CONTARINI, Giacomo
Nacque a Venezia nel 1456 da Ambrogio di Nicolò, di Antonio del ramo di San Felice e da Andriana di Andrea Gritti. Nel 1474 il padre lo presentò all'Avogaria di Comun per iscriverlo alla Balla d'oro.
Il C. dedicò probabilmente molti anni della sua giovinezza agli studi filosofici, giuridici e letterari. Il Barbaro lo ricorda nelle sue genealogie qualificandolo "scrittore" e Gerolamo Priuli dice di lui che fu "huomo molto dotto, adoperato nei pubblici maneggi con molto concetto". Nulla però possediamo della sua produzione letteraria che ci attesti la veridicità di queste affermazioni. Nel 1493 Alessandro Benedetti dedicava la sua opera De observatione in pestilentia, pubbl. a Venezia, al C. "patricio Veneto philosopho iuris consultissimo". Di certo egli alternò gli studi prediletti all'attività politica che, del resto, iniziò molto tardi.
Il 24 febbr. 1496 il Senato veneziano lo designava ambasciatore in Spagna. Nella commissione, affidatagli l'8 giugno seguente, egli riceveva l'incarico di presentarsi dapprima al re del Portogallo, Emanuele I, per congratularsi con lui del matrimonio concluso con Isabella, figlia di Ferdinando d'Aragona, re di Spagna. Ivi giunto nel mese successivo, quel re, come annota il Sanuto, "da poi che molto esso orator charezoe, lo fece cavalier, li donò un gatodi zibeto e una medaja d'oro di valluta di ducati 200 da farsi una coladena". Il 31 ottobre giungeva alla corte di Spagna, accolto con grandi festeggiamenti.
La missione del C. veniva a collocarsi in un momento in cui, conclusasi la spedizione di Carlo VIII, Venezia si trovava al centro dei negoziati politici. Nel marzo del 1496 la Spagna aveva sollecitato la Repubblica e gli altri Stati italiani ad appoggiarla in un suo eventuale attacco contro la Francia. Ad inquietare gli animi era poi sopraggiunta, in quei mesi, la notizia di una nuova discesa di Carlo VIII favorita dai Fiorentini. Nel luglio del 1496 la Repubblica stipulava un trattato di alleanza con gli altri Stati italiani, operando nel contempo perché vi aderisse anche la Spagna.
Il C. accertò, sin dai primi mesi di permanenza a corte, che le intenzioni dei sovrani spagnoli erano quelle di giungere rapidamente ad un trattato di pace con la Francia, con cui già avevano stabilito una tregua. La Repubblica temeva che i due Stati giungessero ad un accordo separato, che sarebbe stato oltremodo dannoso per gli Stati italiani, e perciò, sin dal marzo 1497, sollecitò il C. ad intervenire presso i sovrani di Spagna con il fine di indurli a diffidare della Francia e a non concludere con essa un trattato separato di pace. Nel luglio del 1497 il Senato decise l'invio di due ambasciatori in Spagna, per partecipare direttamente alle trattative che, come aveva informato il C., erano già in corso a Burgos; l'11 ottobre concesse inoltre al C., il quale ammalatosi seriamente aveva ripetutamente chiesto di essere esonerato dal suo incarico, che al giungere di Domenico Trevisan, uno dei due oratori, potesse far ritorno in patria. Nel frattempo però, prima ancora dell'arrivo del Trevisan, le due potenze avevano raggiunto un accordo profittando delle incertezze e dei disaccordi che ancora correvano tra gli Stati italiani. Invano il C. protestò presso gli Spagnoli per la loro mancata fede. Ferdinando d'Aragona gli rispose che anche il duca di Milano aveva raggiunto un accordo separato con la Francia e, d'altro canto, gli Stati italiani non avevano inviato alla Spagna gli aiuti necessari per fronteggiare la potenza avversaria. Il C. fece ritorno a Venezia il 9 giugno 1498.
Le cronache del tempo riferiscono come egli presentasse al Senato i doni ricevuti dai sovrani spagnoli, tra cui, ricorda il Sanuto, "un animal tavanà bianco e negro che si chiama gazela, simile a un gatto e fa il zibeto". Nella relazione esposta al Senato, il C. rimarcava l'atteggiamento neghittoso degli Spagnoli nei confronti della Repubblica, sottolineando come la loro intenzione fosse quella di addossare agli Stati italiani il compito di fronteggiare la Francia.
Il C. morì a Venezia, come attesta Girolamo Priuli, pochi mesi dopo il suo ritorno.
Il suo corpo venne sepolto nella chiesa di S. Stefano, nella tomba di famiglia. Nel suo testamento, redatto il 1° giugno 1496, lasciava i suoi beni, in eguale misura, ai fratelli Antonio, Andrea e Sebastiano e alle sorelle Maria ed Elena, a condizione però che queste "solum galdano in vita tal beneficio" e alla loro morte la loro porzione di eredità venisse trasmessa ai fratelli. Stabiliva inoltre che, nel caso in cui Sebastiano non avesse avuto figli maschi, i suoi beni avrebbero dovuto essere assegnati al nipote Ambrogio, figlio di Andrea.
Fonti e Bibl.: Un brevissimo profilo biogr. del C. a Venezia, Bibl. d. Civ. Museo Correr, Cod. Cicogna, 3781: G. Priuli, Pretiosi frutti del Maggior Cons., I, c. 168v; Ibid., Cod. Cicogna, 214: Mem. della famiglia di Venetia de cha Contarini, c. 89v. Sull'attività del C. cfr.: Arch. di Stato di Venezia, Avogaria diComun, Balla d'oro, reg. 164/III, c. 69v; Ibid., Senato, Deliberazioni Segrete, reg. 36, cc. 34v, 35, 114v, 115r, 120v, 121r, 123, 131v, 142r, 145r, 151r, 153v, 154r, 162r; Ibid., Arch. notarile, Testamenti, Notaio Groppi, b. 1186, n. 70; Ibid., Miscell. codici, I, Storia veneta, 18: M. Barbaro-A. M. Tasca, Arbori de' Patritii veneti, c. 463; M. Sanuto, Diarii, I, Venezia 1879, ad Indicem;D. Malipiero, Annali veneti dall'anno 1457 al 1500, a cura di F. Longo-A. Sagredo, in Arch. stor. ital., VII (1843), 2, pp. 468 s., sos s.; I libri commem. della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, VI, Venezia 1904, p. 30; S. Romanin, Storia docum. di Venezia, V, Venezia 1856, p. 30; Gesamtkatalog der Wiegendrucke, I, col. 429.