più avanti, abbiamo sul C. solo testimonianze letterarie: il soffitto ed il coro della parrocchiale vecchia di Lumignano (inizi dell'Ottocento) sono da tempo crollati; le "tre statue di finto bronzo con tre quadri con alcuni. puttini a chiaro scuro" (Alverà, Appunti per una guida ... ) sulla facciata di pal. Capra-Querini a S. Marco (1803 circa) sono del tutto sbiadite; ugual sorte è toccata al S. Filippo, affrescato dal C. nella parte superiore del prospetto dell'oratorio dei filippini ed a lui pagato il 16 febbr. 1804, Rimangono solo le figure affrescate (1807) fra inquadrature certo di David Rossi nel "casino dei mercanti", ora palazzo delle opere sociali, in piazza del Vescovado. Di altre opere del C. non abbiamo alcuna base cronq, ' logica sicura: la pala dei ss. Pietro e Paolo nella parrocchiale di Monte Magré intavola uno strano discorso, intessuto di evidenti recuperi neocinquecenteschi ma di dffficile., collocazione nel curriculum del pittore; il S. Luigi dei Museo civico di Vicenza (olio su cartone, inv. A 826) è povera cosa; la tela della Crocefissione sulla porta principale all'intemo della facciata nella chiesa vicentina dei servi è malamente leggibile data la spericolata collocazione; degli affreschi devozionali sui muri di case vicentine, ricordati dall'Alverà (Appunti per una guida...) in numero di dieci, solo due sono oggi identificabili (Saccardo, 1976, pp. 152 s.), in via Chinotto ed in contra' del Guanto; dei due plafonds, negli ammezzati terreni di casa Schio (forse la vicentina Ca' d'Oro sul Corso) e in una sala di palazzo Trento-Branzo-Loschi al duomo (ora Cassa di risparmio), ricordati dal da Schio, non è più traccia, come della tela che ornava il salone della Confraternita dei Rossi, annesso allo sconsacrato oratorio di S. Cristoforo a S. Marcello, e degli affreschi che ornavano il soffitto e il coro della parrocchiale di Torrebelvicino. In compenso, possiamo magari proporre due acquisizioni, confermando al C. (forse in una fase centrale intorno all'ottavo decennio) le due scene con l'Abbandono e Morte di Didone affrescate nel salone di. palazzo Trissino-Baston e, sulla scia (forse in più tarda sequenza allo scorcio del secolo), anche' l'Apollo che fa crescere a Mida le orecchie d'asino e l'Apollo e Mida che saettano i figli di Niobe nel salone di palazzo Leoni Montanari.
Aspetti interessanti, dell'attività del C. sono i suoi interventi su opere altrui. Tra quelli documentati si ricordano i seguenti: nel 1761 amplia la parte inferiore e aggiunge un nuovo gruppo della Madonna con il Bambino edue angeli alla grande tela del Carpioni (1651) con il podestà Grimani e la fraglia dei merciai, nell'arco trionfale della basilica di Monte Berico (per lo stato originale dell'opera carpionesca, cfr. F. Barbieri, Palladio e Monte Berico, in, Scritti in on. di R. Pane, Napoli 1971, pp. 359 ss.).
Tra il 1769 e il 1770 l'artista restaurò i quadri dell'Oratorio della Buona Moite (attualmente distrutto) ed è inoltre molto probabile che egli tratteggiasse le statue ed i bassorilievi nel disegno di "tempio rotondo" inviato dal Calderari (1758) a un concorso della Reale Accademia parmense di pittura, scultura e architettura ed è presumibile collaborasse altre volte con l'architetto in tale forma. Negli ultimi anni, sotto il predomini francese del Regno d'Italia, il C. svolse pubblica attività di "perito": il 15 luglio 1806, su commissione della Municipalità vicentina, provvide assieme ad altri a stendere un inventario di mobili ed effetti appartenenti al convento di S. Corona; il 10 dic. 1810 era a Valdagno, d'ordine del demanio, per requisire i quadri di proprietà degli Ordini religiosi e trasportarli a Vicenza.
Il C. morì a Vicenza il 30 aprile 1822 (Saccardo, documenti inediti); "geloso dell'arte sua" (Alverà), non ebbe allievi, tolto l'intagliatore in legno e pietra Giambattista Berti e, ancora più famoso, lo scultore di Nove di Bassano Giuseppe de Fabris.
Fonti e Bibl.: Nonostante si tratti di una delle personalità più feconde ed importanti del mondo artistico vicentino del secondo Settecento e del primo Ottocento, manca un lavoro monografico sul C.; l'unico saggio può trovarsi in una tesi, discussa presso il corso di perfezion. in storia dell'arte dell'univer. di Padova nell'a. acc. 1966-67: F. Rigon, Pittori vicentini minori del Settecento, pp.22-99, Quanto alle principali fonti mss., tutte raccolte presso la Bibl. Bertoliana di Vicenza. Libreria Gonzati, vedi: A. Alverà, Appunti mss. per una guida di Vicenza (21.11.20), fasc. A; Id., Indice ragionato dei pittori, scultori, architetti de' quali abbiamo opere in Vicenza (27.4. 41/42); G. da Schio, Imemorabili, sub voce;G. Maccà, Abecedario pittorico vicentino (27.4.35/36); Id., Annali di Vicenza (23.10.8/11). Tra le opere a stampa, l'intervento più ampio sul C. si ha in F. Barbieri, Illuministi e neoclassici a Vicenza, Vicenza 1972, pp. 131-134 e ad Indicem. Per il resto, da segnalarsi come utili a ricostruire l'attività e, almeno in parte, la fisionomia dell'artista: P. Baldarini, Descriz. delle archit., pitture e scolture di Vicenza, I-II, Vicenza 1779, ad Indicem;O. Bertotti Scamozzi, Ilforestiere istruito delle cose più rare di archit. e di alcune pitture della città di Vicenza, Vicenza 1780, p. 50; K. H. von Heinecken, Dictionn. des artistes dont nous avons des estampes, IV, Leipzig 1790, p. 109; P. Brandolese, Pitture, scolture, architetture... di Padova..., Padova 1795, p. 144; G. A. Moschini, Della lett. venez. del sec. XVIII, I, Venezia 1806, p. 28; G. Maccà, Storia del territorio vicentino, Caldogno 1813-15, III, p. 226; IV, pp. 189 s., 262, 334; V, p. 225; VI, pp. 68, 88, 323; IX, p. 133; X, p. 163; XI, 2, pp. 74, 316; XII, 2, p. 282; XIII, pp.38, 62, 184; G.A. Moschini, Guida per la città di Padova, Venezia 1817, p. 237; G. Pieriboni, Ilforestiere istruito nella visita della R. città di Vicenza, Vicenza 1842, p. 19; A. Gloria, Storia del territ. Padovano, II, Padova 1862, p. 235; O. Brentari, Storia di Bassano e del suo territorio, Bassano 1884, p. 723; G. Belluzzo, Carmignano di Brenta, Vicenza 1939, pp. 36 s.; G. De Mori, La fede del popolo ridona agli splend. dell'arte il tempio degli avi, in Longare e la sua chiesa..., Vicenza 1939, pp. 26-27; Catalogo delle cose d'arte e di antichità d'Italia, E. Arslan, Vicenza. Le chiese, Roma 1956, ad Indicem;C. Donzelli, Ipittori veneti del Settecento, Firenze 1957, pp. 63 s.; G. Mantese, Storia di Valdagno, Valdagno 1966, pp. 391, 487, 490, 528; R. Cevese, in Raccolta di studi sulla parrocchia e sulla chiesa di S. Stefano in Vicenza, Vicenza 1969, p. 138; G. Mantese, La comunità di Tretto..., Schio1969, p. 34; R. Cevese, Ville della provincia di Vicenza, I-II, Milano 1971, ad Indicem;M. Saccardo, Arte organaria, artisti e attiv. musicale ai Filippini di Vicenza, Vicenza 1975. p. 71; F. Barbieri, L'Ospedale e l'Oratorio deiSS. Maria e Cristoforo a S. Marcello. La chiesa di S. Rocco, in Vicenza illustrata, Vicenza 1976, p. 141; M. Saccardo, Arte organaria, organisti e attività musicale a S. Corona. Precisazioni sul patrimonio artistico della chiesa, Vicenza 1976, ad Indicem;A, Ballarin, Capolavori [del Museo Civico] restaurati, Vicenza 1977, pp. 12 s.; Gli affreschi nelle ville venete dal Seicento all'Ottocento, Milano 1978, ad Indicem;U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VI, p. 574.